Per il furto in abitazione è responsabile l’istituto di vigilanza

13 Novembre 2015

In mancanza di diversa disposizione contenuta nel contratto, la responsabilità dell'istituto di vigilanza che abbia omesso di adottare le misure convenute o comunque necessarie a sventare tempestivamente il furto si estende all'intero contenuto dell'abitazione da proteggere ed obbliga il responsabile al risarcimento dei danni, commisurati al valore dei beni danneggiati o sottratti, siano questi di proprietà del contraente, o di taluno dei componenti del suo nucleo familiare o con lui conviventi, od anche di proprietà di terzi, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere.
Massima

In mancanza di diversa disposizione contenuta nel contratto, la responsabilità dell'istituto di vigilanza che abbia omesso di adottare le misure convenute o comunque necessarie a sventare tempestivamente il furto si estende all'intero contenuto dell'abitazione da proteggere ed obbliga il responsabile al risarcimento dei danni, commisurati al valore dei beni danneggiati o sottratti, siano questi di proprietà del contraente, o di taluno dei componenti del suo nucleo familiare o con lui conviventi, od anche di proprietà di terzi, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere.

Il caso

Tizio conveniva davanti al Tribunale di Genova l'istituto di vigilanza Beta s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale, a seguito del furto perpetrato all'interno del suo appartamento. La Beta s.p.a., allo scattare del segnale di allarme dell'appartamento del cliente, non solo ometteva di chiedere l'intervento della forza di polizia ma tardava anche nell'inviare sul posto il suo personale, che fra l'altro vi giungeva senza le chiavi dell'appartamento stesso, nel frattempo svaligiato dai ladri. Il Tribunale ligure condannava quindi la Beta s.p.a. al risarcimento dei danni quantificati in 35.000,00 €, oltre rivalutazione, interessi e spese. Avverso quest'ultima decisione proponeva appello la Gamma s.p.a., subentrata alla Beta s.p.a., a cui resisteva Tizio. E la Corte territoriale ridimensionando in parte la domanda risarcitoria, riduceva la somma liquidata a 7.000,00 €, oltre rivalutazione monetaria e interessi, ritenendo carente la prova dei danni, che ha quantificato in via equitativa con riferimento all'importo della somme pagate da Tizio quale corrispettivo del servizio di vigilanza.

Tizio attuava quindi la tutela di legittimità articolando due distinti motivi di censura a cui resisteva con controricorso la Gamma s.p.a. In particolare, col secondo motivo, rileva la parte ricorrente che non sarebbe corretta la decisione di merito là dove ha quantificato equitativamente i danni sulla base di un criterio a suo avviso non congruente, perché parametrato sull'importo delle somme pagate da Tizio stesso quale corrispettivo del servizio di vigilanza, anziché sul valore degli oggetti rubati. E, gli Ermellini respingono in toto la censura precisando che ai medesimi compete solo una valutazione in termini di razionalità del criterio equitativo adottato, e una tale valutazione non può che essere positiva, pur se la somma liquidata è largamente inferiore a quella richiesta. E – aggiungono i supremi giudici- sarebbe stato onere del danneggiato, se non dimostrare la precisa entità dei danni subiti, quanto meno offrire una qualche prova testimoniale, od anche meramente presuntiva, circa la natura ed il valore degli oggetti sottratti, sì da giustificare la condanna del responsabile al pagamento di una somma maggiore.

Pertanto, la Suprema Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio di cassazione.

In motivazione

«La ragione determinante della decisione è consistita nel fatto che il danneggiato non ha potuto fornire alcuna prova circa la natura degli oggetti sottratti ed il loro valore».

«Vero è che il soggetto danneggiato è in linea di principio tenuto a fornire la prova sia dell'esistenza, sia dell'entità dei danni».

«Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto di dover attribuire una somma in risarcimento dei danni, in considerazione dell'evidenza e certezza dei danni medesimi, e di procedere alla valutazione equitativa, sulla base di un parametro di valutazione diverso da quello consistente nel riferimento alla natura ed al valore (entrambi ignoti) degli oggetti sottratti: parametro che ha ravvisato nelle somme pagate dal danneggiato per un servizio che non gli è stato reso, nell'unica occasione in cui se ne è presentata la necessità».

«La valutazione della corte di appello appare equa nei confronti del danneggiato, perché sarebbe stato suo onere, se non dimostrare la precisa entità dei danni subiti, quanto meno offrire una qualche prova testimoniale, od anche meramente presuntiva, circa la natura e il valore degli oggetti sottratti, sì da giustificare la condanna del responsabile al pagamento di una somma maggiore».

«La valutazione è equa anche nei confronti del danneggiante, poiché l'esistenza del danno è certa ed è stata da lui in gran parte verificata, e la somma liquidata a suo carico con riferimento all'importo del corrispettivo ricevuto per il servizio non reso, non è manifestamente sproporzionata per eccesso, in relazione all'importo dei danni da risarcire».

La questione

La questione in esame è la seguente: un istituto di vigilanza che non abbia adottato le misure necessarie a sventare un furto è o meno tenuto a risarcire il danno subito dal proprietario dell'appartamento svaligiato?

Le soluzioni giuridiche

La prestazione svolta da un servizio di vigilanza mirante al controllo di un immobile mediante sopralluoghi scaglionati nel tempo, integra un'obbligazione di mezzi e non di risultato, per cui in caso di furto avvenuto nell'immobile il predetto istituto non è responsabile essendo necessario il requisito dell'esistenza del nesso causale tra inadempimento e danno il quale postula il riscontro della idoneità del suddetto controllo, ove non omesso, a sventare l'azione delittuosa, in relazione ai tempi in cui essa è stata commessa.

Pertanto il verificarsi di un furto in un'abitazione non crea, in capo all'istituto di vigilanza, un'automatica responsabilità risarcitoria, che, invece, come nel caso che qui ci occupa discende da un comportamento negligente da parte del servizio di vigilanza stesso. Il contratto nella sua struttura e causa tipica intercorso tra il cliente e l'istituto di vigilanza ha per oggetto la prestazione di garanzia di un intervento pronto, non appena la centrale riceva il segnale di allarme che attesta la presenza di intrusi nell'appartamento protetto.

E, nel caso de quo, è evidente la gravità dell'inadempimento e la condotta negligente ed incauta della società di sorveglianza, che, tempestivamente allarmata, non è stata in grado di predisporre un servizio adeguato di pronto intervento, un'inefficienza della sicurezza affidata ad un attonito vigilante che giunge senza le chiavi presso l'appartamento, nel frattempo svaligiato dai ladri.

Dall'esame della casistica giurisprudenziale, già in una recente pronuncia dello scorso anno, Cass. civ., sez. III, sent., 20 giugno 2014 n. 14084, emergeva il principio secondo il quale il vigilante che ha assunto l'obbligo di vegliare sull'immobile di un altro soggetto, ove, a fronte di segnalazione ricevuta, non provveda ad effettuare l'intervento al fine di verificare se effettivamente sia in corso effrazione e non avverte e chiede l'intervento della forza di polizia, è tenuto a risarcire i danni patiti dalla parte che ha subito l'omessa vigilanza. E, Tizio, nel caso de quo, aveva dato la prova dell'inadempimento della prestazione di garanzia da parte dell'istituto di vigilanza, in relazione al mancato controllo ed all'inefficiente e ritardato intervento operativo a seguito dell'allarme scattato nell'appartamento. Peraltro – chiariscono ulteriormente gli Ermellini – il servizio di vigilanza va riferito all'immobile che ne costituisce oggetto, con tutto il suo contenuto, restando irrilevante che taluni oggetti o arredi non appartengano al diretto contraente, appunto, del contratto di vigilanza, ma ad altri. Ciò vale quando i pretesi terzi siano componenti della famiglia del contraente e con lui conviventi, donde una stretta comunanza di interessi in ordine alle spese ed agli oneri inerenti alla custodia dei beni ed al loro ripristino in caso di sottrazione. Ma analogo principio è da ritenere applicabile quando si tratti di terzi estranei, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere, nel caso di perdita o di danneggiamento dei beni in sua custodia.

Tuttavia, se da un lato la materiale esistenza del furto e del danneggiamento dell'abitazione è indubbia ed è stata constatata altresì dall'istituto di vigilanza chiamato a risponderne; dall'altro – come precisano gli Ermellini nell'odierno decisum – è comprensibile e non è del tutto imputabile a colpa del danneggiato, il fatto che non sia stata fornita la prova specifica della natura degli oggetti sottratti e del loro valore: prova che avrebbe richiesto la predisposizione dell'inventario preciso di tutti i beni e i preziosi esistenti nell'appartamento alla data del furto, e una stima del loro valore ad opera di persona estranea ed affidabile: cautele a cui normalmente non si procede.

Conseguentemente, se l'importo del danno non può essere precisamente provato, il quantum stesso può essere liquidato dal giudice in via equitativa, ex art. 1226 c.c.. E, pertanto, rebus sic stantibus, correttamente, - precisano i supremi giudici - la Corte territoriale ha ritenuto di dover attribuire una somma in risarcimento dei danni, in considerazione dell'evidenza e certezza dei danni medesimi, e di procedere alla valutazione equitativa, sulla base di un parametro di valutazione diverso da quello consistente nel riferimento alla natura ed al valore, entrambi ignoti, degli oggetti sottratti: parametro che ha ravvisato nelle somme pagate dal danneggiato per un servizio che non gli è stato reso, nell'unica occasione in cui se ne è presentata la necessità.

Osservazioni

La nascita dei moderni istituti di vigilanza affonda le proprie radici in tempi storicamente e socialmente lontani. Pur tuttavia appiano identici i fini che ad oggi ne caratterizzano l'operato, che rispondono, in primis, all'atavica esigenza dell'uomo di provvedere alla propria difesa personale e patrimoniale, anche delegando tale attività a terzi, e, in secondo luogo, rispondono alla pressante necessità di supplire all'attività dello Stato, le cui forze si rivelano spesso incapaci di contrastare sul campo i fenomeni legati alla criminalità. La sicurezza privata, rappresentata in primo luogo proprio dall'attività degli istituti di vigilanza, pur nelle difficoltà economiche dell'attuale congiuntura, appare un comparto riconoscibile e consolidato, sorto per far fronte alle richieste del mercato nell'ambito della prevenzione dei reati e della tutela dei beni patrimoniali di imprese e cittadini.

Ed è proprio la sicurezza nelle abitazioni private uno dei più ricorrenti problemi sull'intero territorio nazionale, costantemente all'ordine del giorno nelle cronache dei giornali. Vero è che l'istituto di vigilanza non può trasformarsi in un'assicurazione contro il furto e come si evince dalla maggior parte dei contratti stipulati tra proprietario di casa o condominio e società privata di vigilanza, quest'ultima non è tenuta a risarcire l'eventuale furto. Tuttavia resta l'obbligo in capo all'istituto di vigilanza di adempiere al proprio mandato in modo diligente. E, qualora l'istituto di vigilanza abbia omesso di adottare le misure convenute o comunque necessarie a sventare tempestivamente il furto sarà responsabile dello stesso e conseguentemente sarà tenuto a risarcire i danni, commisurati al valore dei beni danneggiati o sottratti, siano questi di proprietà del contraente, o di taluno dei componenti del suo nucleo familiare o con lui conviventi, od anche di proprietà di terzi, nei confronti dei quali il contraente possa essere chiamato a rispondere.

Per valutare se la prestazione dell'istituto di vigilanza sia stata esattamente eseguita, in specie, sotto il profilo qualitativo, è, pertanto, necessario fare riferimento al criterio della diligenza: l'esecuzione non diligente di una prestazione equivale ad inadempimento. Ciò vale, appunto, proprio con riferimento alle obbligazioni di mezzi ove il giudizio sull'inadempimento per definizione fa corpo con l'agire negligente, essendo per contrapposto l'agire diligente la materia dell'obbligazione.

Il criterio legale della diligenza, peraltro, non esprime un parametro rigido ma uno standard di comportamento tipico-sociale. La diligenza, perciò, nell'esprimere quell'insieme di cure e cautele che il debitore è tenuto a prestare nell'adempimento dell'obbligazione, è giuridicamente criterio di commisurazione del contegno dovuto ai fini della valutazione di eventuali responsabilità. E, pertanto, l'istituto di vigilanza che abbia omesso di adottare le misure convenute o comunque necessarie a sventare il furto è da ritenersi responsabile.

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