La responsabilità del supermercato per la caduta del cliente

Marco Lunedei
12 Aprile 2016

La responsabilità del gestore del supermercato per i danni derivati agli utenti configura non già una forma di responsabilità per colpa, bensì un'ipotesi di responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c..
Massima

La responsabilità del gestore del supermercato per i danni derivati agli utenti configura non già una forma di responsabilità per colpa, bensì un'ipotesi di responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., che trova piena giustificazione in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode e risulta esclusa solamente dal caso fortuito.

Il caso

Un avventore rimaneva vittima di una caduta all'interno di un esercizio commerciale, nella fattispecie un supermercato, cagionata dalla presenza di un acino d'uva schiacciato sul pavimento in prossimità del reparto ortofrutta. Conveniva pertanto in giudizio la società gerente dell'esercizio per sentirla condannare al risarcimento dei danni tutti subiti in conseguenza del sinistro.

Parte convenuta si costituiva contestando la circostanza ed eccepiva l'esistenza di personale addetto a ripulire le aree antistanti gli espositori proprio al fine di evitare insidie per la clientela.

La questione

Chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità del supermercato per i danni derivati all'utente dall'omessa custodia dei locali dell'esercizio commerciale, il Tribunale perugino analizza gli elementi fondanti ed i limiti della stessa, con particolare riferimento alla qualificazione giuridica di tale responsabilità ed all'eventuale concorso colposo del creditore ex art. 1227 c.c..

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale adito riconduce la fattispecie all'art. 2051 c.c., evidenziandone i presupposti.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha per lungo tempo rinvenuto le basi della responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia:

  1. nella esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi;
  2. nell'essersi il danno verificato nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa (c.d. idoneità al nocumento);

A fronte di un risalente orientamento giurisprudenziale che individuava nell'art. 2051 c.c. un caso di presunzione di colpa, per cui il fondamento della responsabilità sarebbe pur sempre il fatto imputabile all'uomo, nella specie del custode, che è venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza, la giurisprudenza prevalente ritiene che il comportamento del responsabile sia estraneo alla fattispecie e fa quindi giustizia di quei modelli di ragionamento che si limitano ad accertare la colpa del custode, sia essa presunta o meno.

La responsabilità per danni cagionati da cose in custodia – si afferma – ha carattere oggettivo e, perché possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la res damnosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.

Deriva da quanto precede che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia (in questo senso, ampiamente, Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279, nonché, ex multis, Cass., 10 marzo 2005, n. 5326; Cass. 10 agosto 2004, n. 15429).

Atteso che la natura della responsabilità per danni ha natura oggettiva, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode, la sentenza in commento accerta il rapporto di custodia, ovvero la relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa, ed il nesso causale tra la cosa in custodia (il pavimento del supermercato, sul quale era caduto un acino d'uva) ed il danno arrecato a terzi (l'occorso sinistro).

Il Giudice, in mancanza di prova da parte della società convenuta di elemento idoneo ad integrare il caso fortuito, accoglieva la domanda, escludendo il concorso colposo dell'attore, al quale nessun difetto di diligenza è stato ritenuto imputabile per non essersi avveduto del chicco d'uva presente sulla pavimentazione.

Sul punto la Giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito come il “caso fortuito” debba essere inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, ma solamente purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. 10 marzo 2005, n. 5326; Cass. 28 ottobre 1995, n. 11264; Cass. 26 febbraio 1994, n. 1947).

Osservazioni

Con particolare riferimento all'onus probandi l'attore dovrà, pertanto, offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo nonché dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre spetterà al convenuto dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo a interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cass., 29 novembre 2006, n. 25243).

Come si è detto, anche il concorso di colpa del creditore di cui all'art. 1227 c.c., se debitamente provato dal convenuto, può non solo concorrere ad una riduzione risarcitoria proporzionale all'incidenza causale della colpa stessa, ma anche astrattamente rappresentare elemento interruttivo del nesso di causalità.

Tuttavia, nel caso della responsabilità custodiale del supermercato, il comportamento del danneggiato dovrà essere valutato alla luce della «massima di comune esperienza per cui chi frequenta un supermercato ha la ragionevole aspettativa di circolare in un posto sicuro soprattutto con riferimento alla manutenzione del pavimento, essendo interesse anche del gestore che l'attenzione degli avventori sia catturata esclusivamente dai prodotti esposti.” (Cass. civ., sent., n. 4476/2011). In tal senso si era già espressa chiaramente copiosa giurisprudenza di merito, secondo la quale “non è per nulla straordinario o eccezionale che il cliente di un supermercato non stia a controllare il pavimento su cui cammina bensì un fatto del tutto normale, che rientra nella logica delle cose, dal momento che detto cliente è per definizione impegnato ad esaminare e scegliere la merce esposta sui banchi di vendita» (App. Firenze, sez. II, 13 maggio 2010).

E ancora, il Trib. Milano, sez. X, sent., 9 dicembre 2008, n. 14528 affermava: «il pavimento avrebbe dovuto essere asciutto [...], anche perché il supermercato è al suo interno un luogo di grande afflusso di clienti e, pertanto, la probabilità di caduta di qualcuno di essi per terra sul pavimento è bagnato sono molto di più che non in un luogo di privata abitazione» (conformi – Trib. Savona, sent., 4 luglio 2012; App. Firenze, sez. II, sent., 25 maggio 2010, n. 851; Trib. Reggio Emilia, sez. II, sent., 12 marzo 2014, n. 435).

Di particolare interesse sotto il profilo processuale, è infine il rapporto tra la qualificazione della fattispecie come responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. e la più generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. alla luce del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sancito dall'art. 112 c.p.c.

In merito all'accoglimento - per responsabilità oggettiva derivante da cose in custodia - della domanda formulata in atto di citazione ex art. 2043 c.c., la giurisprudenza ha chiarito come «il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. non ost[i] a che il Giudice renda una pronuncia in base ad una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante (ad esempio l'art. 2051 c.c. in luogo dell'art. 2043 c.c.) laddove tale pronuncia si fondi su fatti ritualmente allegati e provati, essendovi solo il divieto di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto» (Trib. Reggio Emilia, 22 gennaio 2009, n. 85 – conforme - Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1999, n. 12694).

Perché il principio citato possa dirsi rispettato, deve dunque necessariamente evincersi, da quanto allegato nell'atto introduttivo, la derivazione causale del danno dalla res custodita, nonché la qualità di custode in capo al dedotto danneggiante.

Qualora l'attore intenda postulare la congiunta responsabilità del custode tanto con riferimento a specifiche azioni od omissioni colpose ex art. 2043 c.c., quanto con riferimento alla mera relazione di custodia ex art. 2051 c.c., dovrà pertanto delineare con chiarezza nell'atto introduttivo la dinamica dei fatti (con particolare riguardo alla condotta commissiva od omissiva), la tipologia del danno, le caratteristiche oggettive del rapporto di custodia e la derivazione causale dell'evento lesivo dalla res custodita.

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