Danno non patrimoniale e patrimoniale da illegittimo protesto: oneri di allegazione e prova in capo al danneggiato e limiti di ricorso alla prova presuntiva

Carlo Breggia
10 Luglio 2015

Il danno da illegittimo protesto non è in re ipsa, ma è un danno-conseguenza, sia quando sia patrimoniale (ripercussione negativa sul patrimonio, in termini di chiusura del credito, diminuiti guadagni, ecc.), sia quando sia non patrimoniale (lesione del buon nome commerciale).
Massima

Il danno da illegittimo protesto non è in re ipsa, ma è un danno-conseguenza, sia quando sia patrimoniale (ripercussione negativa sul patrimonio, in termini di chiusura del credito, diminuiti guadagni, ecc.), sia quando sia non patrimoniale (lesione del buon nome commerciale). Spetta al danneggiato allegare con sufficiente precisione i fatti nei quali il danno si concreta e offrire elementi per la relativa valutazione, fra i quali la durata della pubblicazione del protesto, la presenza o meno di rettifica, i dettagli dell'eventuale difficoltà di accesso al credito, dell'eventuale contrazione dell'attività economica, nonché qualsiasi elemento atto a desumere l'effettivo discredito al buon nome dell'imprenditore in termini di gravità della lesione e della non futilità del danno. È ammessa la prova per presunzioni dell'esistenza del danno, purché le allegazioni siano state adeguate e complete, perché, in difetto, il ricorso a presunzioni darebbe in concreto vita a un automatismo fra illegittimità del protesto e sussistenza del danno che, appunto per la natura di danno-conseguenza, deve essere ripudiato.

Il caso

L'imprenditore individuale Tizio ha chiesto in danno della banca Alfa, della banca Beta e della società Gamma dichiararsi illegittimo il protesto, con loro condanna al risarcimento del relativo danno, levato in relazione a un suo assegno postdatato, tratto sulla banca Alfa in favore della società Beta, che, presentato all'incasso presso la banca Gamma senza che vi fosse provvista, era stato “richiamato” in tempo utile, ma egualmente protestato, perché la banca trattaria Alfa, pur avvisata dalla banca negoziatrice Beta, non aveva dato corso alla richiesta di “richiamo”.

Il Tribunale ha deciso la causa in rito, accogliendo eccezione di estinzione del processo per mancata tempestiva riassunzione dopo interruzione per incorporazione di una banca in altra.

La Corte d'Appello, negato che il processo si fosse estinto, ha reso sentenza di merito, con la quale ha rigettato la domanda, per difetto di prova sul danno.

La Suprema Corte, superata la riproposta questione di rito, che impegna buona parte della motivazione, ha dato atto che la Corte territoriale aveva ritenuto dimostrata l'illegittimità del protesto, ma non provato il danno.

Il giudice di legittimità ha infine vagliato (dal § 3 della motivazione) il ricorso principale dell'imprenditore Tizio. Il giudice d'appello aveva motivato che l'attore non aveva allegato nulla in ordine all'effettivo pregiudizio ricevuto, incentrando la richiesta risarcitoria sulla lesione della propria reputazione commerciale, seguita all'inibizione della carta di credito e all'immissione del protesto nel circuito telematico (è qui da ritenere che ci si riferisca al registro informatico dei protesti presso le camere di commercio di cui all'art. 3-bis l. 15 novembre 1995, n. 480), nonché, genericamente, alla difficoltà di ottenere credito al consumo. D'altra parte, aveva argomentato il giudice d'appello, la lesione della reputazione commerciale è mero indizio dell'esistenza di un danno alla reputazione, cui nel caso concreto non era seguita la prova piena della «avvenuta lesione della reputazione commerciale e personale, suscettibili, rispettivamente, di provocare una perdita patrimoniale, da dimostrarsi, e una riduzione del valore della persona costituente un danno in re ipsa».

La Cassazione, nel rigettare il motivo di ricorso principale dell'imprenditore, afferente alla asserita erronea svalutazione della prova presuntiva del danno offerta, ha, innanzitutto, così correggendo l'impostazione della Corte di merito, ribadito (citando Cass., sez. VI civ., ord., 24 settembre 2013, n. 21865) che il danno non patrimoniale da illegittimo protesto non consegue tout court all'indebita levata, ma è pur sempre un danno conseguenza; ha, quindi, a fortiori rimarcato l'insufficienza della domanda attorea già a livello di allegazione dei fatti, che avrebbero dovuto collegare il danno patrimoniale all'attività commerciale e quello non patrimoniale alla reputazione. Ha poi giudicato erronea la prospettazione di parte ricorrente secondo la quale dalla mera deduzione del pregiudizio da illegittimo protesto seguirebbe il riconoscimento del danno patrimoniale e non patrimoniale e la sua liquidazione equitativa. E ha reputato insufficienti, per una prova presuntiva, i dati allegati, perché aveva taciuto elementi importanti, quali la durata della pubblicazione del protesto, la presenza o meno di rettifica, i dettagli dell'asserita difficoltà di accesso al credito, l'eventuale contrazione dell'attività economica, nonché qualsiasi elemento atto a desumere l'effettivo discredito al buon nome dell'imprenditore in termini di gravità della lesione e della non futilità del danno (è richiamata Cass., sez. I civ., sent.,11 ottobre 2013, n. 23194).

Infine, la Suprema Corte ha rilevato la non pertinenza del richiamo all'art. 1226 c.c., afferendo esso al momento della liquidazione del danno, laddove nel caso in esame mancava a monte la prova della sussistenza di esso.

La questione

Due sono le questioni fra sé collegate:

1) se l'illegittimità del protesto determini un danno patrimoniale e un danno non patrimoniale in re ipsa ovvero se essi siano danni-conseguenza;

2) se e in qual misura, assodata l'illegittimità del protesto, sia sufficiente allegare la lesione patrimoniale e non, ovvero se il danneggiato debba indicare con precisione i nocumenti patiti e provarli, eventualmente per presunzioni.

Le soluzioni giuridiche

Vengono ribaditi principî che, come si desume anche dal richiamo dei propri precedenti (ai quali si possono aggiungere Cass., sez. I civ., 25 febbraio 2009, n. 7211; Cass., sez. III civ., 16 febbraio 2012, n. 2226), possono dirsi, allo stato, pacifici nella giurisprudenza di legittimità, ossia:

1) Il danno da illegittimo protesto è un danno-conseguenza sia sotto il profilo patrimoniale (ad es., chiusura del credito e conseguente decremento dell'attività imprenditoriale con calo dei ricavi), sia sotto quello non patrimoniale (ad es., cattiva reputazione commerciale e conseguente venir meno del buon nome in precedenza goduto). Ne segue che:

  • Il danneggiato deve sempre in maniera specifica allegare – e dimostrare, se contestati - i fatti che concretano il danno patrimoniale (ad es. se e quali linee di credito di cui si godeva sono state chiuse con la motivazione che c'era stato il protesto; se e quali affari non sono stati conclusi perché la controparte contrattuale, saputo del protesto, ha interrotto i rapporti; se e quali iniziative imprenditoriali che si stavano preparando non sono state poste in essere perché sono stati negati i finanziamenti a causa del protesto) e non patrimoniale (ad es. se e in quali ambiti si è propagata e ha avuto risonanza la notizia dell'avvenuto protesto);
  • una prova presuntiva dell'esistenza del danno è, sempre che la pregressa attività di allegazione sia stata sufficiente, ammessa, ma essa deve fondarsi su elementi significativi, fra i quali la pronuncia in commento annovera espressamente la durata della pubblicazione del protesto, la presenza o meno di rettifica, i dettagli dell'asserita difficoltà di accesso al credito, l'eventuale contrazione dell'attività economica, nonché qualsiasi elemento atto a desumere l'effettivo grave e non futile discredito al buon nome dell'imprenditore;
  • è ribadita, pur se implicitamente, la risarcibilità del danno non patrimoniale, purché la lesione sia grave e il danno non sia futile.
Osservazioni

L'indirizzo confermato dalla pronuncia in esame va, ad avviso di chi scrive, nella giusta direzione di limitare le richieste di risarcimento del danno da illegittimo protesto a quei casi in cui il danno sussista realmente, ponendo al danneggiato precisi doveri di allegazione e di prova e chiamando i giudici di merito a esercitare sul punto un vaglio rigoroso. Preme qui sottolineare – una volta riaffermata la categoria del danno conseguenza - la delicatezza del profilo afferente il nesso causale fra illegittimità del protesto e nocumento: non necessariamente un tracollo imprenditoriale trova fondamento in un singolo protesto e non necessariamente una cattiva fama commerciale deriva da un singolo protesto, così che, soprattutto in presenza di contestazioni della parte convenuta, dovrà il giudice farsi carico di valutare se i danni dedotti possano derivare da cause diverse che non il protesto illegittimo, come nei casi in cui emerga che esistevano pregressi protesti legittimi, che l'impresa era già in precedenza inattiva o in crisi, che l'imprenditore era già noto nel settore come poco affidabile. Sarebbe, infine, fuorviante ritenere che la sentenza in commento ponga al danneggiato un compito eccessivamente difficoltoso per accedere al risarcimento: è infatti chiaro dalla motivazione che c'era in quel caso stata da parte del ricorrente una notevole approssimazione già in fase di allegazione dei fatti, e un ingiustificato affidamento sull'equazione illegittimità del protesto uguale produzione di un danno. Si può ragionevolmente ritenere che, nella pratica giudiziaria, tanto più il danneggiato sarà in grado di allegare con precisione gli elementi integranti il danno, tanto più il giudice, anche alla luce della condotta del convenuto (che, a quel punto, avrà un preciso onere di contestazione, che invece neppure ha se l'attore non ha indicato fatti precisi), sarà disposto, oltre che tenuto, ad affidarsi sul punto alla prova presuntiva, così come, al contrario, tanto più frettolosa sarà l'allegazione, tanto più rigoroso sarà il controllo giudiziale.

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