La violazione degli obblighi familiari nei legami di fatto

Stefano Celentano
13 Giugno 2014

In tema di patrocinio a spese dello Stato, la pretesa fatta valere nei confronti dell'ex convivente, diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari, non può ritenersi manifestamente infondata – con conseguente revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio – sul solo rilievo della insussistenza sia normative che giurisprudenziale dell'ipotesi di violazione degli obblighi familiari in ipotesi di persone unite dal solo vincolo more uxorio, dovendosi per contro, verificare in concreto la sussumibilità di tale posizione nell'ambito della categoria dei diritti fondamentali della persona, senza che assuma rilievo il tipo di unione a cui interno la lamentata lesione s sarebbe verificata.
Massima

Cass. civ., sez. I, 20 giungo 2013, n. 15481

In tema di patrocinio a spese dello Stato, la pretesa fatta valere nei confronti dell'ex convivente, diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari, non può ritenersi manifestamente infondata – con conseguente revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio – sul solo rilievo della insussistenza sia normative che giurisprudenziale dell'ipotesi di violazione degli obblighi familiari in ipotesi di persone unite dal solo vincolo more uxorio, dovendosi per contro, verificare in concreto la sussumibilità di tale posizione nell'ambito della categoria dei diritti fondamentali della persona, senza che assuma rilievo il tipo di unione a cui interno la lamentata lesione s sarebbe verificata.

Sintesi del fatto

Con ordinanza del 9 aprile 2009, il Tribunale di Treviso (Trib. Treviso, 9 aprile 2009) rigettava un'istanza di liquidazione presentata da un avvocato quale difensore di Tizia, ammessa al patrocinio a spese dello Stato nella causa da ella proposta avverso Caio, ed avente ad oggetto il risarcimento del danno per violazione degli obblighi familiari, giudizio poi estintosi per rinuncia agi atti. La fattispecie riguardava nello specifico una donna che, in seguito ad un periodo di convivenza, caratterizzato da promesse di matrimonio e coronato anche dalla nascita di un figlio, subiva l'abbandono del compagno per una nuova relazione.

Nello specifico, i Tribunale rilevava in capo a Tizia, la insussistenza di un rapporto di coniugio con il convenuto, avendo ella agito a seguito della cessazione della convivenza more uxorio, con la conseguenza che la pretesa risarcitoria fatta valere era manifestamente infondata ai fini dell'applicazione del d.p.r. n. 115/2002, e che sussistevano i presupposti per la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Avverso tale ordinanza, ricorreva il difensore di Tizia, e con ordinanza del 18 giugno 2009, il Presidente del Tribunale di Treviso (Trib. Treviso, 18 giugno 2009) rigettava il ricorso rilevando la correttezza del provvedimento impugnato e la insussistenza, sia normativa che giurisprudenziale, della ipotesi di violazione degli obblighi familiari con riguardo a persone non coniugate ma conviventi more uxorio .

La Suprema Corte, successivamente adita, accoglieva il ricorso e cassava il provvedimento impugnato, ritenendo che l'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità e indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase antecedente il matrimonio, imponendo loro, pur in mancanza di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà e che dunque la lesione di tali obblighi è risarcibile in quanto configura una violazione dei diritti fondamentali della persona.

Le questioni

La sentenza in commento affronta il tema del risarcimento del danno per violazione degli obblighi familiari e la sua configurabilità anche nelle ipotesi di persone unite dal solo vincolo more uxorio. Laddove pertanto, anche all'interno di una relazione more uxorio, uno dei conviventi ponga in essere condotte qualificabili come fatti di aggressione a diritti fondamentali della persona, sorge in capo al partner il diritto al risarcimento del danno, atteso che, seppur nella prospettiva della futura costituzione di un vincolo matrimoniale, gli obblighi di lealtà, correttezza e solidarietà trovano la loro ragion d'essere anche nella fase precedente al matrimonio.

Le soluzioni giuridiche

La questione affrontata dalla Suprema Corte, è quella di stabilire se, premesso che un interesse costituzionalmente garantito è sempre suscettibile di tutela in forza del principio della responsabilità del “neminem laedere” , i diritti nascenti dal vincolo familiare, quali quello all'assistenza morale e materiale, quello alla fedeltà ed alla sessualità, ed i doveri derivanti dal matrimonio quali rispondenti a diritti fondamentali della persona, si riflettano e trovino efficacia applicativa anche nei rapporti tra le parti anteriori al matrimonio medesimo.

Nel prendere chiara posizione sul tema in oggetto, la Corte prende le mosse dal solco tracciato dalla Corte Costituzionale con la nota pronuncia C. cost., n. 184/1986, con cui si affermò che il generale disposto di cui all'art.2043 c.c. attrae a sé tutte le legittime ipotesi di ristoro di pregiudizio ai diritti fondamentali della persona, quali il decoro, il prestigio, la dignità e la salute; a tale impostazione di principio, hanno poi fatto seguito le note pronunce gemelle del 2003 (Cass. civ., n. 8827/2003 e Cass. civ., n.8828/2003) con le quali si è chiarito che la lettura costituzionalmente orientata dell'at. 2059 c.c. va tendenzialmente attuata come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona, storicamente ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, con la conseguenza che nell'alveo di tale norma vanno ricomprese le ipotesi risarcitorie di pregiudizi di natura non patrimoniale purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse di rango costituzionale relativo ala persona, pregiudizio che va concretamente individuato dunque non soltanto nella ipotesi del danno morale soggettivo derivante da reato ai sensi dell'at. 185 c.p., ma anche in quello ai diritti fondamentali della persona, atteso che in forza del rilievo costituzionale di tali diritti, il ristoro del pregiudizio non patrimoniale conseguente alla loro lesione non è soggetto alla riserva di legge posta dalla noma richiamata. Pertanto, anche alla luce del definitivo assetto alla complessa tematica successivamente fornito dalla pronuncia della Cass., S.U., n. 26072/2008, attualmente può ritenersi che il danno patrimoniale sia risarcibile non soltanto nei casi individuati dalla legge ordinaria, ma anche nelle ipotesi in cui il Giudice ritenga che l'oggetto della lesione fatta valere in giudizio sia in qualche modo riconducibile ad interessi e diritti meritevoli di tutela secondo il parametro costituzionale.

Ciò posto, il tema di interesse specifico è quello delle frontiere della responsabilità civile nell'ambito delle relazioni familiari; il punto di partenza per qualsiasi osservazione in materia, è che, come già affermato nella pronuncia Cass., n. 9801/2005, la famiglia risulta essere la sede di autorealizzazione e di crescita dell'individuo, segnata dal reciproco rispetto, all'interno della quale non sussistono specifiche distinzioni di ruoli o posizioni precostituite, atteso che i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni ricevendo riconoscimento e tutela, prima ancora come facenti parte di un'unione coniugale, come persone, in adesione al principio sancito all'art. 2 della Costituzione, in virtù del quale vanno riconosciuti i diritti inviolabili dell'individuo tanto come singolo quanto nelle formazioni sociali ve si svolga la sua personalità.

Proprio alla luce di tale osservazione, e della ovvia centralità dei concetti di “famiglia” e di “formazione sociale”, la Corte giunge a ritenere che le frontiere della responsabilità civile in ambito familiare debbano estendersi fino a ricomprendere in tale previsione anche forme di unione, o di convivenza che, caratterizzate da un certo consolidamento dei rapporti e da una certa rilevanza temporale, non siano state tuttavia consacrate con l'istituto del matrimonio. Ed infatti, laddove si consideri che per “formazione sociale” debba intendersi ogni forma di comunità , semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico (C. cost. n. 138/2010, Cass., n. 4184/2012) , è logico ritenere allora che un consolidato rapporto ancorché di fatto, non appare, anche a sommaria indagine, costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali dalle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche.

E' il tema della tutela risarcitoria al'interno delle “famiglie di fatto”, intese come modelli alternativi alle famiglia coniugali, non liquidabili in ipotesi precostituite, ma concretamente sussistenti ogni qualvolta la volontà di due persone , anche dello stesso sesso (Cass., n. 4184/2012), e l'intensità del loro legame affettivo e solidaristico, dia luogo ad una forma di condivisione materiale e spirituale caratterizzata da una rilevante forma di consolidamento e stabilità del vincolo, verificabile volta per volta e con un giudizio che tenga conto di criteri oggettivi, quali la durata temporale del vincolo, la convivenza, e soggettivi, quali la progettualità e la qualità della relazione.

La Corte ripercorre altresì precedenti giurisprudenziali e normativi con i quali si è data conferma della valenza e rilevanza della famiglia di fatto , ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati da matrimonio; e così si è ricordato come, la recentissima Legge n. 219/2012, in tema di filiazione, abbia eliminato ogni residua discriminazione tra figli naturali e figli legittimi, e come già in passato, con l'introduzione nel codice civile degli artt. 342 bis e ter c.c., si sia estesa al convivente la possibilità di ottenere ordini di protezione avverso gli abusi familiari. Sempre in materia di filiazione, va menzionata la L. n. 54/2006 che prevede l'affidamento condiviso anche in favore di genitori non coniugati. Devono altresì segnalarsi, sempre in tale ottica, nell'ambito degli istituti a tutela degli incapaci, la L.n. 6/2004, che in materia di amministrazione di sostegno, prevede espressamente la possibilità che la scelta ricada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario, nonché l'art. 417 c.c. che annovera tra i soggetti legittimati al ricorso per interdizione ed inabilitazione anche coloro che siano stabilmente conviventi con il soggetto da tutelare; ed infine va segnalata la giurisprudenza della Corte che ha riconosciuto il diritto del convivente di soggetto deceduto a causa di un terzo al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (Cass., n.12278/2011, Cass., n.23725/2008), e attribuito rilievo, ai fini della cessazione del diritto all'assegno di mantenimento o divorzile, ovvero ai fini della determinazione del relativo importo, all' instaurazione da parte del coniuge, o ex coniuge, beneficiario dello stesso, di una famiglia ancorché di fatto (Cass., n. 3923/2012, Cass., n. 17195/2011). La stessa Corte EDU ha chiarito che la nozione di famiglia cui fa riferimento l'art. 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo – che tutela il diritto alla vita familiare – non è limitata alle relazioni basate sul vincolo matrimoniale, ma può comprendere altri legami familiari di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo di coniugio (CEDU, 24 giugno 2010, Schalk e Kopft contro Austria).

Dunque, le conclusioni a cui è arrivata la Corte si inseriscono nel solco normativo e giurisprudenziale sinteticamente ripercorso, finalizzato al riconoscimento in favore della convivenza more uxorio di obblighi e corrispondenti diritti in capo ai protagonisti di tale “struttura familiare” a cui apprestare idonea e concreta tutela – ance sotto il piano risarcitorio – nell'ottica del graduale riconoscimento del pluralismo delle scelte nel dare forma ed assetto alle relazioni affettive che, ove non consacrate nel vincolo matrimoniale, giammai vanno “ignorate” soprattutto nell'individuare confini specifici di diritti,obblighi e responsabilità dei singoli.

Conclusioni

Alla luce di quanto argomentato dalla Corte - seppur statuendo su un giudizio di primo grado che non ha affrontato il merito della vicenda (essendosi estinto per rinuncia agli atti), e dunque argomentando sulla mera legittimazione in astratto dell'azione fatta valere dalla parte attrice – può ritenersi che, il sistema della responsabilità civile c.d. “endofamiliare” è sempre più attuale in virtù proprio del processo di “privatizzazione” della struttura familiare e della maggiore attenzione verso i diritti del singolo all'interno della famiglia; si tratta dunque di accantonare sempre di più il modello di famiglia disegnato dal legislatore del 142, che giustificava il sacrificio di diritti del singolo in nome del superiore interesse del consorzio familiare e che rendeva il diritto di famiglia un impianto autonomo, spesso intollerante rispetto a canoni ordinari di definizione dei diritti e dei doveri.

La pronuncia ha il pregio di coniugare, in ambito familiare, tanto la ricca evoluzione giurisprudenziale in tema di diritti ed interessi della persona costituzionalmente garantiti, e tutelabili nelle magli elastiche dell'at. 2059 c.c., quanto quella altrettanto significativa n relazione alla architettura dei modelli familiari, e all'apertura sempre più incisiva a forma alternative al modello matrimoniale, riconoscendo che ad un'unione con caratteristiche di consolidamento e stabilità – ed in essa vanno ricomprese anche quelle tra persone dello stesso sesso, secondo quanto stabilito dalla stessa Corte con la pronuncia n. 4184 del 2012 (Cass. civ., n. 4184/2012) - debba corrispondere necessariamente una serie d diritti e di doveri dei suoi protagonisti che, ove lesi, debbano trovare tutela risarcitoria ai sensi della noma richiamata. Dunque, condotte di prevaricazione, di scorrettezza, di tradimento di progettualità, nonostante l'assenza di doveri coniugali tra conviventi non sposati, non impedisce dunque che sia astrattamente configurabile una tutela risarcitoria, qualora si sia registrata la violazione dei doveri di lealtà, correttezza, solidarietà e reciproco affidamento incombenti sulle parti nella prospettiva della costituzione di un vincolo matrimoniale, e da tale violazione sia derivata la lesione di diritti fondamentali della persona.

Il limite incolpevole della pronuncia esaminata è dato dall'aver affrontato la Corte tali questioni soltanto in via astratta ed ipotetica, atteso che il giudizio impugnato si era concluso con una pronuncia di estinzione per rinuncia agli atti, e che l'ipotetica legittimazione della attrice alla domanda fatta valere e poi abbandonata è stata vagliata soltanto ai fini dell'ammissione della stessa al gratuito patrocinio e dunque alla concreta possibilità di liquidare in favore del suo difensore le spese di lite sostenute e di porle a carico dello Stato. Resta dunque da attendere, con estremo interesse, una prossima pronuncia che affronti il merito della risarcibilità in concreto di tali diritti della personalità, specificando quali di essi – in relazione al macrodiritto alla vita familiare,che di fatto qui viene in rilievo come l'interesse leso nelle sue possibili e molteplici declinazioni - possano trovare concreto ristoro ove lesi all'interno di una famiglia di fatto, e soprattutto quali caratteristiche specifiche debba avere la solidità ed il consolidamento di tale relazione per poter dare origine a situazioni ed interessi risarcibili.

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