Profili di responsabilità civile nello scontro tra sciatori: la regola del concorso presuntivo di colpa

16 Giugno 2015

Nel caso di scontro tra sciatori, ove dal quadro probatorio non emergano elementi di valutazione obiettivi, idonei a consentire la ricostruzione delle reali cause di determinazione del sinistro e la conseguente attribuzione, all'uno o all'altro dei soggetti coinvolti, della responsabilità...
Massima

Nel caso di scontro tra sciatori, ove dal quadro probatorio non emergano elementi di valutazione obiettivi, idonei a consentire la ricostruzione delle reali cause di determinazione del sinistro e la conseguente attribuzione, all'uno o all'altro dei soggetti coinvolti, della responsabilità esclusiva o percentualmente differenziata della sua causazione, deve presumersi, ai sensi dell'art. 19 l. 24 dicembre 2003, n. 363, che ciascuno di essi abbia concorso ugualmente a produrre gli eventuali danni.

Sintesi del fatto

Mentre scendeva lungo la pista Praimont di Bormio, Tizio entrava in collisione con Caio, riportando lesioni. Tizio, imputando la responsabilità del sinistro interamente a Caio, lo conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Sondrio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti. Si costituiva in giudizio Caio, il quale, chiamata in causa la propria impresa di assicurazione per esserne eventualmente manlevato, declinando ogni responsabilità nella causazione del sinistro, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda attorea. Con sentenza del 2013 il Tribunale di Sondrio condannava Caio, riconosciuto come esclusivo responsabile, al risarcimento dei danni cagionati all'attore e la compagnia assicuratrice a tenere indenne lo stesso per tutte le somme che avesse dovuto versare in base alla pronuncia. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello Caio, il quale, in primo luogo, chiedeva di accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva di Tizio nella causazione del sinistro e dunque di respingere ogni domanda da costui formulata nel giudizio di primo grado; in subordine, accertata la concorrente responsabilità di Tizio, di ridurre l'entità del risarcimento. Nel giudizio di impugnazione si costituiva Tizio, il quale chiedeva preliminarmente la declaratoria di inammissibilità dell'appello (richiesta respinta dalla Corte di appello) e nel merito di rigettare l'appello e confermare la sentenza impugnata. Si costituiva, altresì, la compagnia assicuratrice, la quale proponeva appello incidentale. La Corte di Appello di Milano ha accolto l'impugnazione (principale ed incidentale).

La questione

La Corte di Appello affronta la questione relativa all'individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità nell'ipotesi di scontro tra sciatori ed alla rilevanza della prova da parte del danneggiato della colpa di chi ha cagionato il danno al fine del riconoscimento del risarcimento, con particolare attenzione alla effettiva portata dell'onere probatorio che deve essere assolto per superare la presunzione di pari responsabilità nella produzione del danno sancita dall'art. 19 della l. n. 363/2003.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione proposta dalla Corte di Appello nella decisione in commento ha il suo fondamento normativo nella regola sancita dall'art. 19 della legge 24 dicembre 2003, n. 363 (pubblicata in G.U. n. 3 del 5 gennaio 2004) la quale, sotto la rubrica «Concorso di colpa», testualmente stabilisce: «Nel caso di scontro tra sciatori, si presume, fino a prova contraria, che ciascuno di essi abbia concorso ugualmente a produrre gli eventuali danni».

L'entrata in vigore di tale disposizione normativa ha segnato per il nostro ordinamento una ideale linea di demarcazione nella regolamentazione della materia in esame, sulla cui evoluzione pare opportuno svolgere alcune preliminari considerazioni (per una ampia analisi del tema cfr. Pradi M., voce Sci alpino, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 163 ss.; Campione R., Attività sciistica e responsabilità civile tra disciplina codicistica, legislazione speciale e regole di diritto sportivo, Padova, 2009; Ballardini E., La l.n. 363/2003 in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali, in Izzo U., Pascuzzi G. (a cura di), La responsabilità sciistica. Analisi giurisprudenziale e prospettive di comparazione, Torino 2006, 3 ss.; Casale E., La responsabilità civile nel caso di scontro tra sciatori, in Izzo U., Pascuzzi G. (a cura di), cit., 175 ss.; Flick W., Sicurezza e responsabilità nella pratica degli sport invernali alla luce della l.24 dicembre 2003, n. 363, in Danno e Resp., 2004, 475 ss.; per un'analisi del problema «dell'allocazione dei costi sociali determinati dagli incidenti occorrenti all'interno delle aree sciabili» cfr. Izzo U., Analisi economico-comportamentale della responsabilità sciistica (parte prima), in Danno e Resp., 2011, 5, 549).

a) Cenni sull'evoluzione della disciplina della pratica sciistica.

In epoca anteriore all'emanazione della legge n. 363/2003, il settore delle attività sciistiche ha trovato regolamentazione sul piano strettamente giuridico soltanto in una variegata moltitudine di disposizioni normative regionali e provinciali relative a specifici aspetti inerenti lo stesso (per una rassegna delle stesse cfr. Campione R., Le nuove norme in materia di responsabilità e sicurezza nell'attività sciistica, in Contratto e Impresa, 2004, 1314 nt. 15). Era assente, invece, una disciplina statale organica della materia che ponesse in modo chiaro ed univoco in capo agli utenti (ed ai gestori) delle aree sciistiche attrezzate obblighi comportamentali, giuridicamente rilevanti, idonei, per un verso, a garantire - in un ottica di sicurezza e prevenzione degli infortuni - la corretta pratica degli sport invernali da discesa e da fondo e per altro verso, nell'ipotesi in cui si fosse verificato un sinistro, a fornire dei parametri obiettivi su cui fondare il giudizio di colpevolezza. Invero, a tale vuoto normativo si era posto rimedio da parte degli interpreti attraverso un sempre più ampio riferimento ad alcune fondamentali regole precauzionali di buona condotta indirizzate alla collettività degli sciatori, elaborate dalla Federazione Internazionale dello Sci (FIS): si tratta del c.d. “Decalogo dello sciatore” (predisposto ed approvato nella sua prima versione nel Congresso di Beirut del 1967; aggiornato nel Congresso di Famagosta del 1973, integrato dal testo dei “Chiarimenti” ed infine rivisitato e definito nella sua formulazione attuale nel Congresso di Portorose del 2002). Tale documento, inteso come «la più progredita e completa elaborazione degli accorgimenti dettati, in materia sciistica, dalla comune esperienza» (Campione R., La circolazione nelle aree sciabili tra norme di condotta e regole di responsabilità”, in Resp. Civ., 2011, fasc. 6, 406 ss.), incentrato sulla regola generale secondo cui ogni sciatore deve assumere una condotta tale da «non creare pericoli o danni a persone o cose» ed ispirato ai canoni della prudenza e diligenza dello sciatore, per lungo tempo ha costituito anche nel nostro Paese l'unico “codice di comportamento” per sciatori e snowboarder e, sebbene la concorde dottrina non abbia mancato di escluderne una specifica valenza normativa, anche in termini di usi di cui agli artt. 1 e 8 Preleggi (così Pradi M., Lo sviluppo del diritto sciistico e le regole F.I.S. quali norme di diritto positivo, inRiv. dir. Sport., 1988, 227), esso ha, invece, progressivamente assunto sempre maggiore rilievo nelle aule di giustizia: una parte della giurisprudenza, riconoscendo ai precetti del “Decalogo” il «valore di norme di comune prudenza» che gli sciatori non avrebbero potuto ignorare ed alle quali essi avrebbero dovuto necessariamente attenersi, è giunta frequentemente a considerare l'inosservanza di tali regole, ove causativa di un incidente, come parametro idoneo a configurare una condizione di colpa in capo all'utente delle piste da sci ed a sancirne la responsabilità per i danni cagionati a terzi (cfr. Cass. pen. 23 febbraio 1966, n. 497, in Riv., dir. Sport., 1966, 153; App. Genova 11 febbraio 1981, ivi, 1982, 186; Trib. Bolzano 18 gennaio 2001, in Nuova Giur. Comm., 2001, I, 732, con nota di Bertini, Risarcimento danni da incidente sciistico). Il quadro di regolamentazione della materia è mutato significativamente per lo Stato Italiano nel 2003, con l'emanazione della legge n. 363/2003, recante le «Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo», la quale costituisce la prima legge nazionale volta a porre regole di prevenzione e sicurezza per le attività sportive non agonistiche svolte su aree sciabili attrezzate. La normativa statale, dopo avere posto alcuni fondamentali precetti per la gestione in sicurezza delle aree sciabili, integrando ed attualizzando le dieci regole di condotta dello sciatore contenute nel “Decalogo” FIS, ha dedicato l'intero capo III (artt. 8-18) alla formulazione di specifiche «Norme di comportamento degli utenti delle aree sciabili».

Se tale intervento normativo risulta apprezzabile nella prospettiva di una armonizzazione della disciplina della materia a livello nazionale, non può non rilevarsi come la stessa esigenza di uniformità di regolamentazione risulta in parte frustrata ove si allarghi l'orizzonte di indagine alla disciplina operante a livello europeo e si consideri che le disposizioni della legge n. 363/2003, pur se elaborate sul solco segnato dalle regole contenute nel “Decalogo dello sciatore” adottato dalla FIS, da esse si discostano per vari profili, mentre «il carattere transfrontaliero dello sport sciistico consiglierebbe piuttosto l'assoggettamento ad una disciplina quanto più possibile uniforme» (Vernizzi S., In tema di responsabilità civile nello scontro tra sciatori, in Resp. civ. e prev., 4, 2010, 890 ss.). Il quadro normativo nazionale è infine completato dalle disposizioni contenute nel Decreto Ministeriale (Ministero infrastrutture e trasporti) del 20 dicembre 2005, che nell'Allegato n. 2 Decalogo comportamentale dello sciatore») interviene ancora sulla materia, con la predisposizione di un compendio delle regole formulate dalla legge n. 363/2003. Questa disciplina ha però suscitato alcune perplessità da parte degli interpreti (Ibidem), in quanto i precetti in essa contenuti in parte differiscono da quelli posti dal “Decalogo dello Sciatore” della FIS e per altri aspetti non riproducono in modo fedele quelli formulati nella legge n. 363/2003, con pregiudizio per una auspicabile maggiore certezza ed univocità nella individuazione delle regole comportamentali che occorre siano rispettate per una fruizione in condizioni di sicurezza delle aree sciabili.

b) Sui criteri di imputazione della responsabilità civile nella pratica sciistica.

In relazione a tale profilo occorre segnalare che in epoca anteriore alla legge n. 363/2003 le posizioni assunte dagli interpreti non sono state uniformi.

Una parte di essi riconosceva le notevoli difficoltà cui andava incontro il soggetto danneggiato nell'assolvere il proprio onere probatorio, il quale, secondo gli schemi generali della responsabilità extracontrattuale doveva investire anche il profilo della colpa del soggetto danneggiante. Le difficoltà emergevano sotto un duplice profilo: per un verso – esclusa la possibilità di configurare una colpa specifica - risultava particolarmente arduo determinare il contenuto delle regole non scritte della diligenza, prudenza e perizia con riferimento alla pratica sciatoria; per altro verso, le peculiari modalità di esercizio di tale attività rendevano difficoltosa una oggettiva ed attendibile ricostruzione della dinamica del sinistro.

La preoccupazione che tali difficoltà potessero tradursi nella impossibilità per il soggetto leso di ottenere il risarcimento del danno indusse una parte degli interpreti a ricondurre la responsabilità per danno cagionato nell'esercizio della pratica sciistica ai modelli di responsabilità presunta e/o aggravata previsti dal codice civile: ora considerando la pratica sciatoria come attività pericolosa (art. 2050 c.c.), ora considerando gli sci come cosa in custodia (art. 2051 c.c.) ed infine equiparando la circolazione su pista a quella dei veicoli su strada (art. 2054 c.c.) (per una posizione critica cfr. Pradi M., voce Sci alpino, cit., § 4; cfr. anche Vernizzi S., op. cit., § 3). Tali ricostruzioni interpretative sono state progressivamente abbandonate: per un verso hanno assunto rilievo le censure formulate dalla Suprema Corte, la quale ha escluso che fossero configurabili in relazione all'attività sciistica quegli specifici presupposti giuridici necessari per adottare un criterio di imputazione della relativa responsabilità diverso da quello sancito dall'art. 2043 c.c. (cfr. ex multis: Cass. civ., 23 ottobre 1983, n. 1394, in Giust. Civ. Mass. 1983, fasc. 2; Cass. civ., 1 aprile 1980, n. 2111, in Riv. dir. Sport 1980, 354; Cass. civ., 30 luglio 1987, n. 6603, in Riv. dir. Sport, 1988, 394; sulla assenza dei presupposti di una applicazione analogica dell'art. 2054, comma 2 c.c., più recente Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2009, n. 25416); per altro verso, l'accoglimento da parte della stessa giurisprudenza delle regole contenute nel Decalogo FIS come regole di comune prudenza «che non possono essere ignorate né trascurate da chi si dedica all'attività sciatoria» (Cass. pen. 23 febbraio 1966, n. 497, in Riv., dir. Sport., 1966, 153; Pretura Bolzano, 17 gennaio 1981, in Resp. Civ. e prev. 1981, 261; Pretura Bolzano, 22 dicembre 1983, in Resp. Civ. e prev. 1984, 244) ha consentito una maggiore specificazione del contenuto della colpa sciistica e fornito dei criteri idonei per valutare con maggiore oggettività se la condotta dello sciatore fosse negligente, imprudente o imperita.

Ciò premesso, appare corretto ritenere che con l'introduzione della regola di cui all'art. 19 l. n. 363/2003, il Legislatore abbia voluto attenuare le difficoltà emergenti sul piano dell'assolvimento dell'onere della prova, tanto con riferimento al momento della ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, quanto a quello relativo alla valutazione della condotta dei soggetti coinvolti nel sinistro ed all'accertamento e graduazione della colpa. A tal fine ha introdotto una regola che nella sua formulazione letterale riproduce il disposto di cui all'art. 2054 comma 2 c.c., relativo alla presunzione di eguale concorso di colpa in caso di scontro tra veicoli.

In relazione a tale profilo occorre valutare se l'introduzione della regola del “Concorso di colpa” di cui all'art. 19 l. n. 363/2003, dietro un apparente alleggerimento dell'onere probatorio del soggetto danneggiato, abbia piuttosto aperto una via legislativa all'operatività di un criterio di imputazione della responsabilità sciistica più rigoroso di quello scaturente dall'applicazione dei canoni generali di cui all'art. 2043 c.c..

Non si pone in dubbio che essa sancisca una presunzione semplice ed appare corretto ritenere che essa abbia un carattere sussidiario, potendo il giudice farvi ricorso solo in caso di infruttuoso espletamento dell'attività istruttoria richiesta dalle parti. È da ritenere, in particolare, che essa non trovi applicazione nell'ipotesi in cui l'accertamento da parte del giudice di merito della colpa di uno dei soggetti coinvolti comporti per esso l'attribuzione dell'intera responsabilità nella determinazione dell'evento dannoso o quando risulti oggettivamente determinato il grado delle rispettive colpe; nonché nelle ipotesi in cui «venga fornita la dimostrazione del caso fortuito, del fatto del terzo o della forza maggiore» ( Campione R., La circolazione nelle aree sciabili tra norme di condotta e regole di responsabilità, cit., § 4). Più problematica è, invece, l'ipotesi in cui la valutazione delle prove non consenta una chiara ed univoca ricostruzione della dinamica del sinistro e delle rispettive responsabilità, oppure si determini una situazione caratterizzata dall'accertamento di elementi di colpa nella condotta di uno dei soggetti, accompagnata, però, da una incertezza in ordine alla condotta dell'altro. Rispetto a tale eventualità le soluzioni proposte dagli interpreti sono diverse. Una parte della dottrina (Campione R., Le nuove norme in materia di responsabilità e sicurezza nell'attività sciistica, cit., 1342) ha manifestato una apertura alla possibilità di estendere alla fattispecie in esame i risultati interpretativi maturati in seno alla giurisprudenza in relazione all'applicazione dell'art. 2054 comma 2 c.c., postulando che la presunzione di responsabilità sancita dal Legislatore graverebbe in egual misura tanto sugli automobilisti, quanto sugli sportivi e che «i soggetti coinvolti nella collisione non soggiacciono all'ordinario criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2043 c.c., ma a quello speciale e differente, contemplato dall'art. 19 l. n. 363/2003» (id., La circolazione nelle aree sciabili tra norme di condotta e regole di responsabilità”, cit., § 4)(sull'interpretazione dell'art. 2054 c.c. cfr., ex multis, Cass. civ., 22 gennaio 1979, n. 477, in Giust. Civ., 1979, I, 1029; Cass., 9 febbraio 1982, n. 764, in Giust. Civ. Mass., 1982; Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2006, n. 3193; Cass. civ., 5 maggio 2000, n. 5671; Cass. civ., 16 maggio 2008, n. 12444; sulla rilevanza del concetto di “colpa esclusiva” introdotto dai giudici di legittimità in chiave mitigatrice del rigore della prova liberatoria cfr. Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 581; Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2009, n. 9550). La trasposizione di tali conclusioni alla materia de qua comporterebbe che, ove pure sia stata fornita da parte del soggetto danneggiato che agisce per il risarcimento del danno la prova della colpa, anche grave, dell'altro soggetto coinvolto nello scontro, per potere attribuire a quest'ultimo la causa determinante ed esclusiva del sinistro e superare la presunzione di (propria) colpa concorrente deve anche essere fornita dal primo la prova liberatoria, ovvero la dimostrazione di essersi pienamente uniformato alle regole comportamentali, oggi giuridicizzate, che disciplinano la pratica dello sci ed a quelle di comune prudenza e dunque di essere stato posto in condizioni di non potere fare alcunché per evitare il sinistro (in senso favorevole cfr. sentenza del Tribunale di Avezzano 23 aprile 2009).

Un diverso indirizzo interpretativo (Vernizzi S., op. cit., § 5) ritiene che, sebbene possano cogliersi assonanze sul piano letterale e di ratio con la disposizione di cui all'art. 2054 c.c., si deve escludere che la formulazione della regola del “Concorso di colpa” di cui all'art. 19 l. n. 363/2003 abbia comportato l'introduzione di un criterio di imputazione della responsabilità sciistica più rigoroso di quello scaturente dall'applicazione dei canoni generali di cui all'art. 2043 c.c.. Una trasposizione delle soluzioni interpretative sopra richiamate sarebbe allora quantomeno opinabile.

c) Soluzione del caso concreto.

Su questa via interpretativa, seppur in modo implicito, sembra collocarsi la Corte di Appello di Milano nella sentenza in commento. La Corte, nel richiamare la regola del “Concorso di colpa” di cui all'art. 19 l. n. 363/2003, ha in primo luogo evidenziato l'evoluzione del quadro interpretativo pregresso, caratterizzato dal principio per cui «la tutela delle persone danneggiate dalla circolazione di persone munite di tale particolare attrezzo è disciplinata dall'art. 2043 c.c. sulla responsabilità extracontrattuale, restando a carico del danneggiato l'onere di provare anche la colpa di chi ha cagionato il danno» (cfr. Cass. civ., 30 luglio 1987, n. 6603; Trib. Bolzano 7 novembre 1984, in Resp. Civ. e prev. 1985, 105). Successivamente la Corte ha messo in luce le nuove soluzioni esegetiche maturate in forza della regola introdotta dalla legge n. 363/2003, ed ha conclusivamente affermato che «l'attore non è più tenuto a dimostrare la colpa dell'altro sciatore, ma se non lo fa, si presume il pari concorso di entrambi nella determinazione del sinistro».

La Corte ha riconosciuto che nella vicenda concreta sottoposta al suo esame sussistessero i presupposti applicativi della suddetta presunzione, individuabili, in termini generali, nell'impossibilità di accertare in modo obiettivo - all'esito della espletata attività istruttoria- le modalità di verificazione del sinistro e le rispettive responsabilità o nell'impossibilità di stabilire con certezza l'incidenza delle singole condotte colpose nella causazione dell'evento.

Più specificatamente, formulando una lettura diversa di quella compiuta dal giudice di prime cure di tutti gli elementi probatori acquisiti al processo, la Corte, in riforma della sentenza impugnata, è giunta alla conclusione della assenza di «elementi obiettivi che consentano di attribuire all'uno od all'altro dei soggetti coinvolti nello scontro la responsabilità esclusiva o percentualmente differenziata del sinistro», edha quindi ricondotto la vicenda alla sfera di azione della regola del “concorso di colpa” sancita dall'art. 19 l. n. 363/2003, ritenendo non superata la relativa presunzione (si segnala, infine, la recente sentenza Trib. Trento 11 marzo 2014, n. 297 nella quale il Tribunale di Trento, in base a valutazioni equivalenti delle risultanze processuali (impossibilità diindividuare a quale dei due soggetti coinvolti nell'incidente è imputabile tale scontro), è giunto alla stessa conclusione, ritenendo non superata la presunzione di concorso di colpa ex art. 19 l. n. 363/2003; conforme, Trib. Frosinone 2 dicembre 2014).

Osservazioni

Le soluzioni esegetiche formulate in ordine alla questione giuridica sottoposta all'esame della Corte di Appello di Milano, orientate ad una interpretazione dell'art. 19 l. n. 363/2003 da compiersi alla luce dell'ordinario criterio di responsabilità sancito dall'art. 2043 c.c., appaiono condivisibili per un duplice ordine di ragioni. Una prima considerazione si può formulare sul piano teleologico: se – come si ritiene - appare corretto affermare che con la disposizione in esame il Legislatore abbia voluto rendere più agevole al soggetto danneggiato il ristoro del danno patito, alleggerendo l'onere probatorio, così da superare la condizione di denegata tutela che si poteva determinare in precedenza, risulta non coerente con tale ratio una interpretazione della disposizione normativa che tragga da essa la regola, più severa di quella desumibile dall'art. 2043 c.c., per cui al fine di ottenere un risarcimento integrale del danno il soggetto leso debba non solo accertare in concreto la colpa altrui, ma pure fornire la prova di essersi uniformato alle regole sulla circolazione su sci ed a quelle di comune prudenza e quindi la dimostrazione di avere fatto tutto il possibile per evitare l'evento.

Contro un'estensione alla materia de qua dei più rigorosi canoni di cui all'art. 2054 comma 2 c.c., depone una ulteriore e forse più decisiva considerazione, che può formularsi sul piano sistematico: vero è che il contenuto della prova liberatoria di cui al comma 2 dell'art. 2054 c.c. si atteggia nella consolidata elaborazione giurisprudenziale nei termini sopra evidenziati, ma pare altrettanto corretto ritenere che tale interpretazione non sia il frutto di una operazione ermeneutica compiuta esclusivamente sulla disposizione citata (comma 2), ma scaturisca da una valutazione congiunta di essa con quella contenuta nel comma 1 dello stesso articolo, che alla prima va necessariamente coordinata: è in tale contesto che è definito il contenuto della prova liberatoria ex art. 2054 c.c. (prova di avere fatto tutto il possibile per evitare l'evento) ed è in esso, dunque, che si pone quel criterio di responsabilità aggravato che la giurisprudenza ha ritenuto di estendere anche all'ipotesi dello scontro di veicoli di cui al comma successivo (cfr. Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1982, n. 1709).

Orbene, a queste conclusioni interpretative non pare potersi pervenire in relazione alla regola sancita dall'art. 19 l. n. 363/2003, la quale si trova inserita in un contesto normativo che non contiene alcun elemento che abbia attitudine a ricondurre la prova liberatoria idonea a superare la presunzione di colpa concorrente da essa prevista ai più rigorosi canoni di cui all'art. 2054 c.c.. Lo sciatore sarebbe dunque sottoposto all'ordinario criterio di responsabilità di cui all'art. 2043 c.c..

Tale soluzione interpretativa ha trovato conforto in un consolidato indirizzo giurisprudenziale. Particolarmente limpide sono le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Rovereto nella sentenza del 29 ottobre 2009 (poi ribadite in quella del 9 agosto 2010), il quale ha testualmente affermato «che per superare la presunzione di pari responsabilità prevista in caso di scontro tra sciatori occorre meno di quanto non sia previsto dall'analoga presunzione prevista in caso di scontro di veicoli e, in particolare, può assumere rilievo dirimente anche il solo accertamento di una colpa particolarmente pregnante di uno dei due sciatori, pur in mancanza di elementi istruttori precisi sulla condotta posta in essere dall'altro». Nella stessa direzione si colloca anche la successiva pronuncia dello stesso Tribunale del 9 agosto 2012.

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