Abusiva reiterazione di contratti a termine nel settore scolastico e risarcimento del danno

12 Aprile 2017

Va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati nel settore scolastico su c.d. organico di diritto.
Massima

Va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati nel settore scolastico su c.d. organico di diritto. Tale risarcimento spetta in presenza delle seguenti condizioni: che la reiterazione dei contratti a termine si sia protratta per un periodo superiore a trentasei mesi; che tale reiterazione riguardi periodi successivi alla data del 10 luglio 2001, termine entro cui il legislatore italiano avrebbe dovuto adeguarsi alla disciplina dettata dalla DIR. n. 99/70/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato; che il lavoratore non sia stato immesso in ruolo per effetto dello scorrimento delle graduatorie; che lo stesso non abbia alcuna certezza di stabilizzazione, in tempi certi e ravvicinati, per effetto del piano straordinario di assunzioni previsto dalla l. n. 107/2015.

Va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati nel settore scolastico su c.d. organico di fatto e per le supplenze temporanee. Il diritto al risarcimento del danno sussiste qualora il lavoratore dimostri, non solo il superamento del limite di durata di trentasei mesi, ma anche che il concreto ricorso ai contratti a termine è improprio o distorto, non sussistendo in concreto le esigenze temporanee presunte dal legislatore in riferimento a tali tipologie di contratti.

Il risarcimento del danno deve essere riconosciuto nella misura e secondo i principi affermati nella sentenza della Cassazione Civile (Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2016 n. 5072).

Il caso

Un'assistente amministrativa scolastica, assunta con reiterati contratti a tempo determinato, agisce in giudizio per ottenere la conversione del proprio rapporto di lavoro in un rapporto a tempo indeterminato e, in via subordinata, il risarcimento del danno. Soccombente in grado di appello, ricorre in Cassazione.

La questione

a) A quali condizioni è illegittima la reiterazione di contratti a tempo determinato, stipulati in riferimento al c.d. organico di diritto?

b) A quali condizioni è illegittima la reiterazione di contratti a tempo determinato, stipulati in riferimento al c.d. organico di fatto o per supplenze temporanee?

c) Quali conseguenze derivano dalla illegittima reiterazione dei contratti a termine?

Le soluzioni giuridiche

a) La Corte di Cassazione individua i confini dell'illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato nel settore scolastico, innanzitutto con riferimento al c.d. organico di diritto.

La reiterazione dei contratti a termine è illegittima se è superato il limite temporale di trentasei mesi: in assenza di una norma specifica, la Corte di Cassazione individua tale termine in considerazione, da un lato, della cadenza triennale prevista per le procedure concorsuali e, dunque, per la copertura di quei posti con immissioni in ruolo (art. 400, d.lg. 16 aprile 1994, n. 297); dall'altro, uniformandosi alla regola vigente nell'impiego privato (p.ti 64 e 65).

In secondo luogo, la reiterazione dei contratti a termine deve riguardare periodi successivi alla data del 10 luglio 2001, termine entro cui il legislatore italiano avrebbe dovuto adeguarsi alla disciplina dettata dalla DIR. n. 99/70/CE (relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato). Prima di tale termine, infatti, non sarebbe configurabile alcun abuso, non avendo il legislatore nazionale l'obbligo di limitare la reiterazione dei contratti a tempo determinato (p.to 66).

In terzo luogo, il lavoratore non deve aver ottenuto l'immissione in ruolo, per effetto del sistema di avanzamento delle graduatorie: la stabilizzazione del rapporto di lavoro determina il conseguimento del medesimo “bene della vita” oggetto di giudizio e, dunque, ripara il danno e paralizza la pretesa risarcitoria (p.to 85). La Corte precisa che il lavoratore è ammesso a provare di aver subito danni ulteriori, legati ad esempio al ritardo nel conseguimento dell'immissione in ruolo, ma che per tali danni non operano le agevolazioni probatorie previste per i danni da mancata conversione del rapporto di lavoro (su cui si v. infra).

Infine, il lavoratore non deve avere la «certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell'art. 1 della legge n. 107 del 2015» (p.to 89). La Corte fa riferimento al piano straordinario di assunzioni previsto dalla l. n. 107/2015, che dovrebbe condurre alla copertura con personale di ruolo di tutti i posti vacanti e disponibili, fino a totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, così stabilizzando un'ampia fascia di docenti precari. La certezza di fruire in tempi certi e ravvicinati di tale piano di stabilizzazione, secondo la Cassazione, impedisce al lavoratore di ottenere il risarcimento del danno per la illegittima reiterazione dei contratti a termine, essendo prossimo al conseguimento del “bene della vita” anelato. È facile prevedere che contrasti sorgeranno in giurisprudenza intorno ai requisiti della “certezza” di stabilizzazione e del carattere “certo e ravvicinato” dei tempi della stessa. È bene sottolineare che tale piano straordinario di assunzioni riguarda il personale docente e non il personale ATA, in riferimento al quale non andrà dunque verificato il rispetto dell'ultimo presupposto indicato.

Nel caso di specie, la Corte rigetta la pretesa della ricorrente ravvisando la mancanza del secondo presupposto: i contratti a tempo determinato non hanno avuto durata superiore a trentasei mesi, con riguardo alle reiterazioni realizzate a partire dal 10 luglio 2001 (p.to 127).

b) Secondo la Corte, diversi sono i confini della illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato, in riferimento ai lavoratori assunti su c.d. organico di fatto o per supplenze temporanee. Tali posizioni si rendono disponibili per esigenze contingenti dell'attività didattica (ad esempio, l'aumento imprevisto degli alunni iscritti) o per momentanea assenza del personale di ruolo (ad esempio per malattia, gravidanza ecc.). La Corte riprende dunque l'argomentazione resa dalla Corte di Giustizia nella sentenza Mascolo (C. Giust. 26 novembre 2014, C-22/13, C-61-63/13, C-418/13, Mascolo e altri vs. MIUR) per affermare che, in tale ambito, va ritenuta in astratto legittima la reiterazione dei contratti a tempo determinato, in quanto giustificata da particolari esigenze obiettive del datore di lavoro. La successione di contratti a termine è illegittima solamente se, oltre al superamento della soglia di trentasei mesi, vi è stato un utilizzo improprio dei contratti a termine, che dimostra l'inesistenza in concreto delle esigenze temporanee (p.to 102).

Sulla scorta di tale argomentazione, la Corte non considera i periodi in cui la ricorrente ha lavorato con contratti a termine su posizioni di organico di fatto, in quanto non risulta allegato l'uso improprio o distorto di tali contratti ma solamente il superamento della soglia di trentasei mesi (p.to 127).

c) In presenza delle condizione di cui sopra, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, nella misura e secondo i principi affermati dalla sentenza della Cassazione Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2016 n. 5072 (per un maggior approfondimento, vedi anche M. AZZONI, G.P. PANIZZA, Abuso del ricorso al contratto a termine da parte della p.a. e risarcimento del danno: le Sezioni Unite fanno chiarezza, in Ri.Da.Re.). In particolare, il lavoratore avrà diritto all'indennità prevista dall'art. 32, comma 5, l. 4 novembre 2010, n. 183, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Trattandosi di regime indennitario, il lavoratore è esonerato dall'onere di provare il danno derivante dalla mancata stabilizzazione del rapporto; a differenza che nel settore privato, può far valere in giudizio un danno ulteriore, operando per questo le ordinarie regole probatorie.

La Cassazione, sulla scorta di quanto recentemente affermato dalla Corte Costituzionale (C. cost., n. 187 del 2016, su cui si v. infra), chiarisce che nel settore scolastico non opera il rimedio della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'Amministrazione, ma il rimedio di carattere risarcitorio. Peraltro, la piena operatività dell'art. 36, d.lg. n. 165 del 2001 nel settore scolastico è stata da ultimo chiarita in via legislativa (art. 29, comma 4, d. lg. n. 81 del 2015): opera quindi la regola di cui all'art. 36, comma 5, che esclude la conversione del rapporto di lavoro, in favore del risarcimento del danno. Si possono dire così superate le posizioni ancora di recente assunte da una giurisprudenza di merito in favore del rimedio della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Trib. Napoli, 21 gennaio 2015 che, nel giudizio che aveva dato causa alla sentenza Mascolo, dispone la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'Amministrazione).

Osservazioni

La pronuncia in commento si inserisce nell'ambito dell'ampia querelle sui c.d. precari della scuola, su cui è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale. In particolare, con sentenza n. 187 del 2016, la Corte Costituzionale ha recepito quanto statuito dalla sentenza “Mascolo” (C. Giust. 26 novembre 2014, C-22/13, cit.) e ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 11, l. 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), per contrasto con la clausola n. 5 della DIR. n. 99/70/CE (relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) e con l'art. 117, comma 1, Cost. Tale clausola, nel vietare l'abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, impone che gli Stati membri adottino una o più delle misure indicate: ragioni obiettive a giustificazione dei rinnovi contrattuali; durata massima totale dei rapporti di lavoro a termine; numero massimo dei rinnovi contrattuali. La Corte Costituzionale, rilevata l'assenza di simili misure, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 11, l. n. 124 del 1999, nella parte in cui autorizza il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili (c.d. organico di diritto), senza che ragioni obiettive lo giustifichino e in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro.

La pronuncia della Cassazione che qui si commenta è particolarmente significativa poiché rappresenta la “sentenza pilota” sui ricorsi contro l'abuso dei contratti a termine nel settore scolastico.

In primo luogo, attuando il decisum della Corte Costituzionale, la Cassazione fissa le condizioni in presenza delle quali la reiterazione dei contratti a termine su c.d. organico di diritto va ritenuta illegittima, con conseguente risarcimento del danno al lavoratore. Va sottolineato, peraltro, che le statuizioni della sentenza riguardano le fattispecie di illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato realizzatesi prima dell'entrata in vigore della disciplina introdotta dalla l. n. 107/2015, che ha risolto in via legislativa la tematica: l'art. 1, comma 131 di tale legge ha previsto che, a partire dal 1 settembre 2016, i contratti a termine su organico c.d. di diritto non possano avere durata superiore ai trentasei mesi (l'art. 1, comma 132, l. n. 107 del 2015, peraltro, prevede l'istituzione di un apposito fondo, destinato al risarcimento dei danni conseguenti al superamento del limite di durata massima di tali contratti).

In secondo luogo, la pronuncia in commento va oltre la fattispecie oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale e si occupa della reiterazione di contratti a termine per la copertura del c.d. organico di fatto o per supplenze temporanee, individuandone le condizioni di illegittimità nei termini di cui si è detto (si v. supra).

Come anticipato, la Corte aderisce alla soluzione adottata dalla sentenza di Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2016 n. 5072, quanto all'importo e al regime probatorio del risarcimento del danno. Sul punto, va segnalato che l'adeguatezza di tale modello risarcitorio ai canoni dell'Unione europea è stata recentemente messa in discussione da un'ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (Trib. Trapani, ord. 5 settembre 2016).

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