Le Sezioni Unite su oneri delle parti e potestà ufficiose del giudice nell'accertamento della titolarità del diritto al risarcimento

Antonino Barletta
16 Giugno 2016

Il diritto al risarcimento dei danni cagionati a un bene immobile spetta al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento in cui è occorso l'evento dannoso. La titolarità del diritto rappresenta un fatto costitutivo, che deve essere allegato e provato dall'attore.
Massima

Il diritto al risarcimento dei danni cagionati a un bene immobile spetta al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento in cui è occorso l'evento dannoso. La titolarità del diritto rappresenta un fatto costitutivo, che deve essere allegato e provato dall'attore e che al convenuto spetta contestare, dando luogo a una mera difesa.

La mancata contestazione della titolarità del diritto pone delicati problemi di valutazione da parte del giudice, posto che essa non comporta un vincolo di meccanica conformazione in sede decisoria. Al giudice è peraltro riservata, in ogni caso, la potestà di stabilire l'idoneità del titolo allegato dall'attore a determinare l'acquisto della proprietà sul bene danneggiato anteriormente al verificarsi dell'illecito.

Il caso

Tizio e Caio, rispettivamente proprietario e usufruttuario di un fabbricato, hanno adito il Tribunale di Pisa chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza a frane e smottamenti provocati – secondo le prospettazioni degli attori – da Anas in relazione a lavori di costruzione di una variante stradale.

La convenuta Anas non si è costituita in primo grado, venendo condannata al risarcimento dei danni.

Anas ha di seguito proposto appello avanti la Corte d'Appello di Firenze avverso la sentenza di prime cure, contestando la “legittimazione attiva” degli assunti danneggiati e più precisamente la titolarità dei diritti di proprietà e di usufrutto che si assumevano lesi nel precedente grado di giudizio. Secondo l'appellante, infatti, gli attori in prime cure avevano acquistato i diritti reali sull'immobile per atto pubblico solo nel 1995, mentre l'assunto danneggiamento era occorso nel 1994. Da parte loro, Tizio e Caio hanno proposto appello incidentale riguardo alla quantificazione.

La Corte d'Appello ha accolto l'appello principale, riformando integralmente la sentenza del Tribunale di Pisa.

L'affermato proprietario del fabbricato danneggiato ha proposto ricorso in cassazione. In primo luogo, egli ha sostenuto che il passaggio della proprietà di un immobile era già avvenuto in forza di una scrittura privata nel febbraio 1988, ben prima dell'evento dannoso e che non è necessario ai fini dell'acquisto della proprietà l'atto pubblico. In secondo luogo, si è sostenuto che la difesa, svolta da Anas solamente nel proprio atto d'appello, fosse tardiva, trattandosi di un'eccezione in senso stretto, ovvero che comunque il giudice di secondo grado avrebbe dovuto applicare il principio di non contestazione. Si è osservato, poi, che il diritto al risarcimento del danno si era comunque trasferito insieme con il trasferimento del diritto di proprietà nel 1995.

Nel rigettare il ricorso, in relazione agli altri motivi, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d'Appello di Firenze, affermando la sussistenza del diritto di proprietà del ricorrente al momento in cui era occorso il danno in relazione alla scrittura privata prodotta in giudizio e osservando che a norma dell'art. 1350, n. 1, c.c. non è richiesto per il passaggio della proprietà un atto pubblico: «nel caso di specie l'atto pubblico è del 27 febbraio 1995, quindi successivo all'evento dannoso (avvenuto nel 1994), ma prima dell'evento dannoso (il 20 febbraio 1988) era stata stipulata una scrittura privata, sottoposta alla condizione dell'acquisto del bene da parte del promissario venditore in favore [dell'attore] promissario acquirente, cui era seguito, sempre nel 1988, il verificarsi della condizione dell'acquisto del bene da parte del promissario venditore, nonché il completamento del pagamento del prezzo da parte [dell'attore]. Una scrittura privata di questo tipo comporta, al verificarsi della condizione in essa prevista, il trasferimento della proprietà tra le parti e, di conseguenza, fa sì che il diritto al risarcimento del danno successivamente subito dall'immobile spetti all'acquirente del bene».

La questione

Come distinguere esattamente tra legittimazione ad agire e titolarità del diritto al risarcimento e quali sono i poteri del giudice in ordine alla decisione sulla relativa questione?

Le soluzioni giuridiche

L'intervento delle Sezioni Unite è stato richiesto per la composizione di un conflitto tra opposti orientamenti così sintetizzati da parte dell'ordinanza di rimessione: «la giurisprudenza di legittimità non è unanime in materia di contestazione della reale titolarità attiva o passiva del diritto sostanziale dedotto in giudizio. La tesi minoritaria sostiene che essa costituisce una mera difesa, con le ovvie conseguenze, tra le quali quella che incombe alla parte, la cui titolarità è contestata, fornire la prova di possederla. L'orientamento maggioritario, invece, afferma che contestazione della reale titolarità attiva o passiva del diritto sostanziale dedotto in giudizio costituisce un'eccezione in senso tecnico, che deve essere introdotta nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte, con l'ulteriore conseguenza che spetta alla parte che prospetta tale eccezione l'onere di provare la propria affermazione» (Cass., sez. IV, ord., 13 febbraio 2015, n. 2977). Sono riferibili all'orientamento minoritario: Cass., sez. III, 10 luglio 2014, n. 15759; Cass., sez. II, 19 luglio 2011, n. 15832; Cass., sez. III, 5.11.1997, n. 10843. Mentre possono essere ascritte all'indirizzo maggioritario, ad es.: Cass., sez. III, 28 ottobre 2015, n. 21925; Cass., sez. II, 2 marzo 2015, n. 4166; Cass., sez. II, 27 giugno 2011, n. 14177; Cass., sez. II, 10 maggio 2010, n. 11284; Cass., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23670; Cass., sez. III, 26 settembre 2006, n. 20819; Cass., sez. III, 7 dicembre 2000, n. 15537.

L'orientamento maggioritario esprime il proprio convincimento a partire dalla distinzione tra legittimazione ad agire come condizione dell'azione e vera e propria titolarità del diritto fatto valere (analogamente, in dottrina, per tutti, A. Attardi, Legittimazione ad agire, in Dig. civ., Torino, 1993, 524). A tale proposito si osserva – correttamente – che la prima è riferibile a una questione pregiudiziale in rito che il giudice può decidere d'ufficio; mentre la seconda attiene al merito. Le Sezioni Unite puntualizzano che il rilievo giudiziale del difetto di legittimazione ad agire è limitato alla costatazione secondo cui “dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato dall'attore non appartiene all'attore”. Ciò fa sì che in capo al giudice non sorga nemmeno il dovere decisorio nel merito, il che spiega l'estraneità della pronuncia su tale aspetto processuale dall'ambito di applicazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, enunciata dall'art. 112 c.p.c., imponendo di definire il processo in rito, attraverso un rilievo ufficioso in ogni stato e grado.

Al contrario, la decisione di merito sulla titolarità attiva del diritto fatto valere deve avvenire sulla base alla regola dell'onere di allegazione, nonché ai sensi degli artt. 2697 c.c., art. 115 e 116 c.p.c., analogamente a quanto abbiamo osservato in relazione ai fatti costitutivi del danno non patrimoniale (cfr. il A. Barletta, La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e le preclusioni processuali applicabili in tema di allegazione e prova, in Ri.da.re.). In proposito si osserva che il sorgere di una questione sulla titolarità reale del diritto fatto valere non richiede un'eccezione in senso stretto: sottoposta alle relative preclusioni in primo grado (art. 167 c.p.c.) e in grado d'appello (art. 345 c.p.c.). Aderendo all'orientamento minoritario le Sezioni Unite affermano che la difesa del convenuto costituisce una “mera difesa” in considerazione del fatto che quest'ultimo non amplia il thema decidendum, ma si limita a rendere controverso un fatto costitutivo della domanda risarcitoria, al fine di porre a carico dell'attore l'onere di provare tale circostanza ai sensi dell'art. 2697 c.c..

Osservazioni

Come abbiamo visto, le Sezioni Unite osservano che la titolarità della proprietà sul bene danneggiato rappresenta uno degli «elementi costitutivi della domanda» di risarcimento, facendo parte del thema decidendum già definito dall'attore,insieme, ad es., al danno e al nesso causale; per quanto nel giudizio risarcitorio il diritto di proprietà non costituisca oggetto di accertamento. Difatti, tale accertamento è strumentale alla pronuncia sulla fondatezza della domanda di risarcimento, consistente normalmente nella richiesta di condannare il danneggiante a corrispondere un incremento per superare una diminuzione riferibile al patrimonio del danneggiato (cfr. il A. Barletta, La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e le preclusioni processuali applicabili in tema di allegazione e prova, cit.). In altri termini, la riferibilità soggettiva della proprietà all'attore rappresenta uno dei fatti costitutivi della domanda risarcitoria per il danno sul bene, rappresentando così un “fatto-diritto”, a cui si applicano gli oneri di allegazione, contestazione e prova, riferibili al principio di autoresponsabilità delle parti in relazione alla trattazione e alla decisione della causa.

Riguardo al regime preclusivo in tema di contestazioni sui fatti costitutivi – dopo aver premesso che l'art. 167 c.p.c. non stabilisce alcuna decadenza in relazione alle “mere difese” a differenza di quanto è previsto in materia di eccezioni in senso stretto – si osserva ancora una volta un aspetto legato alla disciplina generale di cui all'art. 115, comma 1, c.p.c. e cioè la limitazione dell'onere di contestazione specifica dei fatti, riferibile solo alle parti costituite. Il che sembra consentire una contestazione effettuata per la prima volta nell'atto di appello, da parte del convenuto che sia rimasto contumace in primo grado.

Le Sezioni Unite si soffermano poi sugli effetti della mancata contestazione in relazione a tale circostanza, rilevando come «la non contestazione pone problemi più delicati e deve essere attentamente valutata dal giudice, specie quando non attenga alla sussistenza di un fatto storico».

In sostanza, le Sezioni Unite sottolineano la sussistenza di potestà decisorie (ufficiose) del giudice che si trovi a pronunciare sulla proprietà del bene danneggiato o comunque sulla titolarità del diritto al risarcimento, pure in assenza di rilievi sul punto da parte del (l'assunto) danneggiante. Tale osservazione è assai interessante, anche se, in effetti, non viene ulteriormente approfondita, limitandosi la Suprema Corte a richiamare i poteri che in generale ha il giudice in sede di pronuncia sul fatto in base alle risultanze agli atti, anche in considerazione del principio di libero apprezzamento di cui all'art. 116 c.p.c., il quale – si nota – deve valere a fortiori in relazione alla mancata contestazione.

E' poi utile osservare in che modo le Sezioni Unite fanno uso di tali potestà, soffermandosi a proposito della sussistenza o meno di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, o comunque di un titolo idoneo al trasferimento del diritto risarcitorio.

A tale riguardo vengono affrontate due questioni. La prima concerne la possibilità di ritenere che il trasferimento della proprietà comporti anche quello del diritto di risarcimento sul bene già danneggiato al passaggio della medesima proprietà. Sul punto si rileva che il diritto al risarcimento è autonomo rispetto a quello di proprietà e che non segue quest'ultimo in caso di alienazione, a meno che non sia stabilito il contrario. La seconda questione attiene alla possibilità di stabilire il passaggio della proprietà a favore del danneggiato, in relazione ad una scrittura privata che assoggetti l'acquisto a favore dell'attore ad una condizione sospensiva, verificatasi prima che il danno sia occorso.

Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite riferisce all'attore l'applicazione della regola dell'onere di allegazione e della prova in relazione a tutti i fatti (costitutivi) che consentono di stabilire il vero avente diritto e il vero obbligato al risarcimento alla lesione affermata in giudizio. Cosicché, nel caso di specie, si è rivelata decisiva la questione formatasi sul titolo di acquisto della proprietà del bene immobile che si assumeva danneggiato. Ma analogo discorso, in realtà, può valere anche sul lato passivo per stabilire la sussistenza dell'obbligo risarcitorio in capo al convenuto: ad es., in relazione al titolo di acquisto del veicolo che ha provocato il danno nell'ambito di un sinistro da circolazione stradale, per l'applicazione dell'art. 2054, comma 3, c.c..

In generale, al convenuto si applica, come abbiamo visto, il principio di (non) contestazione di cui all'art. 115, comma 1, c.p.c.; tuttavia, non si può escludere che, in alcuni casi, debba riferirsi a tale parte anche l'onere della prova, in base al principio della vicinanza della prova ed, in particolare, in relazione ai fatti che rendono la lesione soggettivamente riferibile al medesimo convenuto, soprattutto riguardo ai diritti per i quali manca un sistema pubblicitario: come, ad es., in relazione alla sussistenza del c.d. rapporto di preposizione tra ausiliario e committente ai sensi dell'art. 1228 c.c., ovvero del rapporto di lavoro ai fini della responsabilità indiretta dei padroni e dei committenti a norma dell'art. 2049 c.c..

Per altro verso, al giudice devono essere comunque riconosciuti i poteri decisori su tutti gli aspetti giuridici connessi alla titolarità del diritto o dell'obbligo. In particolare, al giudice non può non essere riconosciuta la potestà decisoria sull'idoneità giuridica del fatto ad integrare tale titolarità. La potestà in discorso – proprio in quanto “ufficiosa” – prescinde dall'applicazione del principio di autoresponsabilità delle parti, non rendendo necessaria, quindi, ai fini del suo esercizio, la contestazione del convenuto.

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