Mutuo fondiario e responsabilità del notaio per non aver indicato il vincolo di inedificabilità

17 Ottobre 2016

Il Notaio che, nella redazione delle relazioni preliminari commissionate dal solo mutuatario, violi il dovere di diligenza qualificata può essere chiamato a rispondere, a titolo di responsabilità contrattuale, anche dei danni cagionati al mutuante.
Massima

Il Notaio che, nella redazione delle relazioni preliminari commissionate dal solo mutuatario, violi il dovere di diligenza qualificata può essere chiamato a rispondere, a titolo di responsabilità contrattuale, anche dei danni cagionati al mutuante, qualora quest'ultimo, in ragione della mancata segnalazione di oneri gravanti sul bene concesso in ipoteca, abbia erogato un finanziamento non adeguatamente garantito. In questo caso, infatti, il contratto di prestazione d'opera professionale, ancorché formalmente stipulato soltanto fra il Notaio ed il mutuatario, è concluso (anche) nell'interesse del mutuante ex art. 1411 c.c., con cui si instaura un contatto sociale qualificato, con le conseguenti obbligazioni di protezione e di garanzia.

Il Notaio, richiesto di stipulare un contratto traslativo di diritti reali su beni immobili, salvo che non sia dispensato espressamente dai contraenti, è tenuto a curare ogni attività funzionale alla realizzazione dell'interesse perseguito dalle parti e, dunque, anche a reperire le visure ipotecarie e catastali utili all'esatta individuazione del bene ed a verificarne la libertà.

Il vincolo archeologico, seppure non appartenendo al catalogo tassativo dei diritti reali, comprime la sfera di poteri spettanti al proprietario e, incidendo sul valore di mercato del bene, deve essere segnalato dal notaio incaricato di svolgere gli accertamenti propedeutici alla conclusione del mutuo ipotecario.

Il caso

Una Banca ed un Fallimento proponevano domande di risarcimento dei danni da essi sofferti nei confronti di un Notaio, responsabile, a loro dire, dell'imprecisa redazione delle relazioni tecniche preliminari alla stipulazione di un mutuo fondiario, che la società aveva chiesto ed ottenuto dalla Banca. Più precisamente, al professionista si contestava di non aver indicato che, sull'immobile ipotecato a garanzia dell'operazione fondiaria, gravava un vincolo di inedificabilità a tutela del patrimonio archeologico, tale da ridurre notevolmente il valore del bene e, dunque, da rendere l'ipoteca inadeguata a garantire il credito restitutorio.

Il doppio giudizio di merito si concludeva con un esito sfavorevole al notaio, il quale proponeva ricorso per cassazione, lamentando, per quanto interessa in questa sede, la contraddizione in cui sarebbe incorsa la Corte d'Appello nella parte in cui avrebbe irrogato una condanna risarcitoria fondata su una presunta colpa professionale (peraltro lievissima e censurabile soltanto alla stregua dell'art. 1176, comma II, c.c.), pur riconoscendo che la Banca ed il notaio non erano legati da alcun rapporto negoziale.

La Corte di Cassazione, investita del triplice mezzo di gravame proposto dal notaio, confermava integralmente la sentenza resa dal Giudice territoriale, affermando che la prestazione cui il professionista si è obbligato, trova anche nella Banca mutuataria la sua naturale beneficiaria e che l'elevato valore sociale dell'attività notarile determina il dovere del professionista di proteggere gli interessati da anomalie tali da impedire il raggiungimento dei fini negoziali dagli stessi perseguiti.

La questione

L'inadempimento ad un contratto può generare, a carico della parte inottemperante, delle obbligazioni risarcitorie in favore di un soggetto rimasto estraneo a quel contratto, senza con ciò violare l'art. 1372 c.c.?

La teoria della responsabilità da contatto sociale può essere invocata anche qualora il danneggiato non si trovi in una situazione di asimmetria informativa o di debolezza operativa e non abbia instaurato alcun “incontro”, neppure di carattere strettamente informale?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel respingere il gravame, ha sostenuto che la predisposizione della relazione notarile, preliminare alla stipulazione di un mutuo bancario, sebbene richiesta unicamente dal mutuatario, genera, in capo al notaio, anche delle obbligazioni nei confronti della banca mutuante. A simile conclusione può pervenirsi, ad avviso del Giudice di legittimità, sia mediante il riconoscimento al mandato professionale della natura di contratto in favore di terzo (ossia, nella specie, del mutuatario), sia attraverso la valorizzazione della figura della responsabilità da contatto sociale, ricostruibile alla stregua del legittimo affidamento riposto dalla banca nel ruolo di garanzia rivestito dal notaio e nell'elevato grado di diligenza richiesto per l'esercizio di una professione protetta.

Si precisa, poi, come l'obbligazione creata dal contatto sociale presenti la stessa estensione ed il medesimo contenuto di un'obbligazione ex contractu (Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 2002, n. 14934) e, dunque, laddove il debitore sia tenuto ad agire con la massima avvedutezza, la sua responsabilità risarcitoria è integrata anche da una colpa lievissima.

Il vincolo archeologico ex l. 1 giugno 1939, n. 1089, prosegue la Suprema Corte, pur non possedendo natura reale, comporta, comunque, una seria limitazione del diritto di proprietà ed è, pertanto, suscettibile di diminuire drasticamente l'appetibilità commerciale del bene, sicché l'esistenza di siffatto gravame rientra tra le informazioni che il notaio deve includere nelle relazioni preliminari.

Il dovere di diligenza qualificata, prescritto dall'art. 1176, comma II, c.c. per l'adempimento delle obbligazioni professionali, infatti, esclude che il ventaglio di prestazioni riferibili al notaio possa circoscriversi a quelle specificamente stabilite dai contraenti, dovendo piuttosto abbracciare anche ogni altra attività ragionevolmente opportuna per l'attuazione dell'affare.

E l'indagine su ogni situazione idonea ad incidere sulla conformazione giuridica del bene da ipotecare ai fini dell'ottenimento del finanziamento appartiene, senz'altro, al bagaglio di doveri che è tenuto ad espletare il notaio incaricato di curare l'istruttoria prodromica alla stipulazione del mutuo bancario. Ciò salvo che le parti non abbiano espressamente dispensato il professionista dall'attivarsi in tal senso, circoscrivendo i compiti ad esso attribuito a quanto puntualmente dedotto nel contratto di prestazione d'opera.

Constatato l'inadempimento del professionista alle obbligazioni su di esso gravanti, nonché l'astratta legittimazione del mutuante a pretendere il risarcimento sofferto, la Corte di Cassazione, nell'appurare la logicità degli accertamenti di merito compiuti dai Giudici territoriali, ha altresì confermato che l'omissione perpetrata dal notaio ha effettivamente arrecato un pregiudizio alla Banca, la quale, conoscendo l'informazione pretermessa, non avrebbe elargito il mutuo e, dunque, non avrebbe patito i nocumenti derivanti dall'insolvenza dell'impresa finanziata.

Dalle venature del tessuto argomentativo, sembra emergere che, ad avviso della Suprema Corte, “l'interesse meritevole di tutela” infranto dall'inosservanza commessa dal notaio, sia la libertà contrattuale del danneggiato; infrazione attuata tramite la colposa induzione della banca ad accettare, quale unica garanzia, l'ipoteca volontaria su un bene dotato di un valore inferiore a quello stimato.

Osservazioni

La sentenza in disamina, se fosse interpretata in conformità al suo tenore letterale, costituirebbe un ulteriore successo per la teoria della cd. responsabilità da contatto sociale (leading case in materia è rappresentato da: Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589; per le successive applicazioni giurisprudenziali dell'istituto, di creazione sostanzialmente dottrinale, si consultino: Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2016, n. 3695; Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3612; Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2014, n. 2413; Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2012, n. 9437; Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2011, n. 2559; Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2010, n. 9906; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 24997; Cass. civ., Sez.Un., 27 giugno 2002, n. 9346; nel merito, di recente: Trib. Bari, sez. III, 30 maggio 2013) o, comunque, per gli assertori dell'esigenza di potenziare i doveri ascrivibili a carico di soggetti istituzionali, come, appunto, gli esercenti le professioni protette.

Una certa prudenza appare, però, indispensabile nell'esame di una decisione che, nell'enunciare principi di diritto piuttosto innovativi, quantomeno all'apparenza, si sorregge su un apparato argomentativo non così articolato, tanto da indurre a ritenere che le particolarità della fattispecie affrontata, in cui l'errore commesso dal professionista risulta difficilmente contestabile, abbia attenuato l'attenzione della Suprema Corte per le implicazioni che talune enunciazioni di principio potrebbero determinare nella giurisprudenza di merito e nella prassi degli affari.

In primo luogo, è meritevole di riflessione l'assunto per cui il contratto d'opera, intervenuto unicamente fra il notaio ed il mutuatario, sia stato stipulato (anche) in favore della banca mutuante, nonostante che gli interessi di quest'ultima non fossero stati affatto presi in considerazione dai contraenti.

Non appare affatto scontato, come, invece, la Corte di Cassazione sembra presupporre, che l'individuazione del terzo quale destinatario della prestazione concordata fra promittente e stipulante, possa desumersi implicitamente dal contratto e, dunque, anche in difetto di una clausola che, inequivocabilmente, si esprima in tal senso.

Tanto più se si considera che, secondo un insegnamento giurisprudenziale tuttora insuperato, ai fini della configurazione di un contratto in favore di terzo, non è sufficiente che il terzo ottenga un beneficio economico dall'accordo intercorso fra stipulante e promittente, essendo necessario che questi abbiano inteso direttamente attribuirglielo, ossia abbiano elevato il vantaggio arrecato al terzo a componente del sinallagma negoziale (Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1994, n. 8075; Trib. Milano, sez. III, 10 novembre 2009; Trib. Roma, sez. X, 31 gennaio 2008, n. 2350).

D'altronde, se così non fosse, un mero fatto materiale, ossia l'acquisizione di utilità da parte del terzo, verrebbe indebitamente assimilato ad un negozio giuridico, alterando, in difetto di riserva legislativa, la libertà dei contraenti di autodeterminarsi.

In secondo luogo, è opinabile che la responsabilità da contatto sociale, tradizionalmente ancorata all'esigenza di protezione del “soggetto debole”, possa abbracciare anche fattispecie in cui danneggiante e danneggiato (nella specie, un notaio ed una banca) dispongano di poteri di fatto sostanzialmente equipollenti.

In siffatta evenienza, è legittimo interrogarsi sul motivo per cui un consociato già in possesso di adeguati strumenti cognitivi ed operativi, anziché proteggere autonomamente i propri diritti, dovrebbe confidare nella protezione di figure istituzionali, i cui doveri di garanzia e di controllo non possono espandersi in maniera arbitraria ed incontrollata.

Da un'altra prospettiva, se il soggetto fisiologicamente debole (l'alunno di scuola primaria, il paziente ospedaliero, l'inesperto risparmiatore …), a fronte di occasioni di pericolo, possono permettersi di rimanere inerti, pretendendo di essere salvaguardati dall'intervento della figura istituzionale, altrettanto non può dirsi per i normali protagonisti degli affari (banche, imprese di assicurazioni …), da cui può esigersi, se non altro ai sensi dell'art. 1227 c.c., l'adozione di appropriati mezzi profilattici e di autotutela.

Con riferimento alla vicenda in questione, non è forse possibile prospettare che la Banca avrebbe potuto – e dovuto – provvedere personalmente a verificare la sussistenza del vincolo archeologico sul bene che fungeva da garanzia a fronte di finanziamenti di dimensioni economiche estremamente ingenti? E senza trasferire la responsabilità di un'eventuale omissione su un professionista che si era limitato ad impegnarsi nei confronti del mutuatario, astenendosi dall'espandere espressamente i propri obblighi verso la mutuante?

Non si dimentichi, poi, come l'ingiustificata proliferazione delle ipotesi di responsabilità da contatto sociale possa indurre il ceto dei professionisti all'adozione di tecniche particolarmente difensive, tali da affievolire proprio la tutela riservata ai soggetti più deboli, per i quali, non a caso, tale figura giurisprudenziale si sta irreversibilmente affermando.

Singolare, poi, che è lo stesso precedente di legittimità invocato nella sentenza in commento, seppure ad altri fini, a contrastare con l'estensione delle obbligazioni contrattuali del notaio verso soggetti differenti dalle parti del contratto di prestazione d'opera, ove si motiva esplicitamente quanto segue: «presupposto della responsabilità da contatto sociale è che l'esercente della professione protetta effettui una prestazione inesatta in favore di un soggetto, che ne riceva un danno. Se detta prestazione manca nei confronti del soggetto che si ritiene danneggiato, non può sussistere neppure una responsabilità del notaio da contatto sociale. Nella fattispecie la prestazione dell'attività professionale per la cancellazione delle ipoteche, non solo non era stata richiesta dai ricorrenti, ma non era neppure stata effettuata in loro favore, ma in favore degli attori, divenuti proprietari del bene ipotecato».

In terzo luogo, con riferimento alle problematiche attinenti al sindacato sul nesso di causalità fra inadempimento e danno, la Suprema Corte sembra aver riconosciuto, forse inconsapevolmente, la risarcibilità del danno meramente patrimoniale, in quanto, a ben vedere, ciò che la banca protesta è la perdita del potere di espletare appieno il proprio potere contrattuale e, pertanto, di stipulare contratti per essa economicamente convenienti.

Asserire, infatti, che l'azione lesiva è rappresentata dalla colposa induzione della banca ad un affare pericoloso equivale ad affermare che l'interesse leso dall'inadempimento – e suscettibile di risarcimento – può corrispondere alla perdita di potere e di libertà contrattuale.

Se ciò si pone nel solco del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255, attinente al danno arrecato alla parte che, a causa della corruzione di un Giudice, è risultata ingiustamente soccombente in un giudizio di impugnazione di un lodo d'arbitrato irrituale), sarebbe stato verosimilmente opportuno, in forza di quanto disposto dall'art. 1225 c.c., verificare con maggiore oculatezza quali fossero i danni prevedibili dal notaio al momento dell'insorgenza dell'obbligazione, escludendo dal risarcimento le conseguenze che, ad una valutazione ex ante, apparivano remote o assolutamente improbabili.

I seri dubbi che affiorano dalla sentenza in esame (e che si è tentato di sintetizzare in questo sommario contributo) consigliano, quindi, di attendere ulteriori conferme giurisprudenziali prima di salutare i principi di diritto colà enunciati quali nuove frontiere della più moderna concezione della responsabilità civile.

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