Danno subito dal datore di lavoro in conseguenza di incidente stradale occorso al dipendente

Alessandra Torsani
13 Maggio 2016

Il risarcimento del danno subito dal datore di lavoro a causa di incidente stradale occorso al dipendente, dovuto dal terzo responsabile, segue la regola civilistica generale in tema di ristoro del danno da illecito aquiliano.
Massima

Il risarcimento del danno subito dal datore di lavoro a causa di incidente stradale occorso al dipendente, dovuto dal terzo responsabile, segue la regola civilistica generale in tema di ristoro del danno da illecito aquiliano, anche qualora vi sia un rapporto di lavoro di carattere pubblicistico regolamentato da una normativa speciale; rimane a carico della parte danneggiante l'onere di contestazione specifica anche del prospetto contabile degli emolumenti corrisposti al dipendente nel periodo di assenza dal lavoro, predisposto unilateralmente dal datore di lavoro.

Il caso

Il M. d. I., datore di lavoro del dipendente Agente di Polizia S.S., rimasto infortunato in seguito ad incidente stradale, agiva contro il responsabile civile e la sua Compagnia di Assicurazione, per ottenere il risarcimento dei danni subiti per aver dovuto versare, senza controprestazione, emolumenti al predetto dipendente per l'importo lordo di € 24.056,89, nel periodo di assenza dal lavoro, protrattosi per 263 giorni.

Il Tribunale di Milano, nonostante l'espletata Ctu medico legale avesse riscontrato un'inabilità temporanea di 90 giorni scaturita dal sinistro, respingeva in toto la domanda attrice, ritenendola non provata, dato che parte attrice si era limitata a produrre in giudizio un mero prospetto contabile, predisposto unilateralmente dallo stesso datore di lavoro, non supportato da alcuna documentazione fiscalmente rilevante.

Avverso questa sentenza proponeva appello il M. d. I..

La questione

La liquidazione del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro per assenza di un dipendente infortunatosi in seguito a sinistro stradale, ove il Ctu medico-legale abbia riconosciuto, secondo le regole generali civilistiche, la sussistenza del nesso di causa tra il periodo di inabilità temporanea del dipendente ed il sinistro, può avvenire sulla base di una documentazione contabile predisposta unilateralmente dal datore di lavoro, se non specificamente ed efficacemente contestata?

Le soluzioni giuridiche

Sino agli inizi degli anni Settanta, la giurisprudenza affermava che danno ingiusto ex art. 2043 c.c. era solo quello che corrispondeva alla violazione di un diritto soggettivo assoluto. In particolar modo, si configurava un danno ingiusto solo quando la condotta era lesiva dei diritti della personalità (vita, integrità fisica, salute, onore), dei diritti reali (proprietà, servitù) e di alcuni diritti inerenti ai rapporti di famiglia (in particolare, il diritto al mantenimento dei familiari di un soggetto che veniva ucciso).

Con il tempo, la stessa giurisprudenza ha allargato le maglie del concetto di ingiustizia del danno, ampliando così l'area della risarcibilità anche ai diritti relativi, come i diritti di credito.

La prima fase di questo "itinerario" fu inaugurata dalla sentenza della Cass., Sez. Un., 26 gennaio 1971, n. 174 (nota come "il caso Meroni") che affermò la risarcibilità del danno anche per la lesione di diritti soggettivi relativi, ed in particolar modo dei diritti di credito, superando così la tradizionale opinione negativa sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza fin dagli anni Cinquanta.

Nel caso di specie, la società calcistica del Torino aveva convenuto in giudizio il conducente responsabile dell'uccisione del proprio calciatore, Luigi Meroni, per ottenere il risarcimento del danno derivante dal fatto di aver reso definitivamente impossibile l'esecuzione della prestazione lavorativa da parte del proprio giocatore, costituita dalle prestazioni calcistiche.

Questa volta, la Corte di Cassazione - a differenza di quanto era accaduto nel noto caso della caduta dell'aereo della squadra del Torino sulla collina di Superga, quando nessuna forma di risarcimento era stata riconosciuta alla società sportiva sulla scorta del fatto che il diritto leso della società sportiva era un diritto relativo e non un diritto assoluto (Cass., Sez. III, 4 luglio 1953, n. 2085) - con un revirement che ha fatto storia, riconobbe al Torino il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., pur condizionandolo alla necessità di provare l'esistenza di una perdita definitiva ed irreparabile, che, in concreto, venne esclusa dal giudice del rinvio, stante l'avvenuta sostituzione del calciatore ucciso con altro giocatore che "aveva mantenuto, anzi aumentato, la redditività".

In seguito, tale requisito della «perdita definitiva ed irreparabile» non è stato più considerato indispensabile dalla giurisprudenza per il riconoscimento della risarcibilità del danno subito dal datore di lavoro per fatto del terzo.

In particolare, la risarcibilità del danno subito dal datore di lavoro per non aver potuto utilizzare la prestazione lavorativa del dipendente rimasto infortunato in seguito a sinistro stradale, è stata sancita dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 12 novembre 1988, n. 6132, in cui è stato ritenuto sufficiente che tale pregiudizio sia direttamente ricollegabile al comportamento doloso o colposo del responsabile del sinistro.

Dopo questa pronuncia, la giurisprudenza di merito e di legittimità (fra le tante: Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1991, n. 11099 e n. 11100; Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2002, n. 15399; Cass. civ., sez. lav., 15 settembre 2003, n. 13549; Tribunale Bari, sez. III, 22 gennaio 2008; Cass. civ., 9 febbraio 2010, n. 2844) si è uniformata al predetto principio, riconoscendo al datore di lavoro azione diretta nei confronti dell'assicuratore per i danni causati dall'inutilizzabilità della prestazione lavorativa del proprio dipendente rimasto leso in conseguenza di un sinistro stradale e degli eventuali ulteriori danni.

Il danno che il datore di lavoro è legittimato a richiedere può essere, infatti, costituito da:

  1. la quota di retribuzione dovuta al dipendente per il periodo di inabilità, non coperta dagli Enti previdenziali (es. Inps, Inail, o Enti diversi), oltre agli oneri contributivi (cfr. Cass. civ., 9 febbraio 2010, n. 2844) edalla quota di retribuzione differita maturata in quel periodo (es. tredicesima, quattordicesima, gratifica natalizia, premio di produzione, TFR, ecc.); ciò rappresenta il costo "inutile" che il datore di lavoro deve sostenere senza poter usufruire della controprestazione lavorativa del dipendente;
  2. l'ulteriore costo per l'assunzione di un sostituto del dipendente assente per malattia (Cass. civ., 4 novembre 2002, n. 15399);
  3. nonché l'eventuale mancato guadagno subito dal datore di lavoro a causa dell'assenza del dipendente che per le sue specifiche qualità (fiducia, formazione ed esperienza) risulti in concreto insostituibile (Cass. civ., 4 novembre 2002, n. 15399).

Dalla sentenza in esame si evince che nel caso de quo la domanda del datore di lavoro è limitata alla richiesta della prima voce di danno.

La Corte d'appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado che aveva rigettato in toto la domanda attrice, accoglie (seppur parzialmente) l'appello proposto dal datore di lavoro, riconoscendo soltanto il danno da inabilità temporanea direttamente riconducibile al sinistro, quantificato dal CTU in 90 giorni, e ritenendo sufficiente, per la relativa liquidazione, il prospetto contabile prodotto in atti, sebbene formato unilateralmente dal datore di lavoro, in quanto fatto oggetto di una contestazione "meramente generica" (e come tale non efficace) da parte dell'assicuratore.

E' chiaro che la Corte giunge a detta conclusione applicando il principio di non contestazione, codificato dalla L. n. 69/2009 che ha modificato il disposto di cui all'art. 115 c.p.c., perfettamente applicabile al giudizio in esame in quanto instaurato dopo l'entrata in vigore della novella (4 luglio 2009) (sull'applicabilità ratione temporis della novella: Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2015, n. 5482).

La ratio del principio di non contestazione risiede nelle esigenze di semplificazione del processo e di economia processuale che devono tendere a garantire un "giusto processo", o anche nella responsabilità o autoresponsabilità delle parti nell'allegazione dei fatti di causa (così Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 262 ss.).

In realtà, anche prima della succitata modifica legislativa, il principio di non contestazione aveva già trovato espresso riconoscimento a livello giurisprudenziale, anche al di fuori del processo del lavoro; e ciò in forza di quanto disposto dall'art. 167 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356: «L'art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quantol'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti»).

In senso conforme anche la recente sentenza della Corte di Cassazione, Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2015, n. 19896, secondo cui, il convenuto, già ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la "sussistenza dei presupposti di legge" per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica.

L'operatività del principio di non contestazione è necessariamente connessa ad una allegazione specifica e dettagliata dei fatti posti a fondamento delle rispettive pretese ad opera di ciascuna parte; e ciò in conformità del principio di collaborazione fra le parti nella definizione del thema probandum su cui chiaramente si fonda il principio di non contestazione (cfr. Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2015, n. 5482).

Perché l'onere di contestazione sia soddisfatto, quindi, è richiesta una contestazione che si lasci apprezzare dal Giudice per specificità.

Ma qual è il grado di specificità che la contestazione deve avere per essere ritenuta efficacemente proposta?

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 29 maggio 2014, n. 12065, hanno dato una risposta a questo quesito, affermando che il grado di specificità della contestazione è strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto del documento oggetto di contestazione.

La Corte d'Appello di Milano, nel caso sottoposto al suo esame, evidentemente ha ritenuto che la contestazione del prospetto contabile operata dall'assicuratore non possedeva quei requisiti di specificità tali da considerarsi efficacemente proposta, anche in ragione del livello di specificità del contenuto del documento prodotto dal datore di lavoro.

Osservazioni

La Corte, nel ridimensionare il danno lamentato dal datore di lavoro, ha fatto un corretto uso del principio della causalità giuridica, riconoscendo il ristoro del pregiudizio corrispondente ai soli giorni di inabilità temporanea accertati dal Ctu medico-legale, siccome riconducibili eziologicamente al sinistro, ed ha fatto un altrettanto corretto uso del principio di non contestazione per ritenere provato il danno sotto il profilo della quantificazione (contabile).

Un interessante parallelismo con la questione in esame può essere proposto con riferimento alla valenza che viene riconosciuta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità agli atti amministrativi con cui l'INAIL eroga le prestazioni previdenziali in favore di lavoratori vittime di infortunio sul lavoro, e che vengono in rilievo nelle azioni di rivalsa che l'INAIL propone contro i responsabili civili del danno.

La Suprema Corte, in molteplici sentenze, ha riconosciuto che i provvedimenti con cui l'INAIL eroga le prestazioni previdenziali, per la loro natura amministrativa, sono assistiti da una presunzione di legittimità, con la conseguenza che, ove il responsabile civile convenuto in giudizio assuma essere tale erogazione, totalmente o parzialmente, non dovuta, è tenuto a dimostrare, per superare quella presunzione, che i relativi atti sono inficiati dalla mancanza dei presupposti di fatto o dalla violazione dei criteri vincolanti posti dalla legge (cfr. Cass. civ., 30 aprile 2010, n. 10525; Cass. nn. 1894/1990, 9000/1995, 13377/1999, 5909/2003); in mancanza di specifiche contestazioni sull'inosservanza dei criteri seguiti dall'Istituto, il rimborso in favore dell'Inail, come quantificato nei propri prospetti, è dovuto.

Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Milano sembra implicitamente ispirarsi anche a detti principi, laddove giunge a ritenere provato il danno sotto il profilo contabile.

Forse, infatti, nel processo di convincimento del Giudice, potrebbe aver inciso anche la circostanza che, nello specifico, il datore di lavoro era una pubblica amministrazione, e che pertanto il prospetto contabile prodotto aveva natura amministrativa e, come tale, era assistito da una presunzione di legittimità, nel senso precisato dalla giurisprudenza sopra citata.

Si deve infine segnalare che il difensore del ministero (datore di lavoro), in sede di precisazione delle conclusioni in appello, aveva insistito per «l'autorizzazione a produrre la copia autentica dei cedolini dello stipendio del dipendente nel periodo maggio 2007-febbraio 2008...» - gli unici documenti fiscalmente rilevanti secondo parte appellata - con ciò probabilmente ritenendo insufficiente la produzione documentale effettuata in primo grado.

La Corte d'Appello non s'è soffermata, tuttavia, su questo specifico punto, fondando la propria decisione - come detto - sul principio di non contestazione.

Sotto questo profilo, detta pronuncia rappresenta un monito circa l'importanza degli oneri -incombenti sulle parti del processo - di allegazione e prova da un lato, e di specifica contestazione dall'altro.

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