La condanna generica al risarcimento del danno all’immagine presuppone la prova della condotta illecita

Antonio Scalera
10 Febbraio 2016

La condanna generica al risarcimento del danno all'immagine presuppone che sia data la prova di una condotta illecita, non potendosi individuare la responsabilità aquiliana solo nella risonanza delle indagini penali in corso.
Massima

La condanna generica al risarcimento del danno all'immagine presuppone che sia data la prova di una condotta illecita, non potendosi individuare la responsabilità aquiliana solo nella risonanza delle indagini penali in corso.

Il caso

Due società hanno convenuto in giudizio alcuni collaboratori nei cui confronti erano in corso delle indagini penali perché, secondo l'ipotesi accusatoria, essi avrebbero operato sfruttando canali informativi riservati al fine di influire illecitamente nell'aggiudicazione di gare di appalto. In base alla prospettazione attorea, le condotte illecite ascrivibili ai convenuti erano idonee a cagionare alle società gravi danni in termini di discredito, lesione all'immagine ed alla reputazione; poiché il pregiudizio era ancora in itinere e potenzialmente destinato ad evolversi e ad aggravarsi, si rendeva opportuno domandare la condanna generica ex art. 278 c.p.c., demandando la liquidazione ad un separato giudizio.

La questione

È possibile emettere una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno all'immagine sulla base della sola risonanza mediatica delle indagini penali in corso, a prescindere dalla prova della condotta illecita?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale ha rigettato la domanda di condanna generica sulla base del fatto che entrambe le società attrici non avevano fornito alcuna prova della condotta illecita dei convenuti, condotta che non era stata accertata neppure in sede penale, essendo le indagini ancora in corso.

Il Giudice ambrosiano, pur non prendendo posizione sulla qualificazione della condanna generica, sottolinea l'indispensabilità, ai fini dell'accoglimento della domanda ex art. 278 c.p.c., dell'accertamento dell'illiceità della condotta.

In dottrina è assai dibattuta la questione della natura della condanna generica.

Secondo una parte della dottrina (P. Calamandrei, Studi sul processo civile, Padova, 1934, 221), la sentenza di condanna generica ha una doppia natura di sentenza di accertamento sulle questioni dell'iniuria, della colpa e dell'imputabilità e cautelare in ordine all'esistenza del danno (il quale viene verificato solo con la c.d. prova di verosimiglianza).

Per altri (F. Carnelutti, Condanna generica al risarcimento dei danni, in Riv. Dir. Proc., 1952, I, 324), oggetto della condanna generica sarebbe non il diritto al risarcimento del danno nella sua completezza, ma un "segmento" della fattispecie costitutiva di tal diritto, carente solo dal punto di vista della quantificazione del danno subito dall'attore, con il conseguente rinvio del giudizio di fatto in ordine a tale punto della controversia, tanto da arrivare poi alla icastica definizione dell'istituto come «mezza condanna». In tale senso, viene individuata l'azione per ottenere la condanna generica come un'azione autonoma, idonea a determinare il c.d. giudicato sulla fattispecie, per il tramite di una sentenza non definitiva e parziale.

Secondo altri (C. Cavallini, L'oggetto della sentenza di condanna generica, in Riv. Dir. Proc., 2002, 545), la sentenza di condanna generica non sarebbe affatto parziale né potrebbe ricostruirsi il suo oggetto ricorrendo al cumulo di domande (di accertamento dell'illecito e di condanna al risarcimento): al contrario, l'istanza dell'attore, che ha in origine richiesto una condanna specifica, di pronuncia sull'an non determina una separazione dell'oggetto del processo, bensì un mutamento dei poteri del giudice in relazione al giudizio sul fatto, che nella fase di accertamento dell'an avviene senza una cognizione completa, cognizione che diviene piena nella fase demandata all'accertamento del quantum.

In giurisprudenza si è chiarito che, al fine di ottenere la pronuncia di una sentenza non definitiva sull'an, con prosecuzione dello stesso processo al fine di determinare il quantum, sia in primo luogo necessaria l'istanza di parte, così come testualmente previsto dall'art. 278, comma 1°, c.p.c. (Cass., n. 6517/2012). In secondo luogo, per ottenere la condanna generica è sufficiente accertare l'esistenza del danno, in base ad un giudizio che, in più occasioni, è stato definito come «accertamento di probabilità o di verosimiglianza» (Cass. n. 19453/2008; Cass., n.17297/2006; Cass., n. 6190/2003; Cass., n. 6257/2002) o comunque secondo un giudizio che rimane limitato all'accertamento del solo «rischio di danno» (App. Milano, 12 giugno 2001), tanto che nel giudizio sul quantum potrà anche essere esclusa la sussistenza del medesimo (Cass., n. 9290/2014; Cass., n. 19453/2008; Cass., n. 10384/2001).

Quanto all'istanza di parte di scissione della pronuncia sull'an da quella sul quantum, la stessa può essere proposta in ogni momento, anche in sede di conclusioni e senza che sia di ostacolo la originaria domanda introduttiva con cui si era richiesta la condanna al risarcimento dei danni in forma specifica (Cass., n. 17832/2002) e, purchè la scissione avvenga all'interno del medesimo processo, anche in assenza dell'adesione della controparte (Cass., n. 2011/9404; Cass., n. 15686/2005).

Di recente, si è, poi, affermato in giurisprudenza (Cass., n. 3366/2015) che, nel caso di formulazione alternativa delle domande di condanna generica sull'an debeatur e di condanna integrale (estesa, cioè, sia all'an che al quantum debeatur), è consentito all'attore restringere la propria pretesa alla sola condanna generica.

Tale facoltà costituisce esercizio del potere dispositivo e non richiede il consenso del convenuto, sicché questi non può opporvisi; tuttavia, in tal caso, il convenuto può domandare in via riconvenzionale che l'accertamento della responsabilità si estenda al quantum debeatur.

Osservazioni

La sentenza in rassegna merita di essere ampiamente condivisa, specialmente nella parte in cui evidenzia come, in difetto di prova della condotta illecita, non si può pronunziare una sentenza di condanna generica.

Tale sentenza, infatti, può essere emanata, ai sensi dell'art. 278 c.p.c., «quando è già accertata la sussistenza di un diritto» e, dunque, in caso di azione ex art. 2043 c.c., solo dopo che sia stata riscontrata la commissione, con dolo o colpa, di un fatto lesivo generatore dell'obbligazione di risarcimento del danno.

A tal fine è, pertanto, onere della parte provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ad eccezione del danno, il cui accertamento è riservato alla fase successiva di determinazione e di liquidazione

Guida all'approfondimento
  • A. Gualandi, Provvisionale, in NN.D.I., XVI, Torino, 1967, 497;
  • R. Marengo, Provvisionale, in ED, XXXVII, Milano, 1988, 889;
  • A. Proto Pisani, Sentenza di condanna, in Digesto civ., XVIII, Torino, 1996, 315

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