Il regresso della struttura sanitaria nei confronti del suo ausiliario

Ludovico Berti
18 Aprile 2017

Il titolo di responsabilità che invoca il paziente nei confronti del medico non è lo stesso che connota il rapporto tra la struttura sanitaria privata ed il dipendente-professionista.
Massima

Il titolo di responsabilità che invoca il paziente nei confronti del medico non è lo stesso che connota il rapporto tra la struttura sanitaria privata ed il dipendente-professionista, che non può che essere regolato dal contratto che lega i predetti soggetti per cui, mentre il danneggiato deve provare gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana in capo al medico, con il quale non è intercorso un rapporto contrattuale, la struttura che invece è tenuta contrattualmente verso il paziente danneggiato, può rivolgere al suo ausiliario la propria pretesa di rimborso dell'importo risarcitorio versato non con un'azione di regresso interno tra condebitori solidali disciplinata, ai fini dell'onere probatorio e della prescrizione, dalle norme della responsabilità extracontrattuale, ma dimostrando il suo inadempimento all'obbligazione assunta ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., restando salva la possibilità del medico di dimostrare che l'inadempimento non sia lui imputabile.

Il caso

Tizio conveniva in giudizio una struttura sanitaria privata ed il medico Caio per vederli condannare, per responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale, al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un'errata gestione della frattura ad un polso che si era procurato cadendo accidentalmente. Si costituivano i convenuti per contestare la domanda e la struttura promuoveva, inoltre, azione di regresso/manleva nei confronti del suo ausiliario, sostenendo che, in caso di accoglimento della domanda attorea e di esclusione di qualsivoglia profilo colposo ad essa imputabile, avrebbe avuto diritto alla restituzione dell'intera somma versata, essendo per altro Caio ad essa legato da un rapporto di collaborazione professionale autonoma, che non pone limiti quantitativi alla richiesta di ripetizione della somma versata.

L'istruttoria accertava l'esclusiva colpa di Caio nella causazione dell'evento di danno, escludendo carenze o inadempienze direttamente ascrivibili alla struttura che, tuttavia, veniva comunque condannata, ai sensi dell'art. 1228 c.c., al risarcimento nei confronti di Tizio in solido con Caio, la cui responsabilità veniva, al contrario di quella della struttura, inquadrata in quella extracontrattuale, in adesione al precedente della stessa sezione dell'adito Tribunale che così aveva qualificato la responsabilità del medico attraverso l'interpretazione dell'art. 3, comma 1, della l. n. 189/2012 cd. Balduzzi, nella sentenza Trib. Milano, sez. I, 23 luglio 2014, n. 9693.

Veniva altresì accolta la domanda di regresso nei confronti di Caio che veniva condannato a restituire l'intera somma versata dalla struttura per il suo inadempimento al contratto di prestazione d'opera professionale e, quindi, per violazione dell'art. 1218 c.c., non avendo Caio dimostrato che l'inadempimento fosse invece imputabile a colpa della struttura e non risultando, dal contratto, limitazioni all'azione di regresso.

La questione

Se l'azione della struttura sanitaria nei confronti del medico possa inquadrarsi nell'ambito della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. o, al contrario, debba sempre e comunque intendersi quale azione extracontrattuale regolata dall'art. 2055 c.c. e se il regresso possa avere ad oggetto l'intera somma versata o, al contrario, si debba sempre e comunque, ritenere sussistente una quota di corresponsabilità della struttura per culpa in eligendo e/o in vigilando.

Le soluzioni giuridiche

Per diverso tempo il legame contrattuale tra paziente e struttura è stato interpretato e disciplinato sulla base dell'applicazione analogica delle norme in materia di contratto di prestazione d'opera intellettuale vigenti nel rapporto medico-paziente (Cass. civ., n. 589/1999), ma tale ricostruzione è stata ritenuta riduttiva giacché da ciò derivava che il presupposto per l'affermazione della responsabilità contrattuale della struttura fosse l'accertamento di un comportamento colposo del medico operante presso la stessa.

Il più recente orientamento, confermato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione civile con la sentenza Cass. civ., Sez. Un., 1 luglio 2002 n. 9556 e più di recente ribadito, sempre a Sezioni Unite, con la sentenza 577 (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 577), ha invece stabilito che il suddetto rapporto debba essere riconsiderato in termini autonomi dal rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull'inadempimento fissate dall'art. 1218 c.c.

Da tale impostazione è conseguita l'apertura a forme di responsabilità autonome dell'ente, che prescindono dall'accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori, e trovano invece la propria fonte nell'inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili alla struttura.

In tal modo si è inteso valorizzare la complessità e l'atipicità del legame che si instaura fra la struttura ed il paziente, che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario e paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicanze. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori.

Quindi, per quanto concerne le prestazioni mediche che la struttura svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, il fondamento della sua responsabilità per fatto del dipendente, risiede nell'art. 1228 c.c.

Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonché della struttura stessa (insufficiente o inidonea organizzazione), ma la struttura anche in caso di responsabilità esclusiva del medico, è tenuta, proprio in forza dell'art. 1228 c.c., a rispondere, in via solidale col medico, nei confronti del danneggiato.

Per quanto riguarda il rapporto interno tra medico e struttura, la giurisprudenza ritiene che l'errore del medico, del quale la struttura contraente si avvalga per svolgere l'incarico, non costituisce di per sé giusta causa di esonero da responsabilità della struttura stessa, in quanto, ai sensi dell'art. 1228 c.c., è comunque responsabile della scelta compiuta e risponde anche del fatto doloso o colposo dei suoi ausiliari, salvo che possa dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore, con la possibilità, poi, di agire in rivalsa-surroga nei confronti del medico in caso di sua esclusiva responsabilità (Cass. civ., sez. III, n. 6053/2010).

Anche il medico, nel caso in cui abbia eseguito la prestazione risarcitoria nei confronti del paziente, ha la facoltà di esercitare l'azione di manleva nei confronti della struttura ma solamente nell'ipotesi in cui sussista un suo concorso di colpa con la struttura sanitaria (per esempio risultino accertati colpa medica nell'esecuzione dell'intervento chirurgico e una carenza organizzativa della struttura), poiché, se fosse provato l'esclusivo inadempimento della struttura sanitaria, conseguirebbe la esenzione di colpa del medico con il rigetto della domanda proposta dal paziente nei suoi confronti.

Ne consegue che, in presenza della prova che il danno subito dal paziente sia esclusivamente imputabile al medico, la struttura sanitaria potrà proporre l'azione di rivalsa per l'intera somma versata al danneggiato e, nel caso di suo concorso di colpa, potrà agire per ottenere il rimborso calcolato sulla base della quota di responsabilità direttamente imputabile a responsabilità del medico.

L'azione di regresso viene soventemente invocata in forza dell'art. 2055 c.c., che costituisce un principio di carattere generale in tema di solidarietà, estensibile quindi anche alle ipotesi di responsabilità contrattuale, ma si registrano decisioni, come quella in commento, in cui si esalta la presenza del rapporto contrattuale tra struttura e medico e l'azione di regresso/manleva viene inquadrata all'interno della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.

Infatti, per quanto riguarda l'azione regolata dall'art. 2055 c.c., secondo la SC «Quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell'estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell'art. 2055 cod. civ., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento (dei quali, del resto, l'art. 2055 costituisce un'esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo» (Cass. civ., n. 7618/2010, Cass. civ., n. 23918/2006).

Anche se, il tenore letterale dell'art. 2055 c.c. potrebbe condurre a ritenere la norma applicabile alle sole ipotesi di concorso di colpa e, quindi, in presenza di almeno due condotte cui imputare l'evento di danno, sicché vi sarebbe solo un diritto ad un parziale regresso, si ritiene invece che l'azione di regresso possa essere esercitata anche per l'intero, qualora la responsabilità dell'evento sia imputabile in via esclusiva ad uno solo dei coobbligati e la solidarietà dell'altro coobbligato sia atipicamente imposta dall'ordinamento ad esclusiva garanzia del danneggiato (diverse pronunce hanno statuito in tale senso: ex plurimis Trib. Milano, sez. I, 23 luglio 2014, n. 9693; App. Milano, sez. II 2 dicembre 2014, 4324).

Da segnalare però la presenza di decisioni, criticate da quella in commento, che vedono sussistere sempre e comunque una responsabilità della struttura perché anche nel caso di errore esclusivamente imputabile al medico, questa sarebbe ugualmente responsabile perché, nell'avvalersi dell'ausiliario, sarebbe stata colposa nel non verificare e controllare la sua preparazione e competenza e, quindi, per culpa in eligendo e/o in vigilando (Trib. Milano, n. 11171/2014). Secondo tale impostazione il regresso della struttura nei confronti del medico potrebbe, quindi, essere solo parziale e mai integrale ma, in tal modo, si contraddirebbe il principio espresso dalla Cassazione, che esime la responsabilità della struttura in ipotesi di caso fortuito e cioè nel caso in cui questa dimostri che l'inadempimento del medico sia stato per lei del tutto imprevedibile ed inevitabile perché, ad esempio, esclusivamente collegato ad un comportamento colposo del suo ausiliario, il che la legittimerebbe al recupero totale di quanto versato.

Adottando una simile impostazione, anche in presenza di un contratto tra struttura e ausiliario, nel caso in cui la prima intendesse, in un successivo e separato giudizio, fare regresso nei confronti del secondo, sarebbe tenuta a dimostrare gli elementi costituivi della responsabilità aquiliana in capo al medico e, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, anche il termine prescrizionale per esercitare l'azione, sarebbe quello di 5 anni dall'avvenuto pagamento (Cass. civ., n. 9784/1991; Cass. civ., n. 3540/1975; Cass. civ., n. 21056/2004).

L'altro orientamento, cui ha peraltro aderito la decisione in commento, ritiene che in presenza di un contratto che regola il rapporto del medico con la struttura, il regresso interno/manleva tra i due soggetti non possa che essere regolato ai sensi dell'art. 1218 c.c. (si veda anche Trib. Milano, sez. I, 23 luglio 2014, n. 9693).

Secondo questa impostazione, non si tratterebbe di un regresso ex lege, previsto dall'art. 2055 c.c., ma di un'azione che avrebbe fonte negoziale nel contratto concluso fra le parti, poiché invocare l'operatività dell'art. 2055 c.c., quale unica norma applicabile all'azione di regresso, comporterebbe il riconoscimento in capo alla struttura di una responsabilità di tipo oggettivo, che, in sostanza, prescinderebbe dall'accertamento di un suo comportamento colposo che viene ravvisato attraverso il forzoso richiamo alla culpa in eligendo/vigilando.

Tale orientamento ritiene infatti che il presupposto per la responsabilità della struttura per eventi causati dal medico, non risieda nella sussistenza della culpa in eligendo/vigilando, ma nel rischio connaturato all'utilizzazione di terzi nell'adempimento della prestazione (Cass. civ., n. 8826/2007; Cass. civ., n. 6756/2001; Cass. civ., n. 5329/2003), poiché non necessariamente l'errore del medico deve ricollegarsi ad una sua impreparazione o mancato aggiornamento, sicché sarebbe improprio addossare tout court alla struttura una responsabilità per mancata vigilanza e/o erronea scelta.

In tal modo la struttura, per rivalersi nei confronti del medico, non dovrebbe dimostrare gli elementi costitutivi della sua responsabilità extracontrattuale ma il suo inadempimento al contratto sicché il medico, per liberarsi dalla responsabilità, ben potrebbe dimostrare che l'insuccesso è dipeso da causa a lui non imputabile perché ascrivibile ad inadempimento della struttura nei suoi confronti, perché, ad esempio, lo ha sottoposto a turni troppo stressanti, non ha agevolato la sua partecipazione a corsi di aggiornamento o perché non gli ha fornito materiali o mezzi idonei, ecc., sicché, in assenza della prova liberatoria, in conseguenza del suo inadempimento, il medico sarebbe tenuto alla ripetizione di quanto interamente versato.

Ovviamente una tale impostazione fa salvi i diritti contrattuali, contenuti nei contratti di lavoro, di prestazione d'opera continuativa e coordinata o di collaborazione autonoma libero professionale che potrebbero prevedere limiti contrattuali all'azione di regresso o incondizionato diritto di manleva del medico nei confronti della struttura, così come ad esempio accade per i medici ospedalieri il cui CCNL consente il diritto di manleva dell'ospedale solo nei casi di dolo o colpa grave.

Logicamente, trattandosi di responsabilità contrattuale, il termine prescrizionale per esercitare l'azione sarebbe quello di 10 anni dal pagamento del risarcimento in favore del danneggiato.

Pertanto, a seconda che l'azione della struttura verso il medico per ottenere il rimborso di quanto versato al paziente a titolo di risarcimento danni, venga inquadrata nella norma di cui all'art. 2055 c.c. o in quella di cui all'art. 1218 c.c., diverso è l'onere probatorio, diverso è il regime prescrizionale (ovviamente se l'azione di regresso/manleva viene promossa con un autonomo giudizio dopo quello principale che si è concluso con la condanna solidale del medico con la struttura), ma, in entrambi i casi, è pacifico che vi sia la possibilità di ottenere il rimborso dell'intera somma versata.

Osservazioni

La decisione in commento ha aderito all'orientamento che inquadra l'azione di regresso, o meglio manleva, all'interno della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. ed ha ritenuto il medico Tizio obbligato alla restituzione dell'intera somma versata dalla struttura al danneggiato.

Motiva la decisione che non è un illecito quello commesso dal medico verso la struttura, bensì un inadempimento contrattuale che deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento della sua attività e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c., da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata.

Sicché se il medico, nell'adempimento della prestazione professionale che si è impegnato ad eseguire in forza del contratto con la struttura, non ha posto tutta la diligenza dovuta ma ha eseguito la prestazione con negligenza, imperizia o imprudenza, causando un danno al paziente, già pagato dalla struttura, sarà tenuto alla restituzione dell'intero importo, non potendosi ammettere che l'ordinamento imponga di riconoscere, sempre e comunque, una quota di responsabilità da imputare alla struttura che, di contro, è ravvisabile solo laddove vi sia una sua diretta responsabilità o limitazioni contrattuali al diritto alla manleva/regresso.

Solo nel caso in cui al suo inadempimento si aggiunga anche quello della struttura per non aver, ad esempio, questa fornito macchinari funzionanti, per mancata disinfezione della sala operatoria o degli strumenti, ecc., il diritto alla manleva della struttura sarà solo parziale e, quindi, limitato all'an e quantum di colpa imputabile al medico.

Tale pronuncia ha, per un verso, anticipato quanto viene stabilito dalla legge Gelli, riconoscendo che la responsabilità del medico non scelto direttamente dal paziente debba essere collocata all'interno della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., ma sotto l'aspetto del regresso per l'intera somma, quanto deciso incontrerà dei limiti, prevedendo la nuova normativa il diritto al regresso della struttura nei confronti del medico solo in caso di colpa grave o dolo (art. 9) e per un importo massimo pari al triplo della retribuzione annua lorda (art. 9), sicché mentre prima si poteva far riferimento, nell'adottare il regime contrattuale, alle limitazioni negoziali, oggi tali limitazioni sono imposte ex lege.

Più in particolare, la nuova normativa prevede che la struttura risponda sempre ex art. 1228 c.c. delle condotte dolose e colpose dei suoi ausiliari anche se scelti dal paziente e ancorché non suoi dipendenti (art. 7) ma possa poi rivalersi nei confronti del suo ausiliario, esercitando la relativa azione entro un anno dall'avvenuto pagamento sicché entro un termine di molto più breve rispetto a quello previsto in caso di azione ai sensi dell'art. 2055 c.c. (5 anni) e di quello invece previsto in caso di azione ai sensi dell'art. 1218 c.c. (10 anni).

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