Applicazione UBER POP, servizio pubblico di trasporto non di linea e concorrenza sleale per violazione di norme pubblicistiche

Ombretta Salvetti
14 Marzo 2016

L'utilizzo di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale e la violazione di norme pubblicistiche da parte della piattaforma UBER POP e degli autisti (drivers) ad essa affiliati, determinando un illecito sviamento di clientela nei confronti dei tassisti autorizzati.
Massimo

L'utilizzo di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale e la violazione di norme pubblicistiche da parte della piattaforma UBER POP e degli autisti (drivers) ad essa affiliati, determinando un illecito sviamento di clientela nei confronti dei tassisti autorizzati dei servizi di radio taxi e delle associazioni e cooperative di tassisti in virtù dei minori prezzi praticati, per il servizio di trasporto passeggeri non di linea, integrano atti di condotta sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c..

Il caso

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. alcune società che gestiscono i servizi di radio taxi ed alcune associazioni di categoria, anche sindacali, di tassisti di Milano, Genova e Torino hanno chiesto, in via cautelare, nei confronti delle società del gruppo Uber, al Tribunale di Milano, l'inibitoria del servizio di trasporto passeggeri su auto private denominato UBER POP, facente capo ad una holding internazionale, l'inibitoria del servizio UBER POP ed il conseguente oscuramento del sito internet e della relativa applicazione informatica per smartphone, con l'emissione di tutti i provvedimenti necessari e conseguenziali.

Le ricorrenti hanno prospettato che il servizio offerto da UBER POP di messa in contatto, tramite un'applicazione scaricabile agevolmente su smartphone, di clienti e conducenti di auto private per tratte di trasporto urbane a pagamento fosse del tutto equiparabile a quello fornito da una centrale di radio taxi, che le società resistenti, occupandosi del reclutamento degli autisti, della loro individuazione ed invio agli utenti per le singole tratte richieste, della ricezione dei pagamenti e della remunerazione dei drivers, avrebbero un ruolo essenziale nella messa in contatto di autisti ed utenti, svolgendo così un ruolo di intermediazione essenziale per il funzionamento del metodo Uber, offrendo, sostanzialmente, un servizio di taxi abusivo, attesa la violazione di tutte le norme di carattere pubblicistico che governano il settore del trasporto pubblico non di linea, dunque utilizzando mezzi non conformi alla correttezza professionale integranti concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c., dal momento che la violazione delle norme pubblicistiche aventi ad oggetto sia i requisiti soggettivi degli operatori del servizio sia le modalità del trasporto, consentirebbe alle società facenti capo a Uber, di acquisire un vantaggio concorrenziale, dato dalla possibilità per i drivers aderenti al servizio di evitare i costi fissi normalmente a carico dei tassisti ufficiali e , così, di offrire al mercato in cui agiscono le cooperative ed associazioni dei tassisti il medesimo servizio a prezzi notevolmente inferiori a quelli da queste ultime usualmente praticati. Poiché le società del gruppo Uber agiscono per scopo di lucro e coordinano l'attività degli autisti, il loro ruolo sarebbe indispensabile e più grave di quello dei singoli conducenti, dunque tali imprese sarebbero da considerarsi le principali autrici degli atti di concorrenza sleale nei confronti delle associazioni di taxi.

Secondo le società resistenti, invece, UBER POP non poteva esser considerata un servizio di taxi, in quanto consisteva solamente di un'applicazione informatica volta a favorire forme di trasporto condiviso, attuate direttamente dagli utenti al fine di abbattere i costi di impiego delle auto private e di ridurre l'inquinamento. Gli utenti si limiterebbero ad aderire alla community creata dalla rete Uber, di cui possono fare parte solo i soggetti che installino la relativa app sul loro smartphone, così integrandosi una forma di trasporto privato e non pubblico; i conducenti, a differenza dei tassisti, non svolgerebbero un servizio “di piazza”, non avendo obblighi di stazionamento sul luogo pubblico, non essendo obbligati ad accettare qualunque servizio e ricevendo non una remunerazione determinata in via amministrativa, ma un mero rimborso delle spese di viaggio e dei costi del veicolo; si tratterebbe allora non di una forma di trasporto pubblico in violazione di norme pubblicistiche, ma di un contratto atipico nuovo, espressione dell'autonomia negoziale di cui all'art. 1322 c.c., tutelabile in virtù del principio costituzionale di libertà dell'iniziativa economica (art. 41 Cost.).

La questione

La questione giuridica affrontata nell'ordinanza del Tribunale di Milano è la seguente: la piattaforma UBER POP integra una nuova, lecita tipologia di contratto di trasporto atipica realizzata mediante una community di privati, volta alla condivisione di mezzi di trasporto privati, nel comune interesse al risparmio di costi e di abbattimento del traffico e dell'inquinamento, ovvero costituisce un'attività di impresa che si pone in rapporto di concorrenza sleale per violazione di norme pubblicistiche e scorrettezza di mezzi con l'attività di trasporto di passeggeri di piazza svolta dai taxisti autorizzati?

Le soluzioni giuridiche

Secondo la ricostruzione effettuata dal Tribunale di Milano nell'ordinanza in commento, UBER POP consiste in un'applicazione on line agevolmente fruibile da parte di qualsiasi utente della rete internet tramite installazione su uno smartphone, per mezzo della quale chiunque sia interessato a recarsi da un luogo all'altro di una città servita da tale app (all'epoca, in Italia, lo erano Milano, Torino, Padova e Roma), invece di chiamare un taxi tramite la centrale locale di radio taxi, può procurarsi un driver indipendente, affiliato alla rete Uber, che, individuato a cura della piattaforma fra quelli disponibili e già per strada nel luogo più prossimo alla sede della chiamata, si reca velocemente a prenderlo nel luogo richiesto e lo conduce a destinazione con la propria auto privata, senza percepire direttamente alcun compenso, ma fruendo di una percentuale del pagamento corrisposto on line, a mezzo di carta di credito, da parte dell'utente, direttamente alla rete. Il giudice, esclusa l'assimilabilità del servizio a quello di car sharing, prendendo le mosse dalla disamina della disciplina normativa di settore concernente gli autoservizi pubblici non di linea (l. n. 21/1992) e del codice della strada, in particolare considerando le disposizioni che prevedono sanzioni amministrative nei confronti di soggetti privi della licenza di cui all'art. 8, l. n. 21/1992, ha concluso per l'impossibilità che un servizio analogo a quello svolto dai taxi possa essere esercitato da soggetti privi di licenza. Sul piano comunitario ha comparato il pubblico interesse alla garanzia della mobilità e alla libera circolazione dei servizi con le esigenze di sicurezza ed integrità personale degli utenti, ritenendo lecita la piena autonomia del legislatore nel disciplinare in via amministrativa il settore dei trasporti tramite concessione di autorizzazioni all'esercizio del trasporto di persone, quindi ha aderito alla tesi delle associazioni ricorrenti circa la sostanziale equiparabilità del servizio UBER POP a quello dei tassisti di piazza e circa la violazione di tutta la normativa pubblicistica di settore inerente alle licenze previste per i conducenti ed ai controlli dei veicoli, violazione che comporta un effettivo vantaggio concorrenziale in capo alle società resistenti ed ai conducenti concorrenti nell'illecito, idoneo ad un indebito sviamento della clientela.

Sul piano squisitamente giuridico, l'ordinanza ha inquadrato la fattispecie nell'ambito della concorrenza sleale di cui all'art. 2598, n. 3, c.c. e, ravvisato anche il periculum in mora in relazione alla caratteristica di rapida evoluzione del servizio UBER POP anche in ulteriori città, ha concesso l'inibitoria richiesta nei confronti di tutte le società del gruppo Uber resistenti, che ha ritenuto svolgere un ruolo non meramente intermediario ed occasionale, bensì una indispensabile funzione organizzativa e propulsiva del servizio in esame, rigettando, invece, il ricorso, nei confronti dell'unico driver del sistema UBER POP evocato, in quanto ritenuto estraneo a ruoli organizzativi, con valutazione di carenza di strumentalità dell'eventuale inibitoria nei suoi confronti rispetto alle domande ipotizzabili in sede di merito.

Data la novità delle questioni, non constano precedenti in termini.

L'ordinanza in commento è stata confermata, in sede di reclamo (cfr. Trib. Milano, ord. 9 luglio 2015, F. It. I, 2926) con parziale modifica nel senso dell'estensione della tutela anche nei confronti del singolo conducente privato evocato in giudizio.

Contra, per la diversa ipotesi del noleggio auto con conducente (App . UBER BLACK), cfr. G.d.P. Milano , riformata da Trib Milano, I sez. Civ, sent. 6 luglio 2015.

Osservazioni

Il Tribunale di Milano ha affrontato, per ora solo in via cautelare, alcune delle problematiche create dall'applicazione mobile UBER, facente capo ad una società californiana avente sede a San Francisco, che si sta diffondendo a macchia d'olio in vari continenti e che ha suscitato la fiera opposizione da parte delle associazioni dei tassisti tradizionali, ovunque, stante la sua potenzialità espansiva e il gradimento incontrato fra gli utenti. L'ordinanza ha esaminato, in questo caso, non l'ipotesi del servizio di noleggio auto con conducente (NCC) denominato UBER BLACK di cui, invece si è occupata in altra sede (cfr. Trib. Milano, sez I civ., sent. 6 luglio 2015 che, riformando una sentenza del Giudice di Pace ha ritenuto la legittimità di una sanzione amministrativa inflitta ai sensi dell'art. 85 Cod. Strada a un conducente di UBER BLACK che aveva accettato una corsa e preso in carico un cliente, sebbene si trovasse fuori della rimessa in cui, secondo la disciplina di settore, era invece tenuto a stazionare in attesa della chiamata), bensì il servizio denominato UBER POP, in base al quale, una volta scaricata la relativa applicazione sul proprio smartphone, qualsiasi utente può avvalersi di un conducente Uber, contattato dalla rete tramite GPS, in grado di individuare quello che si trovi in circolazione con la propria autovettura nel punto più prossimo al luogo ove si trova il cliente, che lo preleverà nel luogo richiesto, portandolo a destinazione in cambio di una controprestazione patrimoniale versata direttamente a Uber dall'utente tramite carta di credito per mezzo della app., commisurata alla distanza ed alle circostanze di tempo e di luogo.

Si desidera, in questa sede, porre in evidenza due delle problematiche affrontate dal giudice della cautela, e cioè la distinzione dell'app Uber Pop con il c.d. car sharing e la valutazione dell'illecito da concorrenza sleale di cui all'art. 2598 n. 3 c.c., che appaiono di particolare interesse, stante il continuo proliferare, nel settore dei trasporti, di nuove tipologie contrattuali atipiche, che risponde alle esigenze, da un lato, di garantire un risparmio agli utenti, in epoca di profonda recessione economica, dall'altro di agevolare la duttilità ed elasticità dei servizi di trasporti in funzione delle specifiche esigenze dei singoli, non sempre soddisfatte dalle classiche tratte fisse dei servizi di trasporto pubblico e, talora, di contribuire all'abbassamento delle soglie di inquinamento dell'ambiente, esigenze che, tuttavia, normalmente si scontrano con la stretta regolamentazione pubblica della materia, sottratta anche alla liberalizzazione comunitaria di cui alla Dir. 123/2006 in tema di circolazione di servizi e disciplinata non dall'art. 56 TFUE in tema di libera circolazione dei servizi , bensì dall'art. 58 n. 1 TFUE, specifico per il settore dei trasporti (v. L. Giove, A. Comelli, Dir. Ind., 255, 3/2015).

L'ordinanza in esame ha bene individuato, in primo luogo, i tratti distintivi del servizio UBER POP rispetto al c.d. car sharing, chiarendo che i conducenti di UBER non soddisfano mai, come avviene, invece, nella condivisione di veicoli, ad un interesse proprio di recarsi in un certo luogo, dunque non condividono affatto il veicolo e la destinazione con i passeggeri, ma svolgono un servizio di trasporto; essi, inoltre, non ricevono inoltre un mero contributo alle spese di viaggio (benzina, pedaggi autostradali) versato loro direttamente dall'utente, ma percepiscono dal gestore un vero e proprio compenso, costituito da una percentuale del prezzo versato dal cliente a mezzo di carta di credito, tramite la app, al gestore del servizio, variabile a seconda della lunghezza della tratta e delle contingenze- c.d. surge pricing -(segnala il giudice, ad esempio che, in occasione di eventi quale Expo 2015, i prezzi erano destinati a lievitare), cosicchè realizzano senza dubbio un uso del veicolo nell'interesse di terzi, con conseguente applicabilità delle sanzioni di cui all'art. 82 cCod. Strada. In tale ambito, il giudice ha altresì, giustamente, escluso che con la app UBER si venga a creare una community che consentadi escludereil carattere pubblico del servizio svolto, posto che chiunque può entrare a far parte di tale community sol che possegga uno smartphone idoneo e vi scarichi la app., senza che siano richiesti requisiti esclusivi agli aderenti, non configurandosi così differenze sostanziali rispetto al servizio di chiamata per via di radiotaxi, quanto a carattere indifferenziato dell'utenza.

Chiarito dunque che il servizio così organizzato tramite la app UBER POP integra un uso dei veicoli nell'interesse di terzi, in quanto prestato dietro corrispettivo e che tale uso richiederebbe necessariamente un titolo autorizzativo in capo a chi lo esercita, lo step successivo consiste nella valutazione dell'illiceità di tale attività, sotto il profilo della concorrenza sleale per violazione di norme pubblicistiche, posto che ai conducenti di UBER non sono richiesti nè il conseguimento di apposita licenza nè le verifiche ed i controlli ai veicoli a cui debbono, invece, sottoporsi, i conducenti di taxi ordinari, a norma di legge (v. L 21/92 sul trasporto pubblico non di linea) nè, può aggiungersi, la stipula di contratti assicurativi per la responsabilità civile valevoli per il trasporto passeggeri, a tutela dei trasportati.

La questione del rapporto di concorrenza è stata valutata dall'ordinanza in esame con riferimento al sistema praticato da Uber nel suo insieme, dato che non è apparso possibile scindere i ruoli dei singoli conducenti da quello organizzativo e propulsivo posto in essere dal gestore della app che, fungendo da intermediario indispensabile per i contatti fra clienti e drivers, di cui organizza rete e percorsi, di fatto offre un servizio equiparabile in toto a quello della centrale radiotaxi e, così, si rende responsabile di atti di concorrenza sleale ai danni dei tassisti ufficiali. E, del resto, allo scopo di valutarsi la correttezza/scorrettezza commerciale, l'operazione non può che essere considerata nel suo complesso, posto che il risultato di alterazione del mercato si realizza a seguito della concatenazione di una serie di condotte che, se esaminate una per una, sarebbero lecite.

La norma applicata è l'art. 2598, n. 3, c.c. che, secondo autorevole dottrina (cfr. Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di Diritto Industriale, Ed. Giuffrè, VI, ) costituisce una clausola generale per cui costituiscono atti di concorrenza sleale tutte le condotte non conformi ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l'altrui azienda.

Il sistema ideato da Uber può ascriversi, idealmente, al gruppo di atti di concorrenza sleale che alterano la situazione del mercato, nel quale rientrano i casi di violazione di norme di diritto pubblico. È infatti grazie all'elusione della disciplina pubblicistica in materia di trasporto (l. n. 21/1992,; artt. 82 e 86 Cod.Strada) che i conducenti, evitando maggiori e gravosi costi per licenze, assicurazioni, controlli dei veicoli, ed eludendo anche gli orari vincolati di servizio tipici dei taxi ufficiali, spesso scomodi, possono giungere all'applicazione di tariffe significativamente inferiori a quelle del servizio pubblico che non sarebbero mai praticabili per un taxista. L'interazione fra conducenti e società Uber che, quale gestore del sistema, è stata ritenuta non una community telematica o una piattaforma tecnologica, ma un soggetto esercente una vera e propria attività imprenditoriale è stata valutata come fonte di un illecito risparmio di costi sfruttato per un ribasso dei prezzi non praticabile dai concorrenti tassisti pubblici, con conseguente danno concorrenziale da diminuzione dell'avviamento.

Non tutte le ipotesi di violazione di norme pubblicistiche, naturalmente, vengono ritenute poter dare luogo a forme di concorrenza sleale: qualora la violazione abbia ad oggetto norme non poste direttamente a tutela della concorrenza tra imprenditori privati, secondo l'orientamento prevalente, a cui pare avere aderito l'ordinanza in esame, affinché la violazione costituisca atto di concorrenza sleale occorre che da queste violazioni sa derivato un ingiusto svantaggio competitivo al concorrente che, invece, rispetta le normative di settore e ne sopporta i costi (cfr. Trib. Torino, 17 agosto 2011). Nel caso di specie, la diffusione del fenomeno UBER e la potenzialità espansiva descritta dal Tribunale paiono integrare anche positivamente una situazione di concreta alterazione della capacità di penetrazione del mercato, pur non sempre ritenuta necessaria, dalla giurisprudenza, ai fini della valutazione di sussistenza dell'illecito, (cfr. in tal senso, Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2008, n. 19720 e Cass., 27 aprile 2004, n. 8012 ).

Se, sul piano dell'inibitoria, le considerazioni svolte dal Tribunale paiono senz'altro logiche e condivisibili, tanto che l'ordinanza è stata confermata in sede di reclamo, ove la tutela è stata estesa anche nei confronti di un conducente-persona fisica- evocato (cfr. Tribunale Milano, Sez. Impresa, ord., 9 luglio 2015), la prova, nella futura fase di merito, dell'effettivo sviamento della clientela e del danno concreto patito, in termini di avviamento e di lucro cessante, dalle associazioni di categoria che si assumono danneggiate, pare di non agevole perseguimento, anche in considerazione dell'eterogeneità delle posizioni soggettive processualmente coinvolte.

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