Illecito dell’amministratore e conseguenti sanzioni tributarie irrogate al socio: il danno deve essere provato

Claudio Tatozzi
Riccardo Perini
14 Ottobre 2015

È astrattamente configurabile l'ipotesi di danno diretto al patrimonio del socio di s.r.l. a base ristretta di partecipazione quando, all'esito di accertamento fiscale eseguito dalla Guardia di Finanza, che abbia ritenuto l'esistenza di costi indeducibili esposti dalla società, vengano applicate al socio sanzioni amministrative sul presupposto dell'intervenuta percezione di utili d'impresa non dichiarati dal parte del medesimo. Nel caso indicato il danno prospettato, qualora esistente, incide direttamente sul patrimonio del socio, che può contestare l'accertamento induttivo indipendentemente da distinte iniziative assunte o meno dalla medesima società.
Massima

È astrattamente configurabile l'ipotesi di danno diretto al patrimonio del socio di s.r.l. a base ristretta di partecipazione quando, all'esito di accertamento fiscale eseguito dalla Guardia di Finanza, che abbia ritenuto l'esistenza di costi indeducibili esposti dalla società, vengano applicate al socio sanzioni amministrative sul presupposto dell'intervenuta percezione di utili d'impresa non dichiarati dal parte del medesimo. Nel caso indicato il danno prospettato, qualora esistente, incide direttamente sul patrimonio del socio, che può contestare l'accertamento induttivo indipendentemente da distinte iniziative assunte o meno dalla medesima società.

Il caso

Un soggetto, all'epoca dei fatti di causa socio di maggioranza di una s.r.l. con un unico altro socio e gestita da un amministratore unico, premettendo che l'Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società l'esposizione di «costi indeducibili» nei conti sociali, con conseguente illecito abbattimento dell'imponibile tassabile (e, si deve presumere, con la conseguente creazione di disponibilità liquide utilizzabili in via extracontabile), deduce di essere stato a sua volta destinatario di un accertamento fiscale di tipo induttivo, basato esclusivamente sui risultati delle indagini a carico della società, con il quale l'Agenzia gli ha contestato la percezione di redditi non dichiarati derivanti dalla partecipazione sociale (si deve presumere, generati dalla distribuzione delle anzidette disponibilità liquide "extracontabili"). Il socio, affermando di non avere in realtà mai percepito alcun utile negli anni che venivano in rilievo, conviene avanti al Tribunale l'amministratore unico della s.r.l. per ottenere da questi il risarcimento del danno costituito dalle sanzioni tributarie irrogategli dall'Autorità.

La questione

Il Tribunale di Piacenza ha respinto l'azione del socio perché «nel caso di specie, parte attrice non» aveva «assolto all'onere probatorio su lei gravante», valorizzando, tra le altre cose, la mancanza della prova che il socio di controllo avesse impugnato l'accertamento induttivo «fondato su valutazioni presuntive come tali certamente sindacabili».

Le lacune di allegazione e probatorie dell'azione non hanno tuttavia impedito al Tribunale di interrogarsi, in via di astrazione, sulla possibilità di ascrivere il danno lamentato dall'attore al novero di quei pregiudizi - cagionati al patrimonio di terzi diversi dalla società amministrata, per effetto della condotta dolosa o colposa dell'amministratore - rispetto ai quali l'ordinamento appresta tutela con le previsioni di cui all'art. 2395 c.c. (in materia di s.p.a.) e all'art. 2476, comma 6, c.c. (in materia di s.r.l.).

Le soluzioni giuridiche

La sentenza annotata muove dall'affermazione di principi consolidati in giurisprudenza, primo tra tutti quello secondo cui l'azione del socio e del terzo di cui agli artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c. è esperibile soltanto se l'attore deduca la sussistenza di un danno patito al proprio patrimonio e che al tempo stesso non rappresenti il riflesso di un pregiudizio al patrimonio della società (Cfr., ex multis, Cass., S.U., 24 dicembre 2009, n. 27346; Cass., 22 marzo 2010, n. 6870; Cass., 23 giugno 2010, n. 15220; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2087; App. Milano, 9 dicembre 2003, in Società, 2004, 6, 733; Trib. Torino, 11 ottobre 2013, in www.giurisprudenzadelleimprese.it. In dottrina cfr. Bonelli, L'esercizio delle azioni di responsabilità, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, 1991, 4, 445). La distinzione può essere problematica quando viene in rilievo la posizione del socio, il cui patrimonio può essere inciso dalla condotta dolosa e colposa dell'amministratore sia sotto forma di lesione del valore della partecipazione sociale detenuta (nel qual caso l'azione qui in esame non sarà proponibile), sia sotto forma di lesione di entità patrimoniali distinte dalle quote societarie. Altrettanto consolidate sono le tesi, anch'esse ribadite dal Tribunale di Piacenza, secondo cui vi è sostanziale identità tra le tutele di cui all'art. 2395 c.c. e all'art. 2476, comma 6, c.c.( Cfr. Angelillis e Sandrelli, Commento sub art. 2476, in Commentario alla riforma delle società – Società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 771), configurando inoltre entrambe le previsioni normative una responsabilità dell'amministratore di natura aquiliana (Cfr., ex multis, Cass., 23 giugno 2010, n. 15220; Cass., 25 luglio 2007, n. 16416; Cass., 28 febbraio 1998, n. 2251. In dottrina cfr. Cottino, Diritto societario, Padova, 2011, 431; Ferrara jr e Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 571; Pinto, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, Torino, 2007, 899).

Il profilo di interesse della sentenza in commento è un altro. Le ipotesi di danno diretto al solo patrimonio del socio, infatti, sono rare e di non semplice individuazione [Tra le fattispecie esaminate dalla giurisprudenza, si segnala che la responsabilità ex art. 2395 c.c. è stata affermata nel caso di amministratori che, predisponendo bilanci falsi, abbiano indotto soci o terzi : (i) a sottoscrivere o acquistare azioni ad un prezzo eccessivamente elevato e non rispondente al relativo valore di mercato (cfr. Trib. Milano, 20 marzo 1997, in Giur. it., 1998, 108); (ii) a non cedere le proprie azioni poi rivelatesi prive di valore (Trib Milano, 24 gennaio 1983, in Giur comm., 1984, II, 42); (iii) a concedere alla società forniture e finanziamenti (Cass., 28 marzo 1960, n. 669). Ulteriori ipotesi di responsabilità ex art. 2395 c.c. sono state ravvisate anche in caso di incongruità del rapporto di concambio in occasione di una fusione (Trib. Genova, 21 dicembre 2000 e Trib. Milano, 2 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, c. 1933), violazione dell'obbligo di convocazione del socio (App. Venezia, 26 luglio 1965, in Dir. fall., 1966, 2242), omessa apposizione sui titoli rappresentativi di azioni non interamente liberate della relativa indicazione, con conseguente richiesta di versamento dei decimi ancora dovuti a carico del cessionario delle azioni (Cass., 13 gennaio 2004, n. 269), intestazione a nome proprio di azioni sottoscritte dai soci (Cass., 10 aprile 1979, n. 2055), abusiva conversione di titoli al portatore in titoli nominativi emessi a nome di soggetti diversi dal portatore (Cass., 26 febbraio 1982, n. 1222), illegittima esclusione del socio dalla divisione degli utili (Cass., 17 agosto 1966, n. 2242)], poiché spesso i casi che vengono portati innanzi al Giudice sono attinenti a pregiudizi al patrimonio sociale che investono soltanto di riflesso quello del socio. Il Tribunale di Piacenza, con la pronuncia qui in esame, ha affermato l'esistenza di una tipologia concreta di danno "diretto" che non risulta sia stata frequentemente trattata dalla giurisprudenza (Un caso analogo è stato trattato da Trib. Napoli, 7 novembre 2013, cit., nella cui motivazione si legge quanto segue: "la ricorrente riferisce e documenta, infatti, di aver subito accertamenti dall'erario quanto ad omesse denunzie di entrate derivanti dalla sua partecipazione alla Centro D. C., a sua volta accertate a seguito d'indagini svolte dall'Agenzia delle Entrate nei confronti della società. Ritiene lo scrivente che quei danni e gli altri alla propria sfera patrimoniale, che l'istante intende evitare, siano in realtà i pregiudizi diretti disciplinati dall'art. 2476, comma 6, c.c.".).

L'occasione data al Tribunale origina dalle interferenze della fattispecie con la legislazione tributaria in materia di accertamento dei redditi di tipo presuntivo, e in particolare con l'orientamento della giurisprudenza tributaria secondo cui «la ristretta base della compagine societaria e la natura fittizia di costi possono giustificare la presunzione di assegnazione al socio di una quota degli utili extrabilancio della società» (cfr. Cass., n. 1906/2008).

Nel caso in esame, al compimento di illeciti contabili imputabili all'amministratore unico è seguita la presunzione - operata dall'Agenzia delle Entrate - della percezione, da parte del socio di controllo, di utili non dichiarati, cui si è accompagnata l'irrogazione a quest'ultimo di sanzioni amministrative per omessa dichiarazione.

Il Tribunale di Piacenza, nell'affrontare il problema della riconducibilità astratta del danno “da sanzione tributaria” al novero dei danni “diretti” al patrimonio del socio, afferma che «il socio non lamenta di aver subito una quota del danno a sua volta patito dalla società, circostanza che attesterebbe la natura riflessa del danno prospettato, ma lamenta un danno personale al proprio patrimonio avendogli l'ente richiesto, in considerazione della ristretta base partecipativa della società all'epoca, il pagamento di una sanzione per un reddito che avrebbe effettivamente percepito, incamerato personalmente e consapevolmente, in quanto socio di maggioranza, e che non avrebbe, peraltro, dichiarato». Il Tribunale, quindi, risponde positivamente, perlomeno in astratto, alla questione prospettata nel paragrafo che precede: la sanzione tributaria inflitta al socio sulla base della presunzione che questi abbia percepito utili sociali non dichiarati rappresenta un danno diretto al suo patrimonio, causalmente riconducibile al «comportamento colposo dell'amministratore (...) che abbia esposto nella gestione della società costi effettivamente indeducibili», e come tale risarcibile ai sensi dell'art. 2476, comma 6, c.c..

Osservazioni

Non può revocarsi in dubbio che la sanzione tributaria che viene in rilievo non costituisca il riflesso di un danno al patrimonio sociale, avendo inciso solo ed esclusivamente sul patrimonio del socio. Più problematico è invece l'assunto del Tribunale secondo cui la sanzione tributaria può astrattamente costituire un danno risarcibile e imputabile all'amministratore, posto che a una tale valutazione possono ostare considerazioni, formulate sempre su un piano astratto, inerenti il rispetto dei principi in materia di causalità giuridica.

Distinguiamo, a quest'ultimo riguardo, l'ipotesi della fondatezza della presunzione di cui all'accertamento fiscale induttivo da quella della sua erroneità. Nel primo caso, il socio di controllo avrà consapevolmente ricevuto liquidità dalla società senza dichiararla al fisco. L'amministratore certo non potrà essere chiamato a rispondere della sanzione irrogata a carico del socio, posto che quest'ultimo ha consapevolmente tratto beneficio da un illecito al quale ha compartecipato. Non sarebbe quindi individuabile, neppure in astratto, un danno risarcibile. Nel secondo caso (infondatezza della presunzione di cui all'accertamento induttivo), il socio, come sottolineato dal Tribunale di Piacenza, ha la facoltà di attivare un procedimento contenzioso volto a fornire la prova positiva di non aver mai percepito i maggiori redditi da partecipazione che gli vengono contestati. L'attivazione del contenzioso sarebbe doverosa ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., ai sensi del quale «il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza». All'esito del procedimento, astrattamente, si potrebbero avere due risultati:

  1. l'annullamento dell'accertamento induttivo, e il conseguente venir meno della sanzione (che non costituisce più, quindi, un danno risarcibile), ovvero
  2. il definitivo consolidamento dell'accertamento induttivo.

Nell'ipotesi sub 2, si determinerebbe - pur con tutti i caveat del caso, che necessiterebbero di ben altro approfondimento e dell'ausilio di nozioni specialistiche in materia di diritto tributario - una situazione che potrebbe anche essere considerata equiparabile a quella di un accertamento circa l'effettiva e consapevole percezione, da parte del socio di controllo, di utili da lui poi non dichiarati. Anche in questo caso, quindi, si interromperebbe il nesso di causalità giuridica tra l'illecito contabile dell'amministratore e l'irrogazione della sanzione al socio di controllo, con conseguente inconfigurabilità di un danno risarcibile da porre a carico del primo.

Le considerazioni che precedono devono dunque indurre a una riflessione sull'affermazione del Tribunale circa l'astratta responsabilità risarcitoria dell'amministratore per le sanzioni tributarie inflitte al socio di controllo in dipendenza di accertamenti fiscali induttivi a loro volta originati da illeciti contabili del primo. Mentre pare certo che il danno in esame non costituisca un riflesso di pregiudizi al patrimonio sociale, e risponda dunque a uno dei requisiti di esperibilità delle azioni personali del socio e del terzo ex artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c., la sussistenza di un nesso di causalità giuridica tra l'illecito dell'amministratore e l'irrogazione della sanzione al socio di controllo, per poter essere affermata in termini astratti e generali (come ha fatto il Tribunale), dovrebbe essere oggetto di un approfondimento che tenga conto anzitutto delle implicazioni della normativa in materia tributaria sulla fattispecie in esame.

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