Il danno differenziale tra risarcimento civile ed indennizzo previdenziale e la tabella delle menomazioni

10 Ottobre 2016

La domanda del lavoratore volta ad ottenere il riconoscimento di malattia di origine professionale con conseguente condanna dell'INAIL ad erogare le prestazioni di cui all'art.13 d.lgs. 38/2000 non può essere rigettata, ritenendo insussistenti i presupposti per l'accoglimento della stessa, facendo riferimento alla percentuale del 5% - inferiore al minimo richiesto ai fini della tutela INAIL – determinato nella causa contro il datore di lavoro.
Massima

La domanda del lavoratore volta ad ottenere il riconoscimento di malattia di origine professionale con conseguente condanna dell'INAIL ad erogare le prestazioni di cui all'art. 13 d.lgs. n. 38/2000 non può essere rigettata, ritenendo insussistenti i presupposti per l'accoglimento della stessa, facendo riferimento alla percentuale del 5% - inferiore al minimo richiesto ai fini della tutela INAIL – determinato nella causa contro il datore di lavoro. Anche in assenza di ricorso in Cassazione, infatti, la determinazione del danno biologico risultante dalla causa risarcitoria nei confronti del datore di lavoro non può rimanere ferma nella causa previdenziale, sia perché l'INAIL è terzo rispetto alla prima causa, sia in quanto la determinazione del danno biologico in sede previdenziale si effettua osservando obbligatoriamente la specifica tabella delle menomazioni, mentre ai fini civilistici si utilizzano baremès facoltativi, secondo tabelle elaborate dalla comunità scientifica.

Il caso

La domanda svolta dal lavoratore nei confronti dell'INAIL, successiva a quella formulata in sede civile nei confronti del datore di lavoro, veniva respinta dal giudice di prime cure per prescrizione, mentre, all'esito del procedimento di secondo grado, la Corte D'Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, affermava il mancato decorso del termine di prescrizione, giungendo tuttavia ugualmente al rigetto della domanda per ritenuta insussistenza dei presupposti quantitativi per l'accoglimento della stessa, posto che, nella diversa causa intentata dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, l'entità del danno biologico era rimasto fissato nella percentuale del 5%, inferiore al minimo richiesto ai fini della tutela INAIL. Il lavoratore, pertanto, impugnava la decisione di secondo grado con ricorso in Cassazione fondato su un unico motivo con cui lamentava la violazione e falsa applicazione dell'art.13 d. lgs. n. 38/2000 in relazione al Decreto del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale pubblicato sulla G.U.172/2000 (D.M. Lav. 12 luglio 2000) e l'omessa motivazione circa un fatto controverso per il giudizio per avere la Corte territoriale respinto la domanda per difetto dei presupposti sotto il profilo del quantum tutelabile.

La questione

La determinazione del danno biologico risultante nella causa risarcitoria svolta dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro al fine di ottenere il riconoscimento della malattia professionale ed il conseguente risarcimento del danno, una volta passata in giudicato, è idonea a rimanere ferma anche nella causa previdenziale promossa dal lavoratore al fine di chiedere la condanna dell'INAIL ad erogare le prestazioni di cui all'art. 13 d.lgs. n. 38/2000?

Quali criteri devono essere utilizzati per la determinazione della percentuale di danno biologico, nonché per la relativa quantificazione, rispettivamente nel giudizio civile ed in quello previdenziale?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso svolto dal lavoratore nei confronti dell'INAIL, cassando con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo fondato l'unico motivo formulato con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 d.lgs. n. 38/2000 in relazione al Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale pubblicato sulla G.U.172/2000, nonché l'omessa motivazione circa un fatto controverso per il giudizio per avere la Corte territoriale respinto la domanda per difetto dei presupposti sotto il profilo del quantum tutelabile, sostenendo che la percentuale di danno biologico risarcibile dall'INAIL fosse quella accertata sulla base di CTU nel procedimento civile svolto nei confronti del datore di lavoro. La Suprema Corte afferma che la rendita per invalidità superiore al 15% ovvero l'indennizzo per danno biologico superiore al 5% debba essere determinata mediante autonoma CTU e non sulla base di quella effettuata nella causa risarcitoria contro il datore di lavoro, considerando, altresì, che la determinazione del danno biologico in sede previdenziale non si effettua con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica, ma in base a parametri, tabelle e regole stabiliti dal sistema assicurativo e per conseguire le finalità di cui all'art. 38 Cost. Nella sentenza in commento si precisa, altresì, che la determinazione del danno biologico risultante nella causa risarcitoria contro il datore di lavoro, anche in caso di passaggio in giudicato della medesima, non può fare stato in sede previdenziale, stante l'estraneità dell'INAIL rispetto alla prima causa. La soluzione adottata dalla Suprema Corte rappresenta l'ultimo approdo giurisprudenziale in tema di cd. danno differenziale, locuzione quest'ultima che non ha origini normative ed è priva di una definizione autentica, esistendo in quanto prevista dall'art.10, D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965, che stabilisce che esso è rappresentato dall'ulteriore quota di ristoro calcolata secondo le regole della responsabilità civile in caso di insufficienza dell'indennizzo previdenziale.

A seguito dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 38/2000, parte della giurisprudenza di merito riteneva che l'inclusione del danno biologico nella assicurazione avrebbe comportato l'assorbimento di qualsiasi danno non patrimoniale, anche morale, all'interno della prestazione liquidata dall'INAIL (Trib. Salerno, 5 febbraio 2001; Trib. Torino 10 giugno 2003; Trib. Torino 22 dicembre 2003; Trib. Vicenza 3 giugno 2004; Trib. Torino 9 novembre 2004; Trib. Vicenza 5 aprile 2005, Trib. Roma 4 dicembre 2007 e Trib. Palermo 18 dicembre 2007) ed aveva, pertanto, inizialmente escluso la configurabilità di un danno biologico ricavabile quale differenza tra i valori riconosciuti dai diversi sistemi di liquidazione esistenti sulla base di due argomentazioni: la riconduzione del danno biologico alla copertura assicurativa obbligatoria avrebbe realizzato un contemperamento tra l'esigenza di piena tutela e la certezza, tempestività ed automaticità della stessa; la doppia valutazione del danno, dapprima con le tabelle INAIL e successivamente con le tabelle di elaborazione giurisprudenziale (che consisterebbero in una traduzione in cifre di un giudizio reso in via equitativa) violerebbe il principio secondo cui la liquidazione equitativa del danno è possibile solo quando è obiettivamente impossibile o particolarmente difficile determinarne il quantum, presupposto che difetterebbe nel caso di danno biologico conseguente ad infortunio sul lavoro o malattia professionale, essendo il quantum fissato dalla legge (Cass., 29 ottobre 2003, n. 16250).

Altra parte della giurisprudenza di merito, invece, ammetteva l'esistenza del danno biologico differenziale (Trib. Torino 14 aprile 2006, Trib. Treviso 12 luglio 2004, Trib. Pinerolo 27 aprile 2004, App. Torino 29 novembre 2004) muovendo dalla ontologica differenza tra indennizzo e risarcimento. Sulla base di tale indirizzo si affermava che il sistema indennitario prescinde dai presupposti della responsabilità civile ed è corrisposto alla sola condizione che l'evento sia qualificabile come infortunio sul lavoro o malattia professionale, senza che sia necessario l'espletamento preventivo di un'indagine volta all'accertamento della responsabilità in capo al datore di lavoro, trovando il proprio ancoraggio normativo nell'art. 38 Cost., mentre il sistema risarcitorio garantirebbe la piena ed integrale tutela del diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost.. Un'ulteriore differenza è costituita dal fatto che il diritto all'indennizzo cessa con la morte del lavoratore assicurato, a differenza del risarcimento del danno che si trasmette jure hereditario. Secondo le richiamate sentenze ove si ritenga che l'art.13, d.lgs. n. 38/2000 regoli, per i casi di danni da origine lavorativa, non solo l'indennizzo sociale, ma anche il risarcimento del danno biologico, la norma dovrebbe essere sospettata di incostituzionalità, poiché comprimerebbe il diritto del lavoratore all'integrale risarcimento del danno alla salute, del tutto ingiustificato nel nostro ordinamento, in spregio a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sent. 15 febbraio 1991, n.87, che aveva invitato il legislatore ad apprestare la tutela sociale del danno biologico per assicurare al lavoratore infortunato una garanzia differenziata e più intensa che consenta l'effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno.

La questione si è ulteriormente complicata nel 2008 allorquando, a fronte dell'affermazione da parte della Suprema Corte a Sezioni Unite del principio secondo il quale le varie poste risarcitorie devono essere tutte riassorbite nella sola categoria del danno non patrimoniale (Cass. civ., Sez. Un., n.26972/2008), talune pronunce hanno escluso la risarcibilità di qualsiasi danno biologico ulteriore, inteso non solo in senso stretto, ma anche nella sua componente dinamico – relazionale, rispetto a quello erogato o erogabile dall'INAIL (Trib. Milano 9 giugno 2009, n. 7515; Trib. Salerno 9 marzo 2012).

Negando autonoma configurazione al danno morale o ad altri pregiudizi esistenziali, si giungerebbe a non ammettere qualsivoglia risarcimento ulteriore al lavoratore. Tuttavia, se così fosse le sentenze della Cassazione del 2008, non solo sarebbero intervenute sulla nozione di danno non patrimoniale, ma avrebbero rimaneggiato l'intero sistema dei rapporti tra indennizzo previdenziale e risarcimento del danno al lavoratore, allargando l'esonero del datore di lavoro verso confini impensabili al momento della scrittura del sistema assicurativo che invece postula l'esistenza di un danno differenziale.

La prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, tuttavia, non ha condiviso l'impostazione richiamata da ultimo in quanto il danno alla salute indennizzato dall'INAIL è il danno alla salute in senso stretto, con la conseguenza che tale tutela non copre gli aspetti soggettivi del danno e quindi le componenti dinamiche dello stesso, mancando infatti la cd. personalizzazione.

Osservzioni

La sentenza della Cassazione, affermando che la liquidazione degli indennizzi operata dall'INAIL si effettua in base a parametri, tabelle e regole stabilite dal sistema assicurativo e per conseguire i fini suoi propri in conformità all'art. 38 Cost., cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello la quale, accertata la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela, dovrà procedere alla determinazione autonoma delle conseguenze ai sensi dell'art.13 D.Lgs. n. 38/2000 e delle tabelle allegate allo stesso, oltre alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Nel procedimento di rinvio innanzi alla Corte d'Appello si potranno pertanto prospettare le seguenti ipotesi:

a) la CTU che dovrà essere disposta per la determinazione della percentuale di danno biologico in base ai parametri di cui al D.M. 12 luglio 2000 e successivi aggiornamenti, richiamato dall'art.13, D.Lgs. n. 38/2000, potrebbe portare a ritenere lo stesso comunque inferiore al 6% con conseguente esclusione della tutela INAIL. In questo caso il risarcimento già effettuato da parte del datore di lavoro dovrebbe essere qualificato quale danno complementare, ossia escluso in origine dalla copertura INAIL, il ricorso verrebbe comunque rigettato e presumibilmente le spese del ricorso in cassazione poste a carico dell'INAIL, mentre quelle del giudizio di rinvio a carico del lavoratore soccombente;

b) la CTU potrebbe invece ritenere il danno biologico superiore al 5% con conseguente operatività della tutela INAIL, ma in questo caso, l'Istituto Previdenziale, nel caso in cui il datore di lavoro avesse già provveduto al risarcimento in sede civile del danno biologico, dovrebbe corrispondere al lavoratore soltanto l'eventuale ed ipotetica eccedenza, senza esercitare, per il resto, il regresso nei confronti del datore di lavoro. Ad ogni modo, posto quanto sopra detto con riferimento alla natura indennitaria della prestazione da parte dell'INAIL, di norma l'indennizzo INAIL sarà inferiore a quanto determinato a titolo di risarcimento del danno in sede civile. Ritengo che in tale ultima ipotesi, sia nel caso in cui venga riconosciuta l'esistenza di un danno differenziale, sia allorquando l'importo che avrebbe dovuto versare l'INAIL fosse inferiore a quello già versato dal datore di lavoro, sia le spese del giudizio in Cassazione che quelle del giudizio di rinvio dovrebbero essere poste a carico dell'INAIL, stante l'operatività della copertura assicurativa, inizialmente negata dall'Istituto Previdenziale.

Guida all'approfondimento
  • Massimo Corrias, Questioni sul danno alla persona del lavoratore, Resp. Civ. e Prev. 2013, 05 1710B;
  • Roberto D'Avossa, Danno differenziale ed esonero da responsabilità civile del datore di lavoro per infortunio o malattia professionale: le questioni irrisolte, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 2007, 01, 0077;
  • Leuzzi, I danni risarcibili anche alla luce di Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008 n.26972. Il danno differenziale e il regresso INAIL, relazione al corso di formazione del CSM, 2009.

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