Al comportamento del medico negligente o imprudente non si applica l’art. 3 della legge Balduzzi (L. n. 189/2012)

Luigi Isolabella
17 Giugno 2014

In tema di responsabilità medica, la limitazione delle responsabilità in caso di colpa lieve prevista dall'art. 3 d.l. 158/2012 (convertito in l. 8 novembre 2012 n. 189), opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia, ma non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza;In tema di responsabilità professionale del medico, il novum normativo introdotto con l'art. 3 L. 189/2012…non può essere invocato allorquando i profili contestati riguardano la prudenza e la negligenza, giacché le linee guida contengono soltanto regole di perizia e non afferiscono ai profili di imprudenza e di negligenza.
Massima

Cass. pen., sez. IV pen., 24 gennaio 2013, n. 11493

In tema di responsabilità medica, la limitazione delle responsabilità in caso di colpa lieve prevista dall'art. 3 d.l. 158/2012 (convertito in l. 8 novembre 2012 n. 189), opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia, ma non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza;

In tema di responsabilità professionale del medico, il novum normativo introdotto con l'art. 3 L. 189/2012…non può essere invocato allorquando i profili contestati riguardano la prudenza e la negligenza, giacché le linee guida contengono soltanto regole di perizia e non afferiscono ai profili di imprudenza e di negligenza.

Sintesi del fatto

Tizia, primipara trentottenne, all'epoca dei fatti, veniva ricoverata presso un ospedale campano, avvertendo i sintomi prodromici al parto. Monitorata con apparecchio cardiotocografico rilevatore del battito cardiaco fetale (e, in contemporanea, delle contrazioni uterine materne), alle ore 7 del mattino successivo mostrava un tracciato chiaramente patologico (preceduto, peraltro, da altri due tracciati che alle ore 22.30 e, soprattutto, alle ore 5.35 indicavano segnali poco rassicuranti), con una variabilità basale ridotta e la presenza di decelerazioni tardive, ciò che rappresentava un'evidente sofferenza del nascituro. Tale circostanza, considerata altresì l'età della partoriente, avrebbe imposto al medico ginecologo di turno di procedere immediatamente a parto cesareo, considerato anche che la dilatazione uterina al momento della presentazione cadiotocografica patologica era ferma a 4/5 cm.

La bambina, invece, era venuta alla luce per via naturale, con evidenti segni di asfissia, ipossia ed acidosi metabolica di grado severo, ed un globale stato di compromissione cerebrale che, a distanza di mesi, ne aveva determinato il decesso.

La condanna del medico in primo grado era stata seguita dalla conferma in appello, laddove i giudici di merito avevano rimarcato come il ginecologo, pur avendo indotto il travaglio mediante la somministrazione di prostaglandine, si fosse successivamente allontanato dalla partoriente, affidandola ad una ostetrica e, sebbene richiamato più volte appena un'ora dopo la somministrazione farmacologica, fosse tornato in servizio solo verso le ore 5 del mattino successivo al momento del ricovero, omettendo di operare un costante ed attento monitoraggio della primipara. Visionato il tracciato cardiotocografico delle ore 7, inoltre, il sanitario, trascurando di valutare l'esecuzione di un intervento cesareo urgente, aveva proceduto per via naturale e spontanea, determinando la nascita di una bambina con segni di evidente sofferenza respiratoria e irreversibile paralisi cerebrale.

Avverso la sentenza di appello avevano proposto impugnazione l'imputato e la struttura sanitaria di riferimento, adducendo, tra i vizi di motivazione “il fatto che i giudici di merito, nel valutare la presenza di un errore diagnostico, non avevano tenuto conto delle linee guida afferenti i criteri di scelta tra il parto naturale ed il taglio cesareo, dettate con la deliberazione della Regione Campania n. 118 del 2 febbraio 2005, in Bollettino Ufficiale n. 20 dell'11 aprile 2005, dimostrative del fatto che l'imputato non solo non fosse incorso in alcuna violazione del dovere di diligenza, ma che il suo comportamento fosse assolutamente conforme a quelle direttive”.

Il richiamo alle linee guida afferenti ai criteri di scelta della tipologia di parto da praticare sottintende, da parte del medico ricorrente, la “chiamata in causa” del novum normativo racchiuso nell'art. 3 l. n.189/2012.

La questione

La questione in esame riguarda, dunque, la perimetrazione della colpa professionale e l'applicazione dell'esenzione da responsabilità per effetto dell'aderenza, da parte del sanitario operante, ai criteri contenuti nelle linee guida e buone pratiche mediche ospedaliere, alla luce di quanto previsto e disciplinato dalla L. Balduzzi.

Ove, dunque, il professionista si sia attenuto alle direttive ospedaliere ed ai protocolli scientifici in vigore, opererà, in via automatica e generalizzata, l'esenzione da responsabilità penale?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, l'entrata in vigore dell'art. 3 l. n. 189/2012 ha profondamente modificato il panorama degli illeciti colposi penali di natura sanitaria, sottraendo da responsabilità delittuosa e conseguente sanzione il medico che, nel proprio agire professionale, si sia scrupolosamente (nonché criticamente) attenuto ai dettami contenuti nelle linee guida e nei protocolli ospedalieri esistenti.

Due preliminari condizioni, tuttavia, si pongono come essenziali pre-requisiti necessari perché il contenuto dell'art. 3 l. n. 189/2012 possa trovare applicazione: a) le linee guida e buone pratiche esistenti debbono essere “accreditate”, ovvero essere accolte e corroborate dalla vigente e migliore scientia medica; b) la colpa del sanitario operante deve essere qualificata o qualificabile in termini di “colpa lieve”.

Come noto, il nostro legislatore ha normativamente definito i criteri integrativi della categoria della colpa penale, distinguendo in via espressa, tra colpa generica (art. 43 c.p.: imprudenza, negligenza e imperizia) e colpa specifica (inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline), ma non ha compiuto alcuna differenziazione del grado della colpa, la cui valutazione e quantificazione stessa è, dunque, rimessa ai puri criteri ermeneutici ed applicativi del Giudicante.

La sentenza in commento supera, tuttavia, le problematiche relative alla perimetrazione e quantificazione colposa, fermandosi prima nel proprio percorso motivazionale ed incentrando i propri contenuti esclusivamente sul concetto di colpa generica nelle sue differenti espressioni codicistiche (appunto, negligenza, imprudenza, imperizia).

Partendo, infatti, dall'assodata e generale posizione di garanzia del medico ginecologo operante (“non è…elusivo il richiamo alla ‘posizione di garanzia' della vita della madre e della bambina rivestita dal sanitario -che aveva seguito la…per tutta la gravidanza e si era impegnato con lei a seguirne il parto-, collegata dai giudici di merito alla positiva dimostrazione della colpa in cui lo stesso era incorso, omettendo di sottoporre la paziente ad un costante monitoraggio e di predisporre ed eseguire l'intervento di parto cesareo che, se eseguito, con elevato grado di credibilità razionale avrebbe evitato l'asfissia ed il conseguente decesso della bambina”), il cui compito pregnante consiste proprio nella salvaguardia della vita della paziente (e del nascituro) che gli è affidata, la Suprema Corte ha statuito l'inapplicabilità della disciplina normativa di novella, laddove l'evento giuridico sia dovuto e si sia determinato per effetto non di “un errore colpevole nella formulazione della diagnosi, né sull'imperizia dimostrata dallo stesso (medico)….La responsabilità dell'imputato è stata, invece, individuata nella violazione del dovere di diligenza che gli imponeva di svolgere la sua attività secondo il modello di agente e nel rispetto delle regole di prudenza, la cui violazione ha determinato le premesse dell'evento letale. Non può pertanto essere utilmente evocata l'applicazione delle linee guida che riguardano e contengono solo regole di perizia e non afferiscono ai profili di negligenza e di imprudenza”.

Trattandosi, quindi, di “colpa per negligenza ed imprudenza, non può trovare applicazione il novum normativo di cui alla Legge n. 189/2012, articolo 3, che limita la responsabilità in caso di colpa lieve. La citata disposizione obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve e colpa grave solo limitatamente ai casi in cui si faccia questione di essersi attenuti a linee guida e solo limitatamente a questi casi viene forzata la nota chiusura della giurisprudenza che non distinguer tra colpa lieve e colpa grave nell'accertamento della colpa penale. Tale norma non può, invece, involgere ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, perché …le linee guida contengono solo regole di perizia”.

Sulla scorta di quanto precede, quindi, il ricorso del medico ginecologo è stato rigettato con le conseguenti statuizioni di legge.

Osservazioni e suggerimenti pratici

Come sopra anticipato, la nuova Legge Balduzzi, all'art. 3 l. n. 189/2012, ha rivestito di valore normativo specifico le linee guida, le buone pratiche mediche ed i protocolli operativi sanitari, la cui posizione era stata, nel tempo, oggetto di pronunce fortemente contrastanti espresse in seno alla stessa Supra Corte.

A quelle sentenze che sottolineavano il ruolo formale e formalistico delle direttive sanitarie (in verità, spesso utilizzate come un vero e proprio paravento schermante, da parte dei Giudici di merito e di legittimità, nell'equazione quasi matematica: “rispetto delle linee guida=esenzione automatica da responsabilità penale”), si contrapponevano, infatti, posizioni molto più rigide che giungevano quasi a spogliare di valore i contenuti stessi di quelle disposizioni protocollari che, nella propria radice scientifica, non potevano, e non possono, che guidare ed indirizzare l'operato del sanitario nel suo agire professionale quotidiano.

L'intervento della L. Balduzzi, quindi, nel chiaro intento pacificatore, ha cercato di connotare in termini più preganti il valore e la posizione che le linee guida e le buone pratiche mediche debbono avere, per poter esplicare appieno il loro potere esimente.

“Va precisato… che le linee guida, per avere rilevanza nell'accertamento della responsabilità del medico devono indicare standard diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente e… non devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura del paziente… Solo nel caso di linee guida conformi alle regole della migliore scienza medica sarà poi possibile utilizzarle come parametro per l'accertamento dei profili di colpa ravvisabili nella condotta del medico ed attraverso le indicazioni dalla stesse fornite sarà possibile, per il giudicante –anche, se necessario, attraverso l'ausilio di consulenze rivolte a verificare eventuali particolarità specifiche del caso concreto, che avrebbero potuto imporre o consigliare un percorso diagnostico-terapeutico alternativo- individuare eventuali condotte censurabili”.

Perché possano avere valore esimente, dunque, è essenziale che le linee guida e le buone pratiche: a) siano l'espressione della migliore, maggioritaria e più recente (ove possibile) scienza medica; b) non siano ispirate a criteri di mera efficienza gestionale o economica; c) siano applicate (o se del caso disapplicate), dal sanitario, dopo un attento vaglio critico, parametrando le disposizioni in esse contenute al concreto caso pratico ed alle condizioni patologiche effettive del paziente hic et nunc considerato (Cfr. Cass.

pen.

s

ez. IV,

n. 35922/2012

;

Cass.

pen. Sez. IV p

en., n.

16237/2013).

La posizione del paziente è, quindi, collocata in piena centralità ed alla sua cura deve essere rivolta l'opera del sanitario che si muove guidato, ma mai sopraffatto, dalle linee guida ospedaliere (che, dettando regole di perizia, arricchiscono il sapere del curante). Alla condizione globale del soggetto sottoposto alle cure, quindi, deve essere rivolto l'operato del medico (come impongono le buone pratiche mediche che pure costituiscono un pilastro della L. Balduzzi), ispirato dalle direttive sanitarie che, tuttavia, per loro stessa natura sono frammentarie e destinate, sotto l'egida della Legge Balduzzi, a divenire sempre più parcellizzate e specifiche.

Conclusioni

Grazie all'entrata in vigore dell'art. 3 l. n. 189/2012 (L. Balduzzi), le linee guida e le buone pratiche mediche acquisteranno una posizione di sempre maggiore centralità nella definizione e qualificazione della responsabilità sanitaria penale. La sentenza in attuale commento ha statuito un canone di partenza ineludibile: giacché le direttive mediche attengono e contengono regole di perizia (indicando procedure standard di carattere terapeutico e gestionale del paziente), esse non possono esplicare la propria valenza esimente quando la condotta del sanitario agente sia qualificabile in meri termini di negligenza o imprudenza (ciò che, peraltro, rende intrinsecamente impossibile qualificare la colpa dell'agente in termini di “culpa levis”).

Ne consegue che il medico che non presti la dovuta attenzione e non adotti trattamenti che si pongano, in termini complessivi, come adeguati, rispetto alle concrete condizioni morbili del paziente affidato alle sue cure, non andrà esente da responsabilità penale in conseguenza del proprio operato, in quanto, pur se abbia seguito una singola linea guida, avrà comunque esorbitato il più globale e generale criterio delle buone pratiche cliniche.

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