Danno da riduzione della capacità lavorativa specifica: la contrazione dei guadagni va allegata e provata

Antonio Scalera
11 Luglio 2017

Danno permanente avente incidenza pari al 20% sulla capacità lavorativa specifica del soggetto, che svolga un lavoro intellettuale: la contrazione della capacità di guadagno deve essere provata e non presunta
Massima

In presenza di un danno permanente non lieve, avente una incidenza del 20% sulla capacità lavorativa specifica del soggetto, che svolga un lavoro intellettuale, la contrazione della capacità di guadagno non può essere presunta, ma deve essere allegata e provata.

Il caso

Il notaio M.F. nel 2006 venne coinvolta, quale trasportata sull'auto di M.R., in un incidente stradale con vettura priva di copertura assicurativa, riportando lesioni alla persona (lo scoppio di una vertebra) con esito permanente; convenne, perciò, in giudizio il vettore M.R. e la compagnia di assicurazioni di questi, nonché V.C.F., conducente dell'altra vettura che, perdendo una ruota che andava ad urtare la BMW condotta da M.R., ne aveva provocato l'uscita di strada, e le Generali Ass.ni quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, non essendo la seconda vettura risultata assicurata.

La domanda risarcitoria di M.F. in primo grado fu accolta solo in parte.

Il Tribunale rigettò la domanda volta al risarcimento del danno da lucro cessante connesso alla invalidità temporanea e alla invalidità permanente.

La Corte d'Appello di Milano le riconobbe un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del lucro cessante per il periodo di invalidità temporanea, confermando il rigetto della domanda in relazione al lucro cessante da invalidità permanente sulla considerazione che si fosse provveduto a personalizzare il danno biologico nella misura massima, tenendo conto della considerazione del CTU relativa al una diminuzione della capacità lavorativa specifica del 20%, rapportata al maggior affaticamento e alla usura lavorativa del notaio.

La Corte d'Appello, in particolare, negò il risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica escludendo che fosse stata fornita la prova, anche presuntiva, di un pregiudizio economico collegato alle conseguenze permanenti dell'incidente.

M.F. ha proposto ricorso per cassazione.

La questione

È risarcibile il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica in mancanza di prova del pregiudizio economico?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, osserva che la motivazione della corte d'appello non contraddice, in diritto, i principi di riferimento.

In particolare, i Giudici di legittimità rilevano che la decisione della Corte territoriale si muove, con accertamento in fatto non rinnovabile in sede di legittimità, sul piano della prova.

In primo luogo, la Corte ambrosiana dà atto della presenza di un danno permanente non lieve, stimato dal CTU come avente una incidenza del 20% sulla capacità lavorativa specifica del soggetto, in considerazione del quale personalizza il danno biologico nel massimo grado consentito, per adeguatamente risarcire la professionista dell'indubbia perdita di qualità della vita, privata prima che professionale, conseguente ai postumi permanenti dell'incidente.

La Corte di merito, quindi, correttamente afferma che la contrazione della capacità di guadagno, pur in presenza del verificarsi di una invalidità permanente di incidenza non trascurabile, non può essere presunta, ma deve essere allegata e provata.

Nel caso di specie questa prova non è stata fornita.

Le dichiarazioni dei redditi del notaio non sono univocamente indicative di un decremento progressivo dei guadagni negli anni successivi all'incidente; esse presentano, piuttosto, delle oscillazioni e, perciò, non sono idonee a fornire la prova di una costante diminuzione della capacità di guadagno da porre in rapporto causale con il verificarsi dell'evento dannoso.

La danneggiata non ha, dunque, offerto una prova adeguata della derivazione causale, secondo la regola della regolarità causale o del più probabile che non, tra la contrazione di reddito verificatasi, sebbene non con la richiesta univocità, negli anni successivi al fatto illecito (o la mancanza di incremento) e la impossibilità fisica, per il notaio, di mantenere i ritmi lavorativi precedenti, e tanto meno di incrementarli.

L'introduzione del riferimento al fatto notorio della crisi economica e della sua possibile incidenza, come fattore causale alternativo, sulla contrazione del volume di affari delle professioni intellettuali in genere e della professione notarile in particolare ha un peso solo rafforzativo del convincimento già maturato sulla base di una corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.

Osservazioni

Il tema evocato nella sentenza in rassegna è quello dell'apprezzamento del danno permanente riportato da chi eserciti una professione intellettuale, sotto il profilo della riduzione della propria capacità di produrre guadagno, e quindi del verificarsi di un lucro cessante futuro.

I principi elaborati dalla giurisprudenza in materia sono stati correttamente riportati dalla ricorrente e possono essere sintetizzati nel modo seguente:

- il danno derivante da invalidità permanente che si traduca nella lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà nello svolgimento dell'attività lavorativa, si risolve innanzitutto in una compromissione biologica dell'individuo e va liquidato come danno alla salute;

- può essere liquidato anche come danno patrimoniale, qualora si provi che esso abbia comportato anche una comprovata riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, in connessione con l'attività da questi svolta; della riduzione del reddito e della connessione causale tra questa contrazione e la menomazione subita deve essere fornita la prova;

- l'onere della prova grava sul danneggiato ma la prova della incidenza causale della invalidità sulla diminuzione della capacità di produrre reddito può essere fornita anche a mezzo di presunzioni.

Il danno conseguente alla perdita o riduzione della capacità lavorativa c.d. generica viene definito dalla giurisprudenza come "la sopravvenuta inidoneità del soggetto danneggiato allo svolgimento delle attività lavorative che, in base alle condizioni fisiche, alla preparazione professionale e culturale, sarebbe stato in grado di svolgere" (Cass. civ., 9 marzo 2001, n. 3519) . Proprio in forza di questa definizione, l'orientamento prevalente (Cass. civ., 11 dicembre 2012 n. 22638; Cass. civ., 14 giugno 2012 n. 9708; Cass. civ., 18 novembre 2010 n. 23259; Cass. civ., 13 luglio 2010 n. 16396,; Cass. civ., 10 marzo 2008 n. 6288; Cass. civ., 12 dicembre 2008 n. 29191; Cass. civ., 13 luglio 2010 n. 16396) ha da sempre ritenuto che tale voce di danno abbia natura non patrimoniale concernendo una qualità della vita della persona essenziale, la cd. produttività dell'uomo, e dunque viene valutato e quantificato all'interno del risarcimento del danno biologico "inerendo al valore dell'uomo come persona". Nel danno alla salute dovrebbero, infatti, confluire, secondo questa interpretazione, tutte le ipotesi "di danno non reddituale", tra cui, appunto, i danni derivati dalla riduzione della capacità lavorativa generica. L'orientamento descritto, assolutamente maggioritario, risulta seguito anche dalle sentenze di merito analizzate, nelle quali più volte si ribadisce che il "danno alla c.d. cenestesi lavorativa, inteso nel senso di maggior fatica nello svolgimento del lavoro, risolvendosi in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo, va liquidato come danno alla salute" (Trib. Roma, 11 febbraio 2011; conformi, ex multis, Trib. Napoli, 17 settembre 2012; Trib. Bari, 24 giugno 2011; Trib. Milano, 13 giugno 2011).

Per quanto concerne, invece, la riduzione della capacità lavorativa c.d. specifica, ossia l'effettiva contrazione reddituale conseguente alle lesioni subite, la questione maggiormente dibattuta resta, dopo molti anni, la prova di tale fattispecie di danno. In merito si è recentemente espressa la Corte di cassazione con la sentenza Cass. civ., 12 febbraio 2013 n. 3290, secondo cui «in tema di risarcimento del danno da invalidità personale, l'accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta automaticamente l'obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità di guadagno derivante dalla diminuzione della predetta capacità e, quindi, di produzione di reddito, occorrendo, invece, ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico».

L'orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., 12 febbraio 2013 n. 3290; Cass. civ., 14 novembre 2011 n. 23761; Cass. civ., 10 luglio 2008 n. 18866 ; Cass. civ., 6 giugno 2008 n. 15031; Cass. civ., 8 agosto 2007 n. 17397; Cass. civ., 17 novembre 1999 n. 12757; Cass. civ., 21 giugno 1999 n. 6247; Cass. civ., 19 febbraio 1998 n. 1764), di cui fa parte la pronuncia in rassegna, può dirsi pressoché unanime nel ritenere imprescindibile la prova della riduzione della capacità reddituale del danneggiato e nel ribadire l'impossibilità di ritenere presunto tale danno unicamente in forza dell'accertamento di un'invalidità permanente, ancorché grave.

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