I criteri utilizzati per liquidare il danno patrimoniale da incapacità di guadagno devono soddisfare la regola dell’integralità del risarcimento

Rodolfo Berti
19 Gennaio 2016

Il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 i quali, a causa dell'innalzamento della durata media della vita e dell'abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l'integrale ristoro del danno e non sono per ciò conformi alla regola di integralità del risarcimento di cui all'art. 1223 c.c..
Massima

Il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 i quali, a causa dell'innalzamento della durata media della vita e dell'abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l'integrale ristoro del danno e non sono per ciò conformi alla regola di integralità del risarcimento di cui all'art. 1223 c.c..

Il caso

La App. Lecce, sent., 7 novembre 2011, ha rigettato il gravame proposto da Tizio, che lamentava la sottostima del danno, contro l'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c., avente efficacia di definitività per rinuncia alla sentenza da parte della società assicuratrice convenuta.

Contro tale provvedimento è ricorso per cassazione Tizio che, con il secondo motivo, solleva cinque censure riguardanti la violazione di legge ai sensi dell'art. 360 n. 3 (artt. 1223, 2697, 2729 c.c.; art. 115 c.p.c e R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403).

I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibili ed infondate le prime due censure mentre hanno accolto la terza riguardante la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità di lavoro patito da Tizio che aveva contestato in appello il criterio di liquidazione utilizzato dal Tribunale attraverso il coefficiente di capitalizzazione tratto dalla tabella allegata al R.D. n. 1403/1922, affermando che quei coefficienti non erano più attuali a causa dell'allungamento della vita media.

La Corte di Appello di Lecce aveva respinto l'impugnazione ritenendo che non esistessero, allo stato, elementi sicuri per rettificare i parametri utilizzati.

Per la Corte di Cassazione invece la doglianza era fondata perché il risarcimento del danno deve essere integrale sicché quello da perdita della capacità di lavoro e di guadagno, quale danno permanente che si proietta nel futuro, deve tener conto non solo della probabile durata della vita del danneggiato ma anche del valore della rendita che la somma che dovesse essergli liquidata anticipatamente gli farebbe lucrare sicché deve essere applicato il cd. saggio di sconto per rendere equa e rapportata alla effettiva durata della perdita economica la somma risarcitoria.

Tale saggio di sconto è rappresentato dai coefficienti di capitalizzazione approvati però nel 1922 e calcolati sulla base di tavole di mortalità risalenti al 1911, presupponendo per di più un saggio di interesse del 4,5%.

Ritiene la Corte che detti coefficienti impediscano l'integrale ristoro del danno come previsto dall'art. 1223 c.c. e ciò perché, in primo luogo la vita media della popolazione italiana si è notevolmente allungata rispetto al 1922 essendo, secondo l'Istituto nazionale di statistica, quella dell'uomo di 80,2 anni e quella della donna di 84,9 anni, mentre agli inizi del secolo scorso la durata media della vita era di soli 54,9 anni sicché calcolare il danno permanente in base ad un coefficiente fondato sulla speranza di vita inferiore di oltre 1/3 a quella reale, non può rappresentare un'ipotesi di risarcimento integrale.

Il secondo motivo è che i suddetti coefficienti sono unici per maschi e femmine, mentre la durata della vita è per i due sessi diversa sicché ne risulterebbe un grave pregiudizio per la vittima femminile mentre il danno del maschio sarebbe sovrastimato.

La terza ragione è che i coefficienti di capitalizzazione di cui al R.D. 1403/1922 sono calcolati su un saggio di interesse del 4,5% che rappresenta la quota di risarcimento che viene detratta per impedire che l'anticipata capitalizzazione del danno, rispetto all'epoca futura in cui il danno si subirà, costituisca un arricchimento senza causa per il danneggiato.

La rendita di un 4,5% non è più attuale perché oggi il tasso legale degli interessi è pari allo 0,5% e difficilmente gli investimenti a reddito fisso danno rendimenti superiori al 2% con la conseguenza che l'adozione dei criteri del 1922 determina una decurtazione dal risarcimento di un importo superiore a quello che il danneggiato potrebbe ottenere attraverso l'impiego proficuo della somma sicché anche sotto questo aspetto risulta violata la regola della integrità del risarcimento di cui all'art. 1223 c.c..

Infine i Supremi Giudici hanno ritenuto che il R.D. 1403/1922 sia stato implicitamente abrogato a causa della soppressione della Cassa nazionale delle assicurazioni sociali oggi Inps.

Ritiene pertanto la Cassazione che il giudice nel liquidare il danno patrimoniale da incapacità lavorativa, possa adottare qualsiasi coefficiente di capitalizzazione purché sia aggiornato e scientificamente corretto. Suggeriscono gli Ermellini che possono essere adottati quei coefficienti approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali come pure quelli elaborati dalla dottrina nonché quelli diffusi dal Csm allegati agli atti per l'incontro di studio per i magistrati svoltosi a Trevi nel 1989, reperibili nei «Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno», in Quaderni del Csm n. 1990 n. 41 pag. 127 e segg.

La sentenza é stata pertanto cassata e rinviata con il principio riportato nella massima sopra indicata.

La questione

Il fatto che i coefficienti di capitalizzazione di cui all'allegato al R.D. 1403/1922 fossero ormai superati, è questione ormai da tempo dibattuta ma inizialmente si era appuntata l'attenzione sullo scarto tra vita reale e vita lavorativa, non più valido dato il maggior prolungamento della vita rispetto ai dati utilizzati dal Regio Decreto, e quindi si è mano a mano ridotta la percentuale di scarto, a volte dal 20 al 15%, a volte al 10% fino ad eliminare tale criterio di adeguamento senza però considerare che, pur eliminando la differenza tra la durata della vita reale e quella della vita lavorativa, tuttavia rimanevano comunqueutilizzati i criteri ormai abbondantemente superati sia per quello che riguarda il cd. sconto sia per quello che riguarda il calcolo della capitalizzazione anticipata.

Le soluzioni giuridiche

L'argomento è stato egregiamente trattato dalla stessa Terza Sezione della Suprema Corte che con la sentenza Cass., n. 15738/2010 aveva ritenuto che fosse compito del giudice, che per liquidare il danno patrimoniale futuro utilizzi il criterio dalla capitalizzazione anticipata adottando i coefficienti della rendita di cui alle tabelle allegate al R.D. 9 ottobre 1922 n. 1403, adeguare il risultato ai mutati valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle, tenendo conto della maggior durata della vita media e della diminuzione del tasso di interesse legale sicché, al fine di evitare divergenze tra il calcolo tabellare e la realistica capitalizzazione della rendita, deve attualizzare il calcolo aggiornando il coefficiente di capitalizzazione oppure non applicare lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Oggi con la sentenza in commento la Corte di legittimità approfondisce e conclude il discorso sulla necessità di attualizzare il calcolo suggerendo a tal fine alcuni criteri da utilizzare.

Osservazioni

Il principio enunciato dalla Cassazione nella sentenza in commento, pur essendo condivisibile, tuttavia comporterà grosse difficoltà anche perché ne potrebbe conseguire, data l'assoluta incertezza di quale criterio sia preferibile, una possibile disparità di trattamento.

Infatti, se per esempio si prende in considerazione un reddito di € 30.000 di un quarantenne che a causa della lesione perda 1/3 del proprio reddito, applicando i coefficienti di capitalizzazione del 1922, avremo un danno pari ad € 163.180,01, ma se utilizzassimo quei coefficienti diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed indicati nella sentenza, avremmo un danno pari ad € 241.623,99, ancora differente qualora venisse utilizzato un coefficiente per la capitalizzazione di una rendita temporanea pari alla differenza tra l'età pensionabile e l'età della vittima al momento del sinistro perché il risultato porterebbe ad un valore di € 148.280 (M. Rossetti, Il danno alla salute, pag. 835, Padova, 2009).

Consegue che, pur essendo evidenti i problemi che l'applicazione degli antichi coefficienti delle tabelle di cui al R.D. del 1922 può comportare per l'integralità del risarcimento ai sensi dell'art. 1223 c.c., sarebbe tuttavia forse preferibile continuare ad utilizzarli, magari con dei correttivi di adeguamento piuttosto che lasciare alla discrezionalità delle parti e del giudice, l'utilizzazione di coefficienti di volta in volta diversi e come tali a rischio di costituire una disparità di trattamento.

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