Il principio dell’unitarietà del danno non patrimoniale e la riduzione della capacità lavorativa specifica

19 Novembre 2014

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello cosiddetto estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale.
Massima

App. Milano, sez. II civ., sent., 20 maggio 2014, n. 1846

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello cosiddetto estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale.

In tema di risarcimento del danno da invalidità personale, l'accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta automaticamente l'obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità di guadagno derivante dalla diminuzione della predetta capacità e, quindi, di produzione del reddito, occorrendo, invece, ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico.

Sintesi del fatto

Tizio, conducente di un motociclo, rimaneva coinvolto in un incidente stradale con un autoveicolo guidato da Caio. Tizio chiedeva quindi a quest'ultimo ed alla compagnia assicuratrice il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito. Il Tribunale condannava le parti convenute a pagare al ricorrente a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio una determinata somma. La pronuncia del giudice di prime cure veniva tuttavia appellata da Tizio che, ritenuto erroneo l'accertamento e la determinazione della responsabilità del sinistro, chiedeva affermarsi l'esclusiva responsabilità di Caio ed altresì la liquidazione del danno esistenziale patito.

La Corte d'appello, dopo aver chiarito che non era suscettibile di liquidazione autonoma il dedotto danno esistenziale, rigettava tra l'altro la domanda di Tizio avente ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica. Difatti, nonostante l'incidenza della stessa nella misura del 33 per cento, come accertato da C.T.U., Tizio non aveva fornito alcuna prova del fatto di avere mai svolto attività di autotrasportatore e per di più all'epoca del sinistro il medesimo conduceva un motociclo sottoposto a fermo amministrativo ed era altresì privo di patente di guida perché revocata dal prefetto.

In motivazione

« (…) poiché il danno biologico ha natura non patrimoniale, ed il danno non patrimoniale ha natura unitaria , è corretto l'operato del giudice di merito che liquidi il risarcimento del danno biologico in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili. (…) Attenendosi ai principi fissati dal Supremo Collegio, ritiene questa Corte di aderire alla cosiddetta liquidazione omnicomprensiva del danno, precisandosi che una valutazione complessiva del danno non patrimoniale ben può e deve operarsi nell'ambito del criterio unitario fissato dalle “tabelle”, operando una personalizzazione, nei limiti congruamente operati dal giudice di primo grado. (...)

Ancora in merito al risarcimento del danno “patrimoniale”, sub specie di danno da perdita reddituale, la sentenza ha respinto le domande del ricorrente, in quanto non supportate da idonea prova.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: accertato un danno non patrimoniale lo stesso è o meno da considerarsi una categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in varie sottocategorie? Di conseguenza, il riferimento a determinati pregiudizi alla persona in vario modo denominati, danno morale, danno biologico, danno esistenziale implica il riconoscimento di distinte categorie di danno?

E ancora, accertata una riduzione della capacità lavorativa specifica da parte del C.T.U. deve sempre essere riconosciuto il conseguente danno patrimoniale?

Le soluzioni giuridiche

La tematica del danno alla persona ha registrato, in tempi recenti, una compiuta sistemazione dalla quale risulta profondamente mutata la sua fisionomia. Per la soluzione delle questioni prospettate, pertanto, si impone una breve disamina circa la evoluzione storica della materia.

L'individuazione degli strumenti di riparazione del pregiudizio sofferto dalla persona è materia antica, ma che si presenta sempre in forme nuove. In questi ultimi anni, invero, l'ottica risarcitoria si è spostata sempre più dall'ambito patrimoniale a quello non patrimoniale, il centro dell'interesse e della tutela è divenuto l'individuo nelle sue manifestazioni del vivere quotidiano: sentimenti, stati d'animo, emozioni. Come ritenuto da un'autorevole dottrina le richieste di oggi, al giudice che valuta il danno alla persona e ne dispone il risarcimento, attengono a beni che non incidono direttamente sulla capacità di guadagno.

Il problema del risarcimento del danno non patrimoniale non era del tutto estraneo al modello risarcitorio classico, ma l'unico riferimento normativo, l'art. 2059 c.c. non forniva alcun supporto per individuare i contenuti che confluiscono all'interno di una simile definizione, limitandosi a dichiarare la risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi espressamente previsti dalla legge e all'epoca dell'emanazione del codice civile l'unica previsione espressa era racchiusa nell'art. 185 c.p., concernente il danno da reato.

Con l'avvento della Costituzione e, dunque, con l'emergere di un nuovo sistema di valori, in cui la persona umana è il bene primario che l'ordinamento giuridico deve prendere in considerazione e deve tutelare, muta la portata del concetto di danno patrimoniale e di danno non patrimoniale.

Furono sollevate, dunque, numerose questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. nella parte in cui limitava il danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge. La Corte Costituzionale con la pronuncia C. Cost. n. 184/1986 ha escluso la incostituzionalità della norma de qua ed ha prescelto come opzione ermeneutica quella di non demolire l'assetto del nostro codice civile, ma di reinterpretarlo alla luce del dato costituzionale. Con tale arresto giurisprudenziale si ammetteva al risarcimento il cosiddetto danno biologico, con il quale si dava rilevanza risarcitoria alla lesione della integrità psicofisica in sé considerata, indipendentemente dalle conseguenze patrimoniali o morali che ne siano derivate.

Successivamente alla nascita del danno biologico, la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla possibilità di risarcire altri pregiudizi non patrimoniali lesivi di beni essenzialmente inerenti alla personalità diversi dalla salute, ma ugualmente garantiti da norme costituzionali immediatamente percettive. In questo contesto nasce la figura del danno esistenziale, quale danno alla libera estrinsecazione della personalità.

La coesistenza del danno esistenziale e del danno morale determina un altissimo rischio di duplicazioni risarcitorie: infatti il turbamento emotivo incidente sulle scelte esistenziali, relazionali, affettive del leso è teoricamente idoneo ad integrare sia il danno morale che il danno esistenziale.

E, la Suprema Corte già nella sentenza Cass. civ., n. 8828/2003 aveva dimostrato di essere consapevole e di non sottovalutare la problematica del possibile rischio di duplicazione delle poste risarcitorie affermando che, nel caso di riconoscimento congiunto del danno morale soggettivo e di altro danno non patrimoniale il giudice dovrà considerare nel liquidare il primo la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta; in altri termini dovrà assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nelle famose quattro sentenze di San Martino, (Cass. S.U., 11 novembre 2008 n. 26972, 26973, 26974, 26975) avevano confermato integralmente l'impianto bipolare (danno patrimoniale, danno non patrimoniale) segnato dalle predette sentenze gemelle del 2003 (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass. civ., 8828/2003), sottolineando che il danno non patrimoniale era categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in altre sottocategorie. La nozione unitaria ed onnicomprensiva del danno biologico è stata di recente confermata dalla Suprema Corte, Cass. civ. sez. III, 16 maggio 2013 n. 11950.

Per quanto concerne invece la questione della riduzione della capacità lavorativa occorre preliminarmente distinguere tra capacità generica e specifica. La riduzione della capacità lavorativa generica va intesa come voce areddittuale poiché prescinde da qualsiasi contrazione del reddito e consiste nella potenziale ed astratta attitudine all'attività lavorativa da parte di qualsiasi soggetto, anche se al momento del sinistro questi non svolgeva alcuna attività produttiva di reddito, né era presumibilmente in procinto di svolgerla. La predetta riduzione viene quindi risarcita e conglobata dalla giurisprudenza nell'ambito del danno biologico, il quale ricomprende, al suo interno, tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato.

La riduzione della capacità lavorativa è un concetto che è comunque collegato alla produzione del reddito, in quanto il lavoro presuppone una retribuzione e la ridotta capacità lavorativa , sia generica che specifica, comporta, di regola, anche una riduzione della retribuzione, presente o futura con una conseguente diminuzione della capacità di produzione del reddito del soggetto danneggiato.

Quanto alla riduzione della capacità specifica la costante giurisprudenza l'ha collocata nell'ambito del danno patrimoniale e come tale soggetta al regime probatorio tipico di tutti i danni patrimoniali ed incombe sulla parte, ex art. 2697 e 1223 c.c. provarne i fatti costitutivi. Il termine “specifica” dovrebbe tenere presente l'attività lavorativa realmente svolta dal soggetto, rapportata al reddito da essa prodotta. Si tratta quindi di un duplice accertamento di tipo medico-legale e strettamente giudiziario: il medico può solo valutare se gli esiti residuati sul paziente o parti di essi sono tali, per il pregiudizio anatomico, funzionale o estetico che essi determinano, da incidere negativamente sulla possibilità di svolgere con adeguata continuità e rendimento l'attività svolta al momento del sinistro; spetta invece al giudice, attraverso la raccolta di prove adeguate, stabilire se tale impedimento psicofisico nella circostanza concreta ha determinato un danno patrimoniale risarcibile. Spetta quindi all'ambito giudiziario la valutazione delle prove relative alla perdita della capacità produttiva, prove il cui onere incombe ovviamente sul danneggiato, indispensabili per il provvedimento giudiziario e che mancano al C.T.U. al momento dell'espletamento della consulenza tecnica. Entrando nel merito della incapacità specifica, se da una parte le lesioni “micropermanenti” difficilmente possono essere considerate base lesivo menomativa sufficiente a presupporre una ripercussione sulla attività lavorativa specifica, dall'altra le grandi invalidità non generano problemi valutativi soprattutto se si associano alla perdita anche totale e definitiva della capacità a produrre reddito sia nell'occupazione attuale sia in altre a questa assimilabili. Esiste poi un'ampia fascia grigia in cui è agevole dare delle indicazioni sulla specifica solamente in quei casi limite assurti a paradigmi emblematici, quali ad esempio la lesione della muscolatura mimica nel suonatore di saxofono. Anche in questi casi al medico legale non spetterà che indicare il grave pregiudizio della menomazione sulle attitudini lavorative del soggetto la cui stima invece spetterà all'ambito giudiziario. E, nel caso che qui ci occupa, il C.T.U. individua una riduzione della capacità lavorativa specifica del 33 per cento, in relazione ad una dedotta attività di autotrasportatore, danno che tuttavia non viene riconosciuto dal giudice non essendo stata corroborato da idonea prova da parte del danneggiato di una effettiva riduzione reddituale conseguente al sinistro.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Il danno esistenziale si era affermato come categoria autonoma solo recentemente, quando, cioè, era uscito dal confine esclusivamente dottrinale per trovare posto nella prassi applicativa e nelle pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità. Esso costituiva il punto di arrivo di una elaborazione storica che anche e soprattutto sulla spinta derivante dalla necessità di armonizzare il nostro ordinamento in relazione ai nuovi valori introdotti dalla Carta Costituzionale, aveva spinto gli interpreti a superare la eccessiva rigidità che discendeva dalla tradizionale riduzione, in materia di danno, alle due tipologie del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale inteso come danno morale.

Se rispetto al danno patrimoniale – inteso sia come lesione di beni materiali tout court sia come impedimento alle attività economiche svolte dal danneggiato – la differenza era piuttosto evidente, attesa la diversità dei beni che vengono lesi dalla condotta del soggetto agente, maggiori erano le analogie fra il danno esistenziale e il danno biologico, il quale, secondo la maggior parte della dottrina, altro non era che un danno esistenziale o, per meglio dire, un sotto-tipo o un emisfero di quest'ultimo, tant'è che in entrambi i casi le ripercussioni attenevano al piano della qualità della vita.

E difatti i giudici di legittimità di recente con sentenza n. 11950, Cass. civ., 16 maggio 2013, n. 11950, riportandosi ad una precedente decisione delle proprie Sezioni Unite, sentenza,Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972 hanno affermato che bisogna escludere l'esistenza di una categoria autonoma di danno esistenziale ed è ormai pacificamente sancito il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale, quale categoria omnicomprensiva che include anche il danno biologico ed il danno da reato. I giudici della terza sezione civile della Corte di Cassazione hanno ribadito il principio in base al quale il danno alla salute, c.d. danno biologico, non è frazionabile in danno estetico e danno alla vita di relazione, ma va considerato unitariamente. Ed è quanto emerge e viene ribadito dai giudici milanesi dell'impugnazione nella sentenza che qui ci occupa.

Sul versante probatorio le Sezioni Unite del 2008 hanno poi chiarito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili, costituisce danno-conseguenza, la cui esistenza (ai fini dell'an debeatur) deve essere allegata e provata dal danneggiato secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c.. E' stata quindi definitivamente disattesa la tesi enunciata da C. Cost. n. 184/1986 che identificava il danno con l'evento dannoso, cosiddetto danno-evento. In altri termini, nella struttura dell'illecito aquiliano il danno (sia esso patrimoniale che non patrimoniale) non si identifica con l'evento illecito ma è una conseguenza dello stesso cioè pregiudizio subito dal danneggiato alla cui riparazione si provvede per equivalente se non è richiesta o non è possibile come per il danno non patrimoniale la reintegrazione in forma specifica.

Parimenti, le stesse Sezioni Unite hanno respinto la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, poiché questa tesi snatura la funzione del risarcimento che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. In realtà il dibattito sulla unitarietà del danno non patrimoniale, finalizzata ad evitare una duplicazione delle poste risarcitorie, non può essere risolto con formule astratte, ma occorre verificare, di volta in volta, il pregiudizio concreto che ogni singola voce è volta a ristorare. Per converso, la liquidazione formalmente unitaria e onnicomprensiva è corretta purché il giudice specifichi in motivazione quali danni o pregiudizi vengano con essa risarciti.

E, da ultimo, con riguardo alla questione riguardante la riduzione specifica della capacità lavorativa, è da rilevare come il danno patrimoniale deve essere necessariamente provato. Il solo fatto di aver riportato una lesione alla salute non implica di per sé una automatica diminuzione della capacità di guadagno. In altri termini, in presenza di una lesione della salute, non si ritiene automaticamente ridotta anche la capacità di produrre reddito. In assenza di prova, la vittima non può ottenere il risarcimento del danno patrimoniale ed è facile supporre che col tempo l'onere della prova del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica diverrà sempre più rigoroso.

Riferimenti bibliografici

F. Buzzi, M. Tavani, M. Valdini, Il danno alla persona da compromissione della capacità lavorativa, Giuffré 2008, 107.

V. Cardone, F. Verri, Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno, Giuffré 2003, 372.

M. J. Fontanella, Il risarcimento del danno alla persona, in Iustitia 2003, 4, 563-576.

M. Tampieri, Immissioni intollerabili e danno alla persona, Giuffré 2006, 7.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario