La qualità del paziente non esime il medico dall’obbligo di informare

Antonio Scalera
10 Giugno 2014

“È onere del medico provare, a fronte dell'allegazione di inadempimento da parte del paziente, l'adempimento dell'obbligazione di fornirgli un'informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente (nella specie, avvocato), potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone
Massima

Cass. civ.

sez. III, 20 agosto 2013

,

n. 19220

“È onere del medico provare, a fronte dell'allegazione di inadempimento da parte del paziente, l'adempimento dell'obbligazione di fornirgli un'informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente (nella specie, avvocato), potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.”

Sintesi del fatto

A seguito di un intervento di fotoablazione corneale ad entrambi gli occhi, Tizio evocava in giudizio Caio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni determinati da colpa professionale medica.

Il giudice di primo grado escludeva che l'esito dell'intervento potesse essere collegato eziologicamente alla condotta del sanitario, ritenendo che fosse, invece, riconducibile a fattori estranei.

La sentenza veniva impugnata da Tizio.

In particolare, l'appellante censurava la decisione di primo grado per erronea ricostruzione dei fatti, non essendo state riscontrate le varie manchevolezze poste in essere dal professionista prima (mancanza del consenso informato), durante (esecuzione contemporanea dell'intervento con laser su entrambi gli occhi) e dopo la prestazione (mancato controllo della fase post intervento).

La Corte di appello rigettava il gravame.

Avverso la sentenza della Corte di merito Tizio proponeva ricorso per cassazione, cui ha resistito con controricorso Caio.

In motivazione

« (…omissis…) risulta evidente che la motivazione al riguardo espressa dalla Corte di merito, in quanto sostanzialmente fondata soltanto su un argomento di natura presuntiva (l'attività di avvocato svolta dal LL. dovrebbe, ad avviso della Corte territoriale, far presumere che lo stesso prima di apporre la sottoscrizione al modulo abbia vagliato tutte le conseguenze, essendo pienamente edotto sull'importanza di tale sottoscrizione nell'economia del contratto di prestazione sanitaria), non risulta assolutamente sufficiente, tenuto conto che da tale circostanza non può desumersi che il consenso prestato sia stato nella specie effettivamente informato nel senso sopra evidenziato, cioè prestato sulla base di una adeguata ed esplicita informazione, anche alla luce delle circostanze del caso concreto, in cui, in particolare, il foglio prestampato contenente l'informativa relativa all'intervento pacificamente non è stato prodotto agli atti, sicché non è dato conoscerne il contenuto, ed è stato fatto sottoscrivere da una segretaria nell'imminenza dell'operazione».

La questione

La questione in esame è la seguente: può dirsi assolto l'obbligo di informazione del medico se il paziente, che è un avvocato, ha sottoscritto un modulo prestampato relativo all'intervento?

Le soluzioni giuridiche

Prima di rispondere negativamente al quesito, la Suprema Corte, nella sentenza in rassegna, ha tracciato un sintetico excursus dei principi da applicarsi in tema di consenso informato.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, l'inadempimento da parte del sanitario dell'obbligo di richiedere il consenso informato al paziente costituisce violazione del diritto all'autodeterminazione (artt. 2, 3, 32 Cost., comma 2) (v. Cass., n. 2847/2010).

Come evidenziato dalla C. Cost. n. 438/2008, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Carta costituzionale (art. 2 Cost.) che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della medesima Carta (artt.13 e 32 Cost.), i quali stabiliscono, rispettivamente, che "la libertà personale è inviolabile", e che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".

Afferma, inoltre, il Giudice delle leggi che numerose norme internazionali prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell'ambito dei trattamenti medici (v. art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991, n. 176; art. 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall'Italia con L. 28 marzo 2001, n. 145; art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000).

La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico si evince, altresì, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche (v. l. 21 ottobre 2005, n. 219, art. 3, Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati; l. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 6, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita; l. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33, Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale in particolare prevede che le cure sono, di norma, volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge).

La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.

Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, la circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.

Sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. Cass., n. 20984/2012; Cass., n. 16543/2011).

In ordine alle modalità e ai caratteri del consenso, è stato affermato che il consenso deve essere, anzitutto, personale, deve, quindi essere prestato dal paziente (ad esclusione evidentemente dei casi di incapacità di intendere e volere del paziente); deve poi essere specifico e esplicito (Cass., n. 7027/2001); deve essere, inoltre, reale ed effettivo, sicché non è consentito il consenso presunto; e deve essere, altresì, anche attuale, nei casi in cui ciò sia possibile (v. Cass., n. 21748/2007). Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole, ossia deve essere "informato", dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico. Tale consenso implica, quindi, la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative (Cass., n. 7027/2001).

Poiché la finalità dell'informazione da parte del medico è quella di assicurare il diritto all'autodeterminazione del paziente, é irrilevante la qualità del paziente al fine di stabilire se vi sia stato o meno consenso informato, potendo essa incidere solo sulle modalità di informazione, in quanto l'informazione deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.

Osservazioni e suggerimenti pratici

A fronte dell'allegazione dell'inadempimento da parte del paziente, è onere del medico provare di avere adempiuto l'obbligo di informazione.

Ciò potrà, il più delle volte, avvenire mediante la produzione dell'apposito modulo sottoscritto dal paziente e contenente l'informativa sull'intervento.

Tuttavia, nel caso in cui il paziente lamenti di non essere stato in grado di comprendere appieno il contenuto del modulo prestampato, ad esempio a motivo delle sue scarse conoscenze in campo medico-scientifico o dello stato soggettivo in cui versava, incomberà al medico dimostrare, eventualmente anche a mezzo di testimoni, di avere fornito un'informazione completa ed effettiva sul trattamento in questione.

Conclusioni

La sentenza in rassegna sottolinea il nesso esistente tra il consenso informato ed il diritto del paziente all'autodeterminazione terapeutica.

Ciò che conta – sembra voler dire la Corte – non è la forma del consenso né la qualità di chi lo presta; occorre, piuttosto, che, per effetto dell'informazione da parte del medico, sia effettivamente assicurato il diritto all'autodeterminazione del paziente, il quale, solo così, sarà libero di accettare o rifiutare la cura in modo consapevole.

Sotto questo profilo, la sentenza si pone in linea di continuità con la giurisprudenza del Giudice delle leggi che, nella citata pronunzia 438/2008 (C. cost., n. 438/2008), evidenziò il fondamento costituzionale del consenso informato, ponendone in risalto la “funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute”.

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