Clausola “claims made”: principi per il vaglio di vessatorietà e “richiesta di risarcimento”

Paolo Donato
17 Giugno 2014

Il contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola claims made non rientra nella fattispecie prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico. La clausola claims made spuria e cioè senza retroattività o con retroattività limitata, restringendo l'ampiezza del rischio assunto dall'assicuratore e sperequando il sinallagma, costituisce clausola vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c.c. Il concetto di richiesta di risarcimento contenuto nella clausola claims made comprende ogni atto con il quale il terzo danneggiato dimostri la decisione di far valere i suoi diritti contro l'assicurato.
Massima

App. Torino, 24 settembre 2013

Il contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola claims made non rientra nella fattispecie prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico. La clausola claims made spuria e cioè senza retroattività o con retroattività limitata, restringendo l'ampiezza del rischio assunto dall'assicuratore e sperequando il sinallagma, costituisce clausola vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c.c. Il concetto di richiesta di risarcimento contenuto nella clausola claims made comprende ogni atto con il quale il terzo danneggiato dimostri la decisione di far valere i suoi diritti contro l'assicurato.

Sintesi del fatto

La ASL di X convenuta in giudizio, insieme ad alcuni professionisti sanitari operanti nel suo ambito, dagli aventi diritto di Tizio, con azione risarcitoria procedeva alla chiamata in causa del suo assicuratore per la responsabilità civile Caio.

L'assicuratore Caio si costituiva deducendo l'inoperatività della copertura prestata a mezzo del contratto di assicurazione per la responsabilità civile stipulato con la ASL in quanto detto contratto sarebbe stato caratterizzato dal regime temporale di “claims made” e la prima richiesta di risarcimento sarebbe pervenuta alla ASL dopo la cessazione di efficacia del contratto stesso.

In primo grado il Tribunale di Torino pronunciava sentenza di condanna nei confronti dei convenuti, ed in particolare nei confronti della ASL di X e, per quanto riguarda il rapporto assicurativo fra la ASL di X e l'assicuratore Caio, condannava quest'ultimo a tenere indenne la ASL di X del risarcimento del danno a sua volta da corrispondere agli aventi diritto del sig. Tizio, motivando la decisione sulla base dell'inefficacia della clausola “claims made” spuria contenuta nel contratto di assicurazione perché vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c.c. e rilevata priva di specifica approvazione.

L'assicuratore Caio impugnava la sentenza del Tribunale di Torino sostenendo che la clausola “claims made” contenuta nel contratto non poteva essere considerata come limitante la responsabilità dell'assicuratore ma come condizione di mera disciplina dell'ambito di operatività del contratto stesso.

La Corte d'Appello di Torino confermava in sentenza la prospettazione di vessatorietà della clausola “claims made” spuria già evidenziata in primo grado e, altresì riconosceva la possibilità di considerare in ogni caso come “richiesta di risarcimento” ai sensi di detta clausola non solo la formale comunicazione di messa in mora da parte del terzo danneggiato ma, più in generale, ogni atto che dimostrasse chiaramente la volontà dello stesso terzo danneggiato di far valere i suoi diritti nei confronti dell'assicurato.

La questione

La clausola “claims made” deve essere considerata vessatoria ex art. 1341 c.c.? Essa deve essere considerata vessatoria solo se espressa in forma spuria e quindi senza retroattività o con retroattività limitata ? Che cosa si deve intendere per “richiesta di risarcimento” nella clausola di “claims made” ?

Le soluzioni giuridiche

Nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile generale il c.d. trigger si può situare nel momento in cui viene tenuto il comportamento colposo, nel momento in cui si verifica il danno o nel momento in cui l'assicurato riceve la prima richiesta di risarcimento proveniente dal terzo danneggiato.

Nel primo caso si parla di contratti assicurativi in regime di “act-committed”, nel secondo di “loss-occurrence” e nell'ultimo di contratti con clausola “claims made”.

Specialmente nell'ambito dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile professionale viene ormai largamente utilizzata la tipologia “claims made” perché essa permette infatti all'assicuratore un migliore controllo del rischio della responsabilità civile professionale tenuto conto che a scadenza del rapporto non è possibile la sopravvenienza dei c.d. sinistri tardivi (long tail claims).

Dal punto di vista dell'assicurato la clausola “claims made” pura e cioè con retroattività illimitata a riguardo del momento in cui viene posto in essere il comportamento colposo o del momento di verificazione del danno, è invece del tutto neutra.

Anche nel caso di successione di un contratto di “claims made” puro rispetto ad un contratto in regime di “act-committed” o di “loss-occurrence” non c'è compressione della copertura ma può, al contrario verificarsi una sovrapposizione temporale di garanzie e quindi una situazione di coassicurazione indiretta ex art. 1910 c.c..

Tuttavia, spesso, la clausola “claims made” non è formulata nella sua forma pura ma è caratterizzata da una limitazione della retroattività in relazione ai comportamenti colposi oggetto della copertura.

Tale forma spuria della clausola “claims made” risponde appieno alle esigenze dell'assicuratore che può contemporaneamente evitare sia i sinistri tardivi (come nelle clausole “claims made” pure) sia i sinistri con comportamenti colposi molto risalenti nel tempo e caratterizzati da notevoli difficoltà in fase istruttoria (documentazione e eventuali testimoni scarsi ecc…) ma crea seri problemi agli assicurati in caso di successione di contratti in quanto, come si può notare mediante un semplice confronto della linea temporale, a fronte di una continuità dei rapporti possono sussistere periodi, anche estesi, di non copertura [L'effetto è annullato o fortemente ridotto mediante la predisposizione delle c.d. “clausole di raccordo” valide tuttavia solo in caso di successione di contratti stipulati con la medesima Compagnia. Per questo motivo, a parere di chi scrive, il contratto di assicurazione con clausola di “claims made” spuria dovrebbe essere considerato vessatorio non tanto per una restrizione della responsabilità dell'assicuratore, posto che il termine “responsabilità” contenuto nell'art. 1341 c.c. pare fortemente connesso, anche dal punto di vista etimologico, al concetto di “conseguenza a seguito di inadempimento” piuttosto che alla prestazione contrattuale in sé considerata, ma per la notevole restrizione alla libertà contrattuale di fatto implicata dall'apposizione di detta clausola].

In giurisprudenza esiste sul punto un orientamento “radicale”, risalente nel tempo ma ancora seguito da alcune Corti di merito, che considera la clausola “claims made” (anche nella sua forma pura) nulla per mancanza di alea in riferimento ad un comportamento colposo o al verificarsi del danno che possono già essere venuti in essere prima dell'avvio dell'efficacia del contratto (cfr. Trib. Roma, n. 16975/2006; Trib. Roma, n.17197/2007) oppure perché in violazione dell'art. 1917 c.c. primo comma, norma che, anche se non menzionata dall'art. 1932 c.c., sarebbe considerata come non derogabile (Trib. Casale Monferrato, 25 settembre 1997; Trib. Genova, 8 aprile 2008; Trib. Bologna 2 ottobre 2002 n. 3318); una posizione intermedia nella quale si ritiene la clausola “claims made” valida ma vessatoria quando espressa nella forma spuria (Trib. Rovigo, sez. Adria, 17 agosto 2011; App. Milano 18 marzo 2010) in quanto in essa sussisterebbe una limitazione della responsabilità dell'assicuratore ex art. 1341 c.c. ed infine un'opinione minoritaria, che considera la clausola “claims made” pura e spuria valida e non vessatoria (Trib. Crotone, 8 novembre 2004).

La Suprema Corte ha autorevolmente avallato l'orientamento intermedio (Cass. civ., 15 marzo 2005, n. 5624) reputando peraltro (contrariamente a quanto ritenuto da App. Milano 18 marzo 2010) il contratto di assicurazione munito di clausola “claims made” nel novero dei contratti atipici ex art. 1322 c.c. in virtù dell'estraneità al regime posto dall'art. 1917 c.c. primo comma (norma comunque derogabile dalle parti) con necessità di una valutazione sotto il profilo della eventuale vessatori età da farsi caso per caso anche in relazione alla presenza di limitazioni di retroattività.

Conclusioni

La sentenza della Corte d'Appello di Torino qui commentata aderisce in pieno alla tesi sostenuta dalla Corte di Cassazione, che in effetti, a parere di chi scrive, rappresenta una soluzione tutto sommato ponderata del problema, ed anzi introduce la possibilità di considerare, in assenza di una precisa definizione contenuta nel contratto, un concetto di “richiesta di risarcimento” molto lato arrivando ad includere ogni manifestazione di volontà del terzo di far valere i propri diritti contro l'assicurato e anche la semplice consapevolezza da parte dell'assicurato della possibile sussistenza di responsabilità in conseguenza del proprio comportamento colposo.

Tuttavia, tale evoluzione concettuale non pare essere accettabile in quanto la nozione letterale di “richiesta di risarcimento” appare già sufficientemente chiara e non abbisognevole di estensione interpretativa e in quanto gli elementi aggiuntivi considerati dalla sentenza in esame sono già oggetto di apposite condizioni di modifica della clausola “claims made” standard presenti sul mercato assicurativo (si tratta delle cosiddette “deeming clauses”), condizioni studiate e predisposte dalle Compagnie proprio come specifica estensione della clausola “claims made” nella quale il termine “richiesta di risarcimento” sia interpretato restrittivamente e nel suo senso letterale.

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