Risarcimento del danno non patrimoniale ed autonomia del danno morale

Ombretta Salvetti
18 Giugno 2014

Il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, non è ricompreso in quest'ultimo e va liquidato autonomamente, non solo in forza di quanto espressamente stabilito - sul piano normativo - dall'art. 5, lettera c), del d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, ma soprattutto in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo, infatti, tali danni a due momenti essenziali della sofferenza dell'individuo, il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana.
Massima

Cass. civ. sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585

Il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, non è ricompreso in quest'ultimo e va liquidato autonomamente, non solo in forza di quanto espressamente stabilito - sul piano normativo - dall'art. 5, lettera c), del d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, ma soprattutto in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo, infatti, tali danni a due momenti essenziali della sofferenza dell'individuo, il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana.

Sintesi del fatto

A.G., dirigente chimico in servizio presso un Ente Pubblico regionale, nel percorrere una rampa di scale che conduceva ad un laboratorio, al fine di depositarvi materiale ricevuto in qualità di perito dell'A.G., inciampava, perdendo l'equilibrio, e cadeva nello spazio vuoto esistente fra i due montanti di sostegno del passamano della scala, riportando gravissime lesioni che ne cagionavano la totale compromissione della capacità lavorativa e l'irrimediabile modificazione in pejus della qualità della vita.

Egli conveniva in giudizio i dirigenti dell'Ente e l'Istituto chiedendo il risarcimento dei danni, in relazione al difetto di manutenzione ed irregolarità della scala. Il Tribunale accoglieva la domanda e, dopo avere escluso la sussistenza di colpa concorrente del danneggiato, condannava in solido alcuni dei convenuti al risarcimento del danno morale, biologico e non patrimoniale, nonché del danno patrimoniale, assolveva altri convenuti e decideva sulle domande di regresso proposte reciprocamente da alcune delle parti.

La Corte d'Appello, investita di gravami principale ed incidentali, mandava assolti da responsabilità due dei convenuti, confermava la condanna per l'Ente, riducendo a vario titolo il risarcimento da favore di A.G., ravvisando a suo carico un concorso colposo nella produzione del danno del 25%.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso principale l'Ente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., in relazione ai principi informatori della responsabilità aquiliana della P.A.; proponeva , invece, ricorso incidentale A.G., lamentando che la Corte, diversamente dal primo giudice, avesse omesso di riconoscere e di liquidare autonomamente il danno subiettivo patito dal danneggiato, non valutando in modo corretto, sul piano del danno non patrimoniale, le conseguenze della compromissione definitiva delle potenzialità di esplicazione e realizzazione della personalità del danneggiato, sia in ambito familiare (compresa la sfera sessuale) sia in ambito professionale e relazionale.

La Cassazione, dopo avere richiamato i principi di diritto più volte affermati in tema di danno morale e danno "relazionale" (Cass. civ., n. 28407/2008; Cass. civ., n.

29191/2008

;

Cass. civ., n.

5770/2010

;

Cass. civ., n.

18641/2011

e

Cass. civ., n.

20292/2012 in tema di danno parentale), afferma , in motivazione:

“Non sembrò revocabile in dubbio alla Corte, e non sembra revocabile in dubbio oggi al collegio, che, nella più ampia dimensione del risarcimento del danno alla persona, la necessità di una integrale riparazione del danno parentale (secondo i principi indicati dalla citata Cass. S.U., n. 26972/2008) comporti che la relativa quantificazione debba essere tanto più elevata quanto più grave risulti il vulnus alla situazione soggettiva tutelata dalla Costituzione inferto al danneggiato, e tanto più articolata quanto più esso abbia comportato un grave o gravissimo, lungo o irredimibile sconvolgimento della qualità e della quotidianità della vita stessa. Sulla base di tali premesse, e sgombrato il campo da ogni possibile equivoco quanto alla autonomia del danno morale rispetto non soltanto a quello biologico (escluso nel caso di specie), ma anche a quello "dinamico relazionale" (predicabile pur in assenza di un danno alla salute), va affrontata e risolta la questione, specificamente sottoposta oggi dal ricorrente incidentale al vaglio di questa Corte, della legittimità di un risarcimento di danni "esistenziali" così come riconosciuti dalla corte di appello di (…). Questione da valutarsi, non diversamente da quella afferente al danno morale, alla luce del dictum dalle sezioni unite di questa corte nel 2008, che lo ricondussero, in via di principio, a species descrittiva di danno inidonea di per sé a costituirne autonoma categoria risarcitoria.

Un principio affermato, peraltro, nell'evidente e condivisibile intento di porre un ormai improcrastinabile limite alla dilagante pan-risarcibilità di ogni possibile species di pregiudizio, benché priva del necessario referente costituzionale, e sancito con specifico riferimento ad una fattispecie di danno biologico.

Un principio che, al tempo stesso, affronta e risolve positivamente la questione della risarcibilità di tutte quelle situazioni soggettive costituzionalmente tutelate (diritti inviolabili o anche "solo" fondamentali, come l'art. 32 Cost., definisce la salute) diverse dalla salute, e pur tuttavia incise dalla condotta del danneggiante oltre quella soglia di tollerabilità indotta da elementari principi di civile convivenza (come pure insegnato dalle stesse sezioni unite).

Le sentenze del 2008 offrono, in proposito, una implicita quanto non equivoca indicazione al giudice di merito nella parte della motivazione che discorre di centralità della persona e di integralità del risarcimento del valore uomo - così dettando un vero e proprio statuto del danno non patrimoniale alla persona per il terzo millennio.

La stessa (meta)categoria del danno biologico fornisce a sua volta risposte al quesito circa la "sopravvivenza" - predicata dalla corte di appello (…) - del c.d. danno esistenziale, se è vero come è vero che "esistenziale" è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute, si colloca e si dipana nella sfera dinamico relazionale del soggetto, come conseguenza, si, ma autonoma, della lesione medicalmente accertabile”

(…)

“Queste considerazioni confermano la bontà di una lettura delle sentenze delle sezioni unite del 2008 condotta, prima ancora che secondo una logica interpretativa di tipo formale-deduttivo, attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione tanto dell'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno esistenziale).”

La Corte rinviene, poi, “una indiretta quanto significativa indicazione in tal senso” nel disposto dell'art. 612-bisc.p. che, sotto la rubrica "Atti persecutori", dispone che sia "punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".

La questione

La questione in esame è la seguente: a seguito della rivisitazione del "sistema" del risarcimento del danno alla persona effettuata dalle Sezioni Unite della Cassazione con le note sentenze "gemelle" del 11 novembre 2008, vi è ancora spazio per il risarcimento in via autonoma del danno morale e /o del danno esistenziale, eventualmente distinti dal danno biologico in senso stretto e non intesi come sotto-categoria del danno non patrimoniale?

Le soluzioni giuridiche

La configurabilità e a risarcibilità in via autonoma, a prescindere da un reato accertato in concreto, del danno morale soggettivo inteso sia nella componente della sofferenza interiore sia nel suo riflesso dinamico-relazionale, in vigenza dell'art. 2059 c.c., sono da molti anni oggetto di una vivace disputa giurisprudenziale e dottrinale a contenuti molteplici.

Si è discusso (e si discute), in particolare, oltre che della risarcibilità autonoma del c.d. danno morale, pur in assenza di danno biologico, della possibilità di "aggirare" l'art. 2059 c.c., valorizzando il concetto di "danno esistenziale", inteso come ogni tipo di conseguenza che coinvolga un individuo a livello personale, comportando una modifica in senso peggiorativo delle sue condizioni di vita, ovvero della qualità della sua vita, quale conseguenza di un fatto illecito giuridicamente rilevante. (Si suggerisce, per la verifica dello stato dell'arte prima del 2003, la lettura della sentenza Trib. Roma, sez. XIII, 7 marzo 2002, n. 34874/98, G.U. Dott. ROSSETTI- contenente una completa rassegna della giurisprudenza in tema di danno esistenziale; cfr. anche P.G. Monateri, Il danno alla persona, Torino, 2000; P. Cendon , P. Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Giuffrè, Milano, 2003).

Nel 2003 la S.C. sezione III civile, con le celebri sentenze nn. 7281, 7282 e 7283/03 (Cass., n. 7281/2003, Cass., n. 7282/2003 e Cass., n. 7283/2003), in fattispecie riguardanti danni da circolazione da veicoli e da attività pericolose, con particolare riferimento ai prossimi congiunti della vittima principale dei sinistri, aveva superato i tradizionali limiti risarcitori prima ricondotti all'art. 2059 c.c. (ovvero risarcibilità del danno non patrimoniale inteso come danno morale puro, solo laddove venisse accertata in concreto una fattispecie di reato con tutti i suoi elementi costitutivi) ed era giunta a riconoscere la risarcibilità del danno morale ogniqualvolta fosse ravvisabile in astratto una fattispecie di reato, pur nei casi di colpa presunta e non accertata in concreto civilisticamente. Con le successive sentenze sempre della III sezione civile n. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 (Cass. civ. sez. III, n. 8827/2003 e Cass., n.8828/2003) la Cassazione, confermando tale orientamento, aveva affermato l'estensione della nozione di “danno non patrimoniale” “inteso come "danno da lesione di valori inerenti alla persona” e non più solo come “danno morale soggettivo”, e richiesto il ristoro anche dell'irreversibile perdita di un prossimo congiunto all'interno del nucleo parentale garantito e protetto dalla Carta Costituzionale.

A sua volta la C. cost. 11 luglio 2003 n. 233, aderendo a tale orientamento, avendo ritenuto tramontata “la tradizionale affermazione secondo cui il danno non patrimoniale riguardato dall'art. 2059 c.c. si identificherebbe con il c.d. danno morale soggettivo” aveva impostato concettualmente le categorie del danno in modo nuovo, sostituendo alla vecchia tripartizione 1)danno patrimoniale 2)danno biologico 3)danno morale, un sistema bipolare costituito da: danno patrimoniale (danno emergente, lucro cessante); danno non patrimoniale, (inteso come ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona) nel quale faceva rientrare il danno biologico (ovvero la lesione delll'integrità fisica e psichica della persona) ed il danno morale inteso come il riflesso soggettivo del danno, che a sua volta ricomprendeva il c.d. danno morale in senso stretto (o patema d'animo transeunte) ed il danno c.d. esistenziale o alla vita di relazione (incidente sulle esplicazioni della personalità nelle formazioni sociali, famiglia, ecc. in rapporto ad interessi costituzionalmente rilevanti) (cfr. Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona, Corriere Giur., 2003, 8, 1034).

Le due sentenze della S.C. n. 8827 e 8828/2003 (Cass., n. 8827/2003 e n. Cass., n.8828/2003), ancora, oltre a richiedere che il danno c.d. “esistenziale” fosse allegato e provato, suggerivano anche criteri per la liquidazione delle varie voci del danno non patrimoniale, richiamando il criterio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c. e consentendo il cumulo fra danno morale in senso stretto e danno esistenziale (o alla vita di relazione), ma precisando che, in caso di duplice liquidazione, il “quantum” per il danno morale puro dovesse essere contenuto, stante la “sua più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta” e l'opportunità di un “giusto equilibrio fra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento”.

Le note sentenze "gemelle" della SS.UU. del 2008 (Cass. S.U., n. 26972/2008), dopo avere puntualizzato, a livello teorico, che nel nostro ordinamento non sono consentite interpretazioni abrogatrici dell'art. 2059 c.c. e che il danno non patrimoniale, risarcibile esclusivamente in virtù di tale disposizione di legge, può trovare ristoro solo in tre distinte ipotesi , ovvero:

1-allorchè si verta in ipotesi di reato, pur accertato anche presuntivamente secondo le regole civilistiche;

2- negli altri casi stabiliti dalla legge,;

3- qualora sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona garantito dalla Costituzione, hanno effettuato una brusca virata nel senso dell'unificazione in un'unica categoria concettuale della nozione di danno non patrimoniale, confermando da un lato, la classificazione del danno nell'ambito della responsabilità aquiliana come bipolare, laddove si afferma: “ La rilettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia eccezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.)” indicando dall'altro l'opportunità di liquidare tale pregiudizio come categoria unitaria non suscettibile di suddivisioni in sottocategorie, e ritenendolo comprensivo sia dell'area del c.d. danno biologico sia di quella del c.d. del danno morale in senso lato, inteso come sofferenza psicologica non necessariamente transeunte, senza automatismi e valutando l'effettività del danno e del ristoro nella sua interezza.

Stante la funzione nomofilattica della S.C. non pareva più, dunque, suscettibile di liquidazione separata aggiuntiva, come usualmente la giurisprudenza operava, in termini di mero aumento automatico in percentuale, il c.d. “danno morale” inteso come patema d'animo transeunte, in quanto in virtù della citata pronuncia delle SS.UU., “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.

Circa il c.d. “danno esistenziale” le SS.UU. cit. hanno poi affermato che i pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti ad una lesione psicofisica sono risarcibili autonomamente solamente qualora siano conseguenti alla violazione di un diritto inviolabile della persona diverso dall'integrità psicofisica, in quanto, laddove sussista un danno c.d. biologico esso deve essere ritenuto comprensivo anche dei profili attinenti alla vita di relazione, pur meritevoli di considerazione, purché allegati e provati, cosicché, terminologicamente, di “danno esistenziale come autonoma categoria di danno" non sarebbe più dato discorrere.

Tale orientamento è stato ribadito dalle SS.UU. anche più recentemente, allorché hanno confermato la mancanza di autonomia della categoria del danno esistenziale rispetto a quella del danno morale (cfr. Cass. S.U., n. 3677/2009) ed è stato ripreso, anche di recente, da numerose pronunce della Terza Sezione della stessa Corte di legittimità, che escludono l'autonomo riconoscimento e la possibilità di liquidare separatamente pregiudizi riconducibili al danno non patrimoniale, ammettendo al più un valore descrittivo delle sotto-categorie (cfr. Cass., 30 novembre2011, n. 25575, Cass., 24 ottobre 2011, n. 21999).

A livello attuativo del principio si collocano le sentenze che hanno indicato, quale generale parametro di equità a fini liquidatori, le "tabelle" in uso presso il Tribunale di Milano (cfr. Cass. civ., 30 giugno 2011, n. 14402).

La sentenza in commento, ponendosi sulla scia dei due precedenti scritti dallo stesso estensore che essa richiama testualmente (e trasla, in parte anche senza virgolette, con conseguente difficoltà di lettura) nella sua motivazione, (Cass., n. 18641/2011 e Cass., n. 20292/2011), ribadisce il valore della centralità della persona e dell'integralità del risarcimento, fornendo una lettura delle sentenze delle SS.UU del 2008 in termini di "ermeneutica di tipo induttivo" , secondo cui si richiede comunque l'individuazione preliminare della, indispensabile, situazione soggettiva oggetto di protezione costituzionale (ad. esempio il rapporto parentale, l'onore, la libertà religiosa, ecc.) in collegamento alla quale il giudice del merito deve effettuare una rigorosa indagine circa l'aspetto interiore del danno (danno morale soggettivo) e circa la sua influenza peggiorativa della vita quotidiana del danneggiato (c.d. danno esistenziale), pregiudizi che indica come atipici e sempre ristorabili a prescindere dalla sussistenza o meno anche del danno alla salute fisio-psichica. Permane, comunque, il monito anche all'opportunità di evitare il proliferare incontrollato delle voci risarcitorie.

Si avvale, la Corte, nel suo ragionamento, degli spunti normativi offerti sia dal testo dell'art. 612 bic c.p. (reato rubricato “atti persecutori” introdotto nel 2009), che, laddove dà rilevanza nella fattispecie incriminatrice all'alterazione delle abitudini di vita indotte nei confronti della vittima dalle minacce reiterate, intende come espressione della volontà legislativa di valorizzare le due componenti essenziali della sofferenza dell'individuo, ovvero, appunto, il dolore interiore e la rilevante alterazione della vita quotidiana, sia da interventi regolamentari successivi al 2008 in materia di indennizzo (art. 5 d.P.R. n. 37/2009, in tema di criteri di riconoscimento delle indennità per particolari invalidità di servizio al personale impiegato in missioni militari all'estero, decreto abrogato dall'art. 2269, comma 1, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, e art. 1 d.P.R. n. 181/2009, in tema di criteri medico-legali per l'accertamento delle invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo), in cui ravvisa, addirittura, la palese espressione della volontà legislativa di mantenere distinto morfologicamente il danno morale da quello biologico, senza che il primo possa dirsi senz'altro assorbito nel secondo, pur ribadendo l'esigenza di evitare, tramite l'attenta analisi probatoria e il corretto metodo liquidatorio, duplicazioni delle stesse voci di danno risarcite.

Tale orientamento, che sembra voler ripescare le distinte "categorie" affogate nel calderone del danno non patrimoniale unico è stato tacciato di tradimento nei confronti della nomofilachia (G. Ponzanelli, Nomofilachia tradita e le tre voci di danno non patrimoniale, F.It, 2013, 12, I,3448 )non pare peraltro condiviso nemmeno all'interno della stessa Sezione, tant'è vero che , nello stesso anno, si annoverano pronunce, di altri estensori, di segno opposto, conformi alle SS.UU. (cfr. Cass. civ.,14 maggio 2013, n. 11514; Cass. civ., 16 maggio 2013, n. 11950, Cass. civ., 19 dicembre 2013, n. n. 4043), anche successivamente alla sentenza in commento (Cass. civ. sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950).

Gli appigli testuali normativi di cui la sentenza si avvale sono stati, fra l'altro, oggetto di critica, in quanto si afferma che al legislatore, anche prima del 2008, non fosse ignoto il concetto di danno biologico e di danno relazionale e che tali norme non spieghino alcun effetto sull'art. 2059 c.c., in quanto si tratta di regolamenti aventi ad oggetto indennizzi e nemmeno risarcimenti (A. Palmieri- R. Pardolesi, Il ritorno di fiamma del danno esistenziale -e del danno morale soggettivo-: l'incerta dottrina della Suprema Corte sull'art. 2059 c.c.).

Osservazioni e suggerimenti pratici

Al di là delle etichette attribuite dalle parti del processo alle varie voci di pregiudizio non patrimoniale di cui viene richiesto il ristoro, ciò che conta e che viene, sempre e comunque, rimarcato dalla S.C., qualunque sia il criterio terminologico o la metodologia di liquidazione suggerita, è che il danno sia risarcito integralmente, in modo esaustivo, avuto riguardo a tutte le sfaccettature possibili e nell'ottica dell'adeguata personalizzazione, purché il diritto leso sia apprezzabile e sostenuto da un valore fondamentale tutelato dalla Costituzione.

Occorre infatti avere presente che l'art. 2059 c.c. non è ancora stato espunto dall'ordinamento , che dunque, un aggancio con una legge o con i valori costituzionali ci deve pur essere.

Va, peraltro, rispettato anche il principio dell'onere della prova.

Spetta dunque al danneggiato organizzare le proprie difese in modo da domandare, allegare e offrire la prova di tutte le componenti dei pregiudizi, patrimoniali e non, di cui invoca la riparazione, sia in ambito contrattuale, quale conseguenza di inadempimento, sia in ambito extracontrattuale, quale conseguenza di un illecito. Compete al convenuto, invece, formulare le opportune e possibili contestazioni in fatto ed in diritto.

Il Giudice scrupoloso non potrà, a questo punto, cavarsela, come talora si verifica, dichiarando in blocco le istanze istruttorie inammissibili (salvo poi rigettare la domanda per difetto di prova!) ovvero limitarsi a disporre la CTU medico-legale, non apparendo di competenza del tecnico accertare fatti quali, ad esempio, modificazioni rilevanti di abitudini di vita consolidate, rinunce, riflessi sulla vita di relazione che, normalmente, non possono che essere oggetto di specifica istruttoria testimoniale. Il CTU può, infatti, oltre che esprimere la propria valutazione scientifica sulla natura, entità e traduzione in procenti dei postumi da lesioni di natura biologica o psichica, al più, indicare i c.d. riflessi oggettivi di tali postumi in termini di incidenza delle menomazioni accertate sulle ordinarie attività della vita (ad esempio sulla deambulazione, autonomia personale, uso degli arti, ecc.) , ma non certo supplire al deficit istruttorio delle parti.

Si suggerisce anche di far precedere l'istruttoria su fatto e sulle componenti del danno all'esperimento concreto della CTU e di fornire al medico legale copia del verbale all'atto del conferimento dell'incarico, affinché il perito stesso possa disporre di un materiale probatorio completo che lo aiuti a valutare, appunto, i riflessi dei postumi biologici riscontrati sulle concrete attitudini ed attività del danneggiato, sulla scorta di un quesito anch'esso debitamente personalizzato.

E', ovviamente, meglio che l'istruttoria completa venga effettuata in primo grado, quando i ricordi dei testimoni sono più freschi, piuttosto che , dopo anni, in appello, magari dopo che la CTU è già stata pure esperita, in mancanza di dati rilevanti.

All'esito dell'istruttoria sarà poi il Giudice del merito a dover sfrondare la liquidazione dei danni da ogni orpello aggiuntivo, dalle richieste pretestuose e dalle inopportune duplicazioni delle stesse voci di danno, fornendo tutela risarcitoria completa ed analitica, con una pronuncia sorretta da rigorosa e concreta motivazione che dia conto dei criteri utilizzati e della natura ed entità dei pregiudizi risarciti, comunque essi vengano chiamati.

Conclusioni

In attesa dell'eventuale ritorno del Giudice di legittimità sulla classificazione delle voci del danno non patrimoniale , pare che il rigore metodologico nell'approccio processuale al fatto ed al danno che consenta il concreto, integrale ristoro del danno (una volta sola), nel rispetto dei canoni normativi, costituisca un approdo sicuro a garanzia delle parti e della tenuta delle sentenze di merito.

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