L’ambito oggettivo di efficacia del consenso informato, l’onere della prova e l’obbligo di motivazione

Ilaria Pepe
13 Maggio 2014

Deve essere cassata la decisione che, del tutto apoditticamente, estende ad un intervento diverso, e dalle diverse possibili conseguenze, la manifestazione di consenso prestata dal paziente per l'intervento previsto, opinando, del tutto immotivatamente ed immotivatamente sostituendo il proprio convincimento alle considerazioni espresse su base scientifiche dal perito d'ufficio, che la diversa operazione, ed i ben diversi rischi ad essa sottesi, possano ritenersi ricompresi nell'iniziale informazione.
Massima

Cass. civ., sez. III, sent. 4 giugno 2013, n. 14024

Deve essere cassata la decisione che, del tutto apoditticamente, estende ad un intervento diverso, e dalle diverse possibili conseguenze, la manifestazione di consenso prestata dal paziente per l'intervento previsto, opinando, del tutto immotivatamente ed immotivatamente sostituendo il proprio convincimento alle considerazioni espresse su base scientifiche dal perito d'ufficio, che la diversa operazione, ed i ben diversi rischi ad essa sottesi, possano ritenersi ricompresi nell'iniziale informazione.

Sintesi del fatto

Tizio, paziente sottoposto ad intervento diverso e più invasivo rispetto a quello indicato nel modulo di informazione acconsentita da lui sottoscritto, chiedeva il risarcimento del danno subito a fronte delle complicazioni insorte successivamente all'intervento pur correttamente eseguito (complicazioni da considerarsi prevedibili a seguito dell'intervento subito, ma non ipotizzabili in relazione all'intervento da lui acconsentito).

La domanda veniva respinta tanto dinanzi al tribunale di prime cure tanto dinanzi al giudice del gravame: quest'ultimo riteneva in particolare che il consenso fornito fosse estendibile al diverso intervento eseguito argomentando dal fatto che la rimozione di una fistola ben poteva costituire una complicanza dell'ascesso oggetto dell'intervento di drenaggio originariamente consentito dal paziente e dal fatto che la diagnosi precisa poteva essere eseguita durante l'intervento; la corte territoriale rilevava inoltre che, a fronte della sottoscrizione del modulo di consenso informato, gravava su tizio l'onere di dimostrare di non essere stato messo al corrente dei relativi rischi e delle possibili conseguenze del diverso intervento eseguito.

La corte di legittimità ha accolto il ricorso proposto da Tizio, sanzionando in un obiter dictum l'errore di diritto relativo al riparto dell'onere probatorio e chiarendo che la motivazione della sentenza della corte territoriale è stata gravemente carente laddove, discostandosi dalle conclusioni raggiunte dal C.T.U., ha immotivatamente ritenuto che il diverso intervento eseguito potesse ritenersi ricompreso nell'iniziale informazione e dunque nel consenso prestato dal paziente.

Le questioni

La sentenza in commento, oltre a rilevare l'error iuris in cui è incorsa la corte territoriale in ordine al riparto dell'onere della prova in tema di responsabilità da contatto sociale, esamina le questioni relative all'individuazione dell'ambito oggettivo di efficacia del consenso prestato in relazione ad un determinato intervento chirurgico ed all'obbligo motivazionale gravante sul giudicante laddove intenda discostarsi dalle conclusioni raggiunte dal C.T.U.

Le soluzioni giuridiche

I criteri di riparto dell'onere probatorio a fronte dell'allegazione dell'inadempimento del medico all'obbligo di fornire la necessaria informazione al paziente non sono stati oggetto di apposita censura dinanzi alla corte di legittimità, che ha comunque confermato l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito secondo cui la responsabilità professionale del medico ha natura contrattuale e grava quindi sul medico l'onere di provare l'adempimento dell'obbligo di fornire un'informazione completa ed effettiva ovvero la non imputabilità dell'inadempimento.

Deve però sottolinearsi che, pur a fronte della contrattualizzazione della responsabilità medica, grava ancora sul paziente l'onere di dimostrare: i) la sussistenza del nesso causale tra la lesione del suo diritto alla autodeterminazione e la lesione della salute derivante da una prevedibile conseguenza di un intervento chirurgico correttamente eseguito ma non correttamente assentito dal paziente (dovendo in buona sostanza il paziente provare, anche mediante presunzioni, che ove adeguatamente informato avrebbe rifiutato l'intervento); ii) la sussistenza del danno derivante dalla mancata informazione, danno declinabile sia in termini di lesione del diritto alla salute (per le conseguenze invalidanti derivate dall'intervento) sia in termini di lesione del diritto all'autodeterminazione (purché ne sia derivato un pregiudizio non patrimoniale di apprezzabile entità).

Quanto poi all'ambito oggettivo di efficacia del consenso prestato la sentenza in commento esclude la possibilità di estendere l'informazione acconsentita in relazione ad un tipo di intervento ad un intervento di tipo diverso: tale orientamento, anch'esso conforme a quello ormai consolidato sul punto, si pone come logica conseguenza del riconoscimento del diritto all'autodeterminazione del paziente quale diritto autonomo rispetto al diritto alla salute.

Tale orientamento tende anzi ad evolversi in senso sempre più rigoroso, come emerge dall'esame delle uniche ipotesi in cui è stata ritenuta lecita l'esecuzione dell'intervento diverso rispetto a quello consentito, ossia l'ipotesi dell'intervento connesso e/o prodromico all'intervento consentito e l'ipotesi dell'intervento resosi necessario per stato di necessità durante l'esecuzione dell'intervento consentito.

Per quanto attiene alla prima ipotesi si osserva che è vero che la giurisprudenza ha ritenuto che, in presenza di un valido consenso per un intervento chirurgico necessario per la vita del paziente, questo consenso si estende a tutte le operazioni preparatorie, complementari e successive necessarie ed obbligate, in quanto il rifiuto dei rischi di tali operazioni si risolverebbe in buona sostanza nel rifiuto dell'intervento acconsentito. E' tuttavia parimenti vero che tale orientamento è stato espresso in relazione ad una fattispecie in cui fu praticata una trasfusione ematica anteriormente all'entrata in vigore dei decreti ministeriali che hanno imposto il rilascio in forma scritta del consenso alla terapia trasfusionale: l'evoluzione della normativa di settore ed anche della giurisprudenza di legittimità sono infatti nel senso di ritenere che l'informazione – ed il conseguente consenso – debbano riguardare tutte le diverse fasi di un intervento complesso se gestionalmente autonome e produttive di specifici rischi, dovendosi anzi estendere anche alle eventuali carenze della struttura sanitaria. Deve dunque concludersi che diventa sempre più residuale la possibilità di estendere ex ante il consenso prestato ad eventuali attività prodromiche e/o connesse e/o consequenziali rispetto al trattamento assentito.

Per quanto poi concerne la possibilità di ampliare l'efficacia del consenso prestato in costanza di intervento, la giurisprudenza esige non tanto che la necessità di eseguire un intervento diverso si manifesti durante l'intervento assentito, ma che ricorra lo stato di necessità (effettivo, presunto o putativo) e che sia quindi impossibile, senza incorrere in un pericolo attuale di danno grave alla salute del paziente, procedere al risveglio del paziente dalla narcosi indotta onde ottenere il consenso al trattamento diverso. Inoltre, tenuto anche conto della costante evoluzione degli strumenti e dei protocolli diagnostici, dovrà sempre verificarsi se la possibilità di eseguire anche un intervento diverso sia stata comunque prospettata al paziente (che ha poi acconsentito al trattamento meno invasivo) ovvero se tale possibilità non sia stata a lui prospettata: solo in quest'ultimo caso il giudice potrà valutare l'effettiva ricorrenza dello stato di necessità tempestivamente eccepito ed idoneamente provato dal sanitario, mentre nel primo verrà a configurarsi la ben più grave ipotesi – anche sotto il profilo penalistico - di esecuzione di un intervento consapevolmente rifiutato dal paziente.

Nell'unico paragrafo in cui è contenuta la motivazione della sentenza in commento ben tre avverbi vengono infine utilizzati per sanzionare la carenza motivazionale in cui è incorsa la corte territoriale allorquando si è discostata dalle conclusioni cui era pervenuto il C.T.U. La sentenza in commento non vuole porsi in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice può sostituire alle argomentazioni tecniche svolte dal C.T.U. altre argomentazioni tratte da proprie personali cognizioni tecniche, ma pone l'accento sull'onere di adeguata motivazione gravante in tal caso sul giudice. Tuttavia, in considerazione della peculiarità della materia, pare ipotizzabile che, salva la motivata adesione alla diversa ricostruzione prospettata da un C.T.P., il giudicante possa difficilmente fornire l'adeguata motivazione richiesta per discostarsi dalle conclusioni raggiunte dal C.T.U. e resistere al vaglio di legittimità. Ecco allora che il giudicante si vedrà piuttosto costretto a disporre una nuova C.T.U., dovendo però anche in tal caso motivare adeguatamente sul punto tenuto conto della necessità – anch'essa recentemente e fortemente evidenziata dalla giurisprudenza di legittimità – di contenere tempi e costi del giudizio.

Osservazioni e suggerimenti pratici

Il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione del paziente quale diritto autonomo e la contrattualizzazione della responsabilità del sanitario costituiscono principi ormai dati per presupposti dalla pronunzia in commento e che hanno evidentemente agevolato la posizione processuale del paziente in punto di assolvimento dell'onere probatorio. Il paziente dovrà comunque assolvere all'onere di tempestiva allegazione in ordine all'esistenza di una lesione del proprio diritto all'autodeterminazione (trattandosi di diritti eterodeterminati e non potendo tale lesione ritenersi implicitamente ricompresa nell'allegata lesione del diritto alla salute) e dovrà comunque provare la ricorrenza di un danno apprezzabile ed il nesso di causalità tra tale danno ed il mancato adempimento del sanitario all'obbligo di fornire adeguata informazione.

Conclusioni

La progressiva contrattualizzazione della responsabilità medica porterà ad una sempre più estesa formalizzazione del procedimento di rilascio del consenso da parte del paziente (anche al di là dei casi in cui la forma scritta per il consenso è imposta dalla normativa di settore o dal codice di deontologia medica). E' altresì ipotizzabile che il modulo all'uopo predisposto conterrà in futuro non solo il contenuto delle informazioni prestate, ma anche il tempo ed il modo in cui le stesse sono state fornite (ad esempio mediante l'indicazione non solo dell'epoca in cui si è svolto il previo colloquio con il sanitario, ma anche della durata di tale colloquio e delle qualità soggettive del paziente).

Tale formalizzazione imporrà un rigoroso esame dei limiti entro cui potrà essere effettivamente “contrattualizzata” la responsabilità del sanitario, dovendosi a titolo esemplificativo verificare se, allegato dal paziente che la sottoscrizione di un modulo di consenso (pur adeguatamente predisposto anche con riguardo all'indicazione dei tempi del previo colloquio svoltosi con il sanitario) non sia stata in realtà preceduta da alcun colloquio informativo, incomba sempre sul sanitario l'onere di dimostrare di aver anche efficacemente fornito in forma orale tutte le informazioni riportate sul modulo sottoscritto. Sul punto deve osservarsi che solo apparentemente in termini si pone il noto arresto della C.E.D.U. sul caso della donna sottoposta ad intervento di sterilizzazione acconsentito in forma scritta, giacché in tal caso dalla stessa documentazione si evinceva l'incompletezza dell'informazione fornita e l'inadeguatezza del tempo concesso alla paziente per autodeterminarsi. Nel caso invece in cui il sanitario produca un modulo sottoscritto dal paziente nel quale questi dichiari, ad esempio, che la sottoscrizione è stata preceduta da un adeguato colloquio informativo di congrua durata (ivi esplicitamente indicata), pare ipotizzabile che, proprio applicando i principi in materia di responsabilità contrattuale, gravi sul paziente l'onere di dimostrare l'inesistenza di un siffatto colloquio, dovendosi anzi verificare la stessa possibilità di fornire tale prova a mezzo testimoni tenuto conto del disposto dell'art. 2722 c.c.

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