Risarcimento del danno derivante dall’esecuzione di un provvedimento amministrativo illegittimo: oneri probatori

Vincenza Di Cristofano
18 Settembre 2015

In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, perché resta a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento.
Massima

In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, perché resta a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento.

Il caso

La Società titolare di una discoteca e di un ristorante evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia il Comune di Assisi chiedendo la condanna ex art. 2043 c.c. per il danno sofferto in ragione della chiusura del proprio ristorante, disposta in esecuzione di un'ordinanza di ingiunzione, dichiarata illegittima con separata sentenza emessa dallo steso Tribunale di Perugia e non impugnata. Nello specifico, l'amministrazione comunale, con l'ordinanza di ingiunzione in questione, a seguito della contestazione della violazione dell'art. 14, l. n. 283/1962, aveva disposto la sospensione della licenza di ristorazione per una sola giornata, peraltro con decorrenza dal giorno successivo alla notifica dell'ordinanza di ingiunzione.

L'amministrazione comunale si costituiva dinanzi al giudice di prime cure eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo (art. 7, comma 3, l. 1034/1971 come modificato dalla l. n. 205/2000) e contestando nel merito la domanda risarcitoria, formulando infine anche richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c.. Il Tribunale adito rigettava le domande di entrambe le parti.

Avverso la pronuncia del giudice di prime cure la Società asseritamente danneggiata proponeva appello al quale resisteva il Comune di Assisi, che proponeva a sua volta appello incidentale. La Corte d'Appello di Perugia investita del gravame, respinto l'appello incidentale, accoglieva l'appello principale ritenendo sussistente nel caso di specie:

  1. la formazione di una preclusione da giudicato circa l'illegittimità dell'ordinanza di ingiunzione con la quale veniva disposta la sospensione dell'attività di ristorazione per una sola giornata;
  2. l'effettiva sussistenza di un danno;
  3. l'ingiustizia del danno stesso.

Il Comune di Assisi proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi.

La questione

Le questioni giuridiche che emergono dalla decisione in commento attengono tutte alla tematica di gran rilievo della responsabilità della P.A. per l'adozione di atti e provvedimenti illegittimi.

Nel dettaglio, la pronuncia in commento pare rispondere al seguente principale interrogativo: la sussistenza della responsabilità della P.A. ex art. 2043 c.c. consegue automaticamente all'annullamento del provvedimento o atto amministrativo illegittimo adottato?

Le soluzioni giuridiche

Come poc'anzi anticipato, le questioni giuridiche che emergono dalla decisione in commento attengono tutte al tema della responsabilità della P.A. per l'adozione di atti e provvedimenti illegittimi. Nello specifico il Supremo Collegio, condividendo e facendo proprie le argomentazioni formulate nella relazione di cui all'art. 380 bis c.p.c., analizza diversi aspetti della tematica testé indicata, i.e. il profilo relativo all'efficacia esterna del giudicato che ha accertato l'illegittimità del provvedimento di ingiunzione, quello relativo agli oneri probatori sottesi alla richiesta di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e, infine, quello inerente all'eventuale concorso di colpa del danneggiato dal provvedimento illegittimo ex art. 1227 c.c..

Va da subito anticipato come la pronuncia della Suprema Corte in esame, nell'analizzare i profili appena indicati, confermi e ribadisca l'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale che ritiene non sufficiente ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno il solo annullamento dell'atto illegittimo, essendo altresì necessaria la prova del danno patito, dell'ingiustizia dello stesso, del nesso eziologico e della sussistenza dell'elemento soggettivo sotto la forma del dolo ovvero della colpa (così, ad es., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, sent., 26 marzo 2013, n. 1669). In sostanza, insieme all'analisi di ulteriori interessanti sfaccettature della problematica de qua, viene ribadito il principio per cui il danno non deve essere considerato in re ipsa in virtù della mera illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, ma al contrario lo stesso deve essere allegato e provato.

Dalla conferma dell'indirizzo giurisprudenziale consolidato appena menzionato (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. VI, sent., 15 marzo 2012, n. 4172; Cass. civ., sez. III, sent., 31 ottobre 2014, n. 23170) consegue che il criterio di imputazione della responsabilità non è correlato alla sola illegittimità del provvedimento, ma ad una più complessa valutazione, estesa all'accertamento dell'elemento soggettivo e della connotazione dell'azione amministrativa come fonte di danno ingiusto.

Tutt'al più, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il riferimento alla mera illegittimità dell'atto o provvedimento fonte di danno per il privato può costituire un valido indice presuntivo (art. 2727 c.c.) al fine della prova dell'elemento soggettivo minimo della colpa, ma mai può esimere dalla prova dell'effettiva sussistenza di un danno nonché dell'ingiustizia dello stesso. La struttura della norma disciplinante la responsabilità aquiliana non può essere sovvertita.

La Suprema Corte respinge, quindi, le doglianze sollevate dal Comune di Assisi confermando la valutazione operata della Corte d'Appello, che aveva dichiarato la spettanza del risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. in favore della Società lesa dall'esecuzione dell'ordinanza di ingiunzione illegittima.

In particolare il Supremo Collegio, richiamando molteplici precedenti giurisprudenziali, anche recenti, ribadisce graniticamente che la responsabilità della P.A. ex art. 2043 c.c. da attività provvedimentale illegittima può essere dichiarata solo ed esclusivamente sulla base:

  1. dell'accertamento circa la sussistenza dell'evento di danno;
  2. dell'accertamento del nesso di causalità tra l'evento dannoso e l'atto amministrativo impugnato;
  3. della valutazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dell'amministrazione.
Osservazioni

È ormai pacifico che l'attività amministrativa illegittima sia fonte di responsabilità per la P.A. che ha adottato l'atto, dal momento che il provvedimento non conforme alla legge incide negativamente sia su diritti soggettivi, sia sull'interesse legittimo di cui il soggetto privato è portatore.

Occorre brevemente ricordare, per completezza, come in passato all'interesse legittimo fosse attribuito valore meramente processuale o, al più, lo stesso venisse inteso come derivazione del diritto soggettivo mediante il ricorso alla teoria dell'affievolimento del medesimo. Ovviamente, ne risultava la totale incompetenza del giudice ordinario e la pressoché totale irresponsabilità dell'amministrazione pubblica. L'interesse legittimo, infatti, per lungo tempo non era risarcibile e l'unico mezzo di tutela concesso al privato era l'eliminazione dell'atto illegittimo tramite la giustizia amministrativa. In seguito, si riconobbe che tale ricostruzione in realtà era solo una fictio e che ben altra doveva essere la consistenza da attribuire all'interesse legittimo. A tal riguardo, la nota sentenza Cass. civ, S.U., sent., 22 luglio 1999 n. 500 ha chiarito come la lesione dell'interesse legittimo realizzata dalla P.A. nell'esercizio dei suoi poteri funzionali determinasse una responsabilità regolata dall'art. 2043 c.c., il quale tutela non solo i diritti soggettivi bensì anche le situazioni giuridiche diverse purché meritevoli di tutela, come l'interesse legittimo.

Affermata la risarcibilità del danno da esercizio illegittimo della funzione amministrativa, eliminata la necessità della cd. pregiudiziale amministrativa (che implicava la necessità dell'annullamento di un atto amministrativo illegittimo prima di poter procedere al risarcimento del danno), acclarata la giurisdizione del g.a. (ad eccezione delle opposizioni a sanzioni amministrative, cfr. art. 22, l. 689/1981, ss.mm.ii), ci si è interrogati sui relativi oneri probatori. In particolare ci si è chiesti se l'intervenuto annullamento dell'atto amministrativo illegittimo fosse di per sé solo idoneo a far ritenere la sussistenza di un danno ingiusto.

Chi ha ritenuto possibile la configurazione di un danno in re ipsa l'ha probabilmente fatto (a sommesso parere di chi scrive) con l'intento di accordare maggior tutela al soggetto privato leso dall'esercizio di un'attività amministrativa funzionalizzata al perseguimento di un interesse pubblico.

Tuttavia, la pronuncia in commento, come dianzi detto, esclude che il danno possa essere in re ipsa e chiarisce quali siano gli effettivi oneri probatori della responsabilità de qua, ribadendo senza indugio l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, per il quale il soggetto che invoca tale responsabilità della P.A. deve necessariamente allegare il compimento di un'attività amministrativa non conforme a legge, l'evento dannoso da questa cagionato, il nesso eziologico tra gli stessi, l'ingiustizia del danno nonché infine l'elemento soggettivo del dolo o della colpa in capo alla P.A..

Per ciò che concerne l'elemento soggettivo del dolo e della colpa v'è da segnalare che una parte della giurisprudenza ritiene sufficiente che il privato si limiti ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa. La decisione in esame prende atto di questo indirizzo. A tal riguardo si segnala che lo stesso giudice amministrativo ha precisato come non sia richiesto al privato (danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo) un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo (cfr. Cons. Stato, sent., 10 gennaio 2012, n. 14; Cons. Stato, sez. VI, sent., 23 giugno 2006, n. 3981). Infatti, sempre a detta della giurisprudenza amministrativa, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo, possono, però, operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.Sarà allora onere dell'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent., 17 febbraio 2013, n. 798).

L'ultimo profilo problematico analizzato, seppur con brevità, dalla sentenza de qua concerne il concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c. idoneo a diminuire l'ammontare del risarcimento del danno. La Suprema Corte ritiene che tale concorso non possa essere configurato in ipotesi (come nel caso di specie) di condotta obbligata del danneggiato, destinatario di un provvedimento di natura autoritativa.

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