Responsabilità professionale dell'avvocato per omessa impugnazione e nesso eziologico fra inadempimento e danno

Ombretta Salvetti
20 Dicembre 2016

Se l'attività professionale prestata dal legale a favore del cliente è risultata priva di qualsiasi utilità, l'avvocato non ha diritto a riconoscimento economico per le proprie prestazioni.
Massima

Il professionista legale incaricato di presentare un'istanza di ammissione al passivo di un fallimento per il recupero di un credito è inadempiente nei confronti del cliente per incompleta informazione in ordine alle modalità ed ai termini per impugnare il provvedimento di rigetto dell'istanza, ma non è tenuto ai danni se l'attore danneggiato non dimostra il messo eziologico fra l'inadempimento al mandato difensivo e l'impossibilità di recuperare il suo credito.

Se l'attività professionale prestata dal legale a favore del cliente è risultata priva di qualsiasi utilità, l'avvocato non ha diritto a riconoscimento economico alcuno per le proprie prestazioni.

Il Caso

Il sig. G.V. ha conferito incarico all'avvocato M. di predisporre e depositare presso il Tribunale di Roma l'istanza di ammissione al passivo di una società per il proprio credito verso la stessa per provvigioni, indennità sostitutiva del preavviso, indennità di fine rapporto ed indennità sostitutiva di clientela per complessivi € 28.556,25 . L'istanza predisposta dal legale è stata respinta dal G.D. con provvedimento comunicato il 16 maggio 2011, quindi il cliente ha incaricato il suo avvocato di predisporre ricorso ai sensi dell'art. 98 l. fall. avverso il provvedimento di rigetto, senza essere informato esattamente sulla data di scadenza del termine per presentare l'opposizione, dapprima indicatagli, genericamente, in trenta giorni, poi tardivamente specificata, erroneamente, nel 16 giugno. In data 15 giugno il cliente ha contattato telefonicamente il legale, ancora in attesa di autorizzazione del cliente a predisporre il ricorso, ma ha appreso che il termine era scaduto quel giorno. Il legale ha ammesso l'errore con il cliente. Il sig. G.V. ha così convenuto in giudizio presso il Tribunale di Verona l'avvocato M. chiedendo l'accertamento del suo inadempimento ai propri doveri professionali e la sua condanna al risarcimento dei danni, affermando che, visionando il progetto di riparto dell'attivo del fallimento, considerevole, risultava che se il provvedimento di diniego della propria insinuazione al passivo fosse stato impugnato, il creditore avrebbe recuperato in toto il proprio credito.

Il professionista convenuto ha ammesso l'errore sul calcolo del termine per l'opposizione al decreto esecutivo dello stato passivo, ma ha contestato i presupposti del risarcimento dei danni a favore dell'attore ed ha svolto domanda riconvenzionale per il pagamento delle proprie competenze per l'assistenza professionale al cliente.

La Questione

Le questioni giuridiche affrontate dalla sentenza del Tribunale di Verona sono le seguenti:

a)l'omessa o inesatta informativa al cliente, da parte del suo avvocato, sul termine entro cui proporre impugnazione avverso il provvedimento che ha definito il grado di giudizio limitatamente al quale ha ricevuto il mandato difensivo costituisce inadempimento?

b)l'accertamento dell'inadempimento sul piano informativo e della sopravvenuta decadenza dell'impugnazione sono sufficienti per la condanna del professionista al risarcimento dei danni a favore del cliente?

c)in caso di accertato inadempimento è dovuto il compenso per l'attività professionale già svolta a favore del cliente?

Le soluzioni giuridiche

a) Mandato difensivo e doveri informativi del legale.

Il Tribunale di Verona ha affermato che anche quando il mandato difensivo sia limitato ad un grado di giudizio (nel caso in esame si trattava dell'incarico di proporre domanda di ammissione al passivo fallimentare di un credito per prestazioni lavorative) incombe sul professionista l'onere di informare compiutamente il cliente circa le modalità ed i termini, compreso il dies ad quem, per proporre l'eventuale impugnazione avverso il provvedimento decisorio che ha definito quel grado, in considerazione dell'impossibilità, per il cliente, privo di nozioni tecniche, di effettuarsi i calcoli corretti da solo, ed è dunque inadempiente in caso di lacunosa informazione.

b)Inadempimento e nesso causale con il danno-onere della prova.

L'accertamento positivo dell'inadempimento, secondo la sentenza in esame, non è sufficiente ad integrare il presupposto per la condanna dell'avvocato al risarcimento dei danni a favore del cliente che ha perduto la possibilità di recuperare il credito per cui intendeva insinuarsi al passivo, se il danneggiato non dimostra il nesso eziologico fra l'inadempimento del suo legale al mandato difensivo e l'impossibilità di ottenere il risultato atteso dall'insinuazione. L'attore, nel caso de quo, non ha allegato né provato gli elementi di fatto e di diritto che , qualora fosse stata predisposta e tempestivamente depositata l'opposizione ex art. 98 l. fall., avrebbero fondato il suo diritto all'accoglimento della stessa, dunque non ha provato che l'omessa impugnazione abbia costituito la causa della perdita del proprio credito, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

(Orientamento costante- cfr. Cass. civ., 2 febbraio 2016 n. 1984, Cass. civ., 24 maggio 2016 n. 10698, Cass. civ., 8 novembre 2016 n. 22606)

c)Inadempimento e diritto alla controprestazione patrimoniale del cliente.

Non essendo stata la prestazione professionale di alcuna utilità per il cliente, nulla è dovuto a titolo di compenso professionale a favore del cliente che ha eccepito l'inadempimento.

Osservazioni

Al legale convenuto in un giudizio civile di responsabilità viene rimproverata la mancata diligenza nell'esecuzione della propria prestazione professionale, in violazione dell'art. 1176, comma 2, c.c. e/o di specifiche regole deontologiche, ovvero la colpa che si articola, non difformemente che per gli altri professionisti soggetti ad azioni risarcitorie, primi fra tutti i bersagliatissimi medici, in negligenza, imprudenza o imperizia, qui integrata dall'omessa informazione circa la disciplina ed il termine per l'opposizione di cui all'art. 98 l. fall. e dall'omessa impugnazione tempestiva.

Per molti versi la copiosa giurisprudenza formatasi in tema di responsabilità medica può essere estesa anche al campo legale, specialmente la giurisprudenza della S.C. in tema di nesso causale negli illeciti omissivi e di elemento psicologico, ma, in realtà, la valutazione processuale della responsabilità di un avvocato si presenta per il Giudice civile più complessa, in quanto chi giudica si trova completamente da solo nell'effettuare il giudizio prognostico controfattuale necessario onde valutare che cosa sarebbe successo qualora il legale convenuto non avesse commesso l'errore allegato dal cliente. Mentre in campo medico, edilizio, tributario ecc, il Giudice è usualmente assistito dalla valutazione tecnica di un perito che risolve il quesito tecnico circa il rapporto causa-effetto fra errore e danno ed il danno stesso risulta oggettivamente percepibile, in quanto consiste nel peggioramento della salute, morte, sanzioni fiscali ecc., nei giudizi civili di danno contro avvocati il Giudice si ritrova a dover valutare da solo le ragioni del mancato conseguimento da parte del cliente dell'utile sperato allorché ha intentato l'azione che allega perduta a causa dell'errore professionale del suo legale ed il danno è di complesso accertamento.

Il Giudice deve così entrare nel merito della prima causa e formulare un giudizio prognostico probabilistico circa il verosimile diverso esito della causa stessa, vagliando le ragioni sostanziali delle parti, le norme e la giurisprudenza vigenti all'epoca della pendenza di quella lite, il contenuto degli atti processuali e le prove raccolte in quel processo, comportandosi, di fatto come un Giudice dell'impugnazione e ciò, indipendentemente dal fatto che l'attore abbia previamente esperito tutti i mezzi di gravame previsti dall'ordinamento in relazione alla causa persa.

Il contratto di assistenza legale presenta, in secondo luogo, aspetti peculiari: com'è noto, esso, tradizionalmente, è sempre stato considerato come il classico contratto caratterizzato da obbligazione “di mezzi” (cfr. Cass. civ., Sez. III, 20 maggio 2015 n. 10289), dal momento che il legale si impegna a fornire al cliente il proprio bagaglio culturale, i mezzi di cui dispone e la propria opera, ma generalmente non può garantire il fausto risultato della prestazione, che dipende anche da fattori esterni, quali la condotta della controparte, le opzioni interpretative seguite dal Giudice, l'evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Ancor oggi, e fatti salvi i casi in cui l'avvocato, nei colloqui informativi, garantisca in assoluto al cliente la vittoria, così trasformando la propria obbligazione in obbligazione “di risultato” la qualificazione della prestazione come “di mezzi” appare corretta, ma merita qualche riflessione.

Nell'ambito delle varie prestazioni con cui viene attuato il patrocinio legale, sono ravvisabili diversi adempimenti, in parte discrezionali e dipendenti dall'autonomia decisionale del professionista (ad es. la scelta della tattica difensiva, il contenuto delle proprie difese, le modalità di conduzione dell'esame di un teste in dibattimento ) che possono prestarsi a critiche di merito e valutazioni a loro volta discrezionali, in parte, invece, talmente automatici e vincolati da costituire di per sé un'obbligazione di risultato, quali, ad esempio, quello oggetto della sentenza del Tribunale di Verona, ovvero la mancata presentazione in termini dell'opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo, così come, in generale, l'omessa impugnazione di una sentenza in termini.

Si tratta, cioè, di tutti quegli atti di impulso stragiudiziale o processuale sottoposti a termini di decadenza perentori , superati i quali l'atto diventa inammissibile ovvero inutile.

Questi ultimi incombenti ineriscono senz'altro ad obblighi “di risultato” il cui mancato adempimento costituisce di per sé negligenza inescusabile, senza che possa invocarsi nemmeno l'art. 2236 c.c., inapplicabile, ormai per costante giurisprudenza elaborata in campo medico, ma senz'altro valida anche per quello legale, alla colpa per imprudenza o negligenza (cfr. Trib. Milano, 24 dicembre 2005, Trib. Bari, Sez. III, 21 novembre 2011 n. 273), Cass. civ., Sez. III, 10 marzo 2014 n. 5506, Cass. civ., Sez. III, 13 marzo 2007 n. 5846).

E, quand'anche si ritenessero questi errori come afferenti alla categoria dell'imperizia (potendosi ipotizzare, ad es. che l'avvocato non sappia che in quella certa materia vi è un dato termine perentorio o bisogna svolgere quel dato incombente), sicuramente non potrà parlarsi di un “problema tecnico di speciale difficoltà” , con conseguente responsabilità del professionista anche per colpa lieve, non operando l'art. 2236 c.c. (Cass. civ., Sez. II, 23 aprile 2002 n. 5928)

Si può, pertanto, affermare che l'obbligazione propria del contratto di prestazione d'opera professionale di natura legale abbia carattere “misto”, con conseguente necessità in giudizio di focalizzare la natura dell'errore e di orientare diversamente l'istruttoria, a seconda dei casi, anche in dipendenza del diverso onere della prova: mentre infatti, qualora si lamenti un errore nel merito delle difese, pare potersi affermare che, trattandosi dell'obbligazione di “mezzi” inerente alla prestazione principale complessa relativa alla difesa discrezionale, compete all'attore allegare e provare natura ed effetti dell'errore sulle sorti del processo e l'avvocato si limiterà a dar prova delle condotte difensive seguite, qualora invece si tratti dell'inadempimento ad un'obbligazione di risultato, quale , appunto, un'omissione materiale, con violazione dell'obbligazione (accessoria) di risultato, si applica puramente e semplicemente l'art. 1218 c.c. e dunque competerà all'avvocato inadempiente di dimostrare l'impossibilità della prestazione per fatto a sé non imputabile, eventualmente dipendente anche da fatto del cliente.

Ma il giudizio civile di responsabilità professionale non può e non deve fermarsi all'accertamento dell'errore dell'avvocato, poiché non sempre tale errore, quand'anche accertato può essere considerato la causa della perdita dell'utilità che il cliente si aspettava dal processo per cui aveva conferito il mandato difensivo a quel legale. Al fine di accogliere la domanda risarcitoria, in fatti, il Giudice è chiamato ad effettuare delle ulteriori valutazioni ulteriori di merito, assai più delicate, in quanto non è detto che qualora il legale non avesse commesso l'errore, l'esito della causa dal medesimo patrocinata sarebbe stato diverso e più favorevole all'assistito.

La responsabilità professionale dell'avvocato presuppone, infatti, secondo il costante e granitico orientamento della Cassazione, anche la prova del danno e del nesso causale fra condotta del professionista e pregiudizio del cliente e richiede una valutazione prognostica positiva circa la probabilità dell'esito favorevole dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita, secondo un criterio probabilistico (cfr. ex multis, Cass. civ., 18 luglio 2016 n. 14644 e Cass. civ., 8 novembre 2016 n. 22606). Anzi, a volte, qualora la posizione del cliente fosse perdente, l'eventuale proposizione dell'impugnazione mancata potrebbe configurarsi come fonte di un ulteriore danno patrimoniale da accumulo delle spese di lite.

Il reale oggetto dell'accertamento giudiziale del nesso eziologico fra l'inadempimento dell'avvocato ed il danno conseguente alla soccombenza si risolve, in definitiva, nell'accertamento del grado di probabilità di successo della vertenza, qualora gestita a regola d'arte. È dunque una questione di “chance”.

La decisione è del tutto aleatoria e non facile , anche perché difficilmente supportata dall'istruttoria, che, in genere, riguarda esclusivamente gli aspetti tecnici dell'inadempimento .

Gli esiti della valutazione processuale possono essere i seguenti :

1) il Giudice ritiene che, anche se l'avvocato non avesse commesso quell'errore, la controversia avrebbe sortito con certezza esito ugualmente negativo in quanto in ogni caso totalmente infondata in fatto o in diritto ovvero l'impugnazione non spiegata non avrebbe comunque modificato la statuizione di grado precedente: in questo caso l'attore perde la causa e dovrebbe essere condannato alle spese;

2) il Giudice ritiene che , senza l'errore, il processo sarebbe certamente stato favorevole, cosicché l'errore dell'avvocato costituisce la causa diretta ed immediata dell'esito invece negativo e dunque del danno che verrà liquidato a carico del convenuto per intero, con riferimento, appunto, all'equivalente economico delle utilità che l'attore si aspettava da quel processo più, qualora richiesto, il danno emergente costituito da tutte le spese successive rese necessarie per effetto della soccombenza, a cominciare dalle spese legali rimborsate alla controparte vittoriosa, qualora nella prima sentenza fosse pure stata pronunciata la condanna alle spese; qualora richiesta anche la risoluzione del contratto di assistenza legale e la restituzione del compenso versato, se ne dovrà il rimborso, valutata la gravità dell'inadempimento ex art. 1455 c.c.;

3) Il giudizio probabilistico controfattuale non perviene ad un risultato tondo, stante la difficoltà delle questioni trattate o lacune probatorie, cosicché il Giudice arriva alla valutazione, qualora l'avvocato non avesse sbagliato, non della certezza della vittoria della lite, ma all'indicazione di una ragionevole elevata probabilità di vittoria, quantificata in percentuale. L'accertamento del nesso causale si risolve dunque nel calcolo matematico di una percentuale statistica di vittoria, applicata poi nella liquidazione del danno.

Da quanto è dato comprendere dalla motivazione della sentenza del Tribunale di Verona, il cliente danneggiato, attore nel processo di responsabilità, non aveva nemmeno allegato, in questo caso, quali fossero le ragioni per cui la sua domanda di insinuazione allo stato passivo era stata rigettata e quali fossero gli argomenti fattuali e giuridici che avrebbero potuto essere inseriti nell'atto di opposizione al fine di capovolgere tale decisione, lacuna difensiva a cui è derivata la mancata prova del nesso eziologico fra inadempimento da omessa impugnazione e perdita dell'utilità dell'azione e, di conseguenza, il rigetto della domanda risarcitoria verso il legale convenuto.

Per quanto riguarda, invece, l'inadempimento ed il diritto del cliente ad ottenere l'eventuale risoluzione del contratto e la restituzione del compenso versato ovvero il diritto a non versarlo ex art. 1460 c.c., si pone il problema della qualificazione giuridica della domanda di restituzione del compenso prestato al legale inadempiente.

Il costo costituito dal pagamento degli onorari, così come delle competenze mediche o delle spese dentistiche, non costituisce, infatti, tecnicamente, un danno, ma trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive, deve essere inquadrato nella nozione di corrispettivo della prestazione di assistenza legale dell'avvocato, la cui restituzione, in caso di inadempimento del legale alla propria prestazione dipende dal fruttuoso esperimento dell'azione ex art. 1453 c.c., anche perché, se si ritiene che la prestazione professionale, costituisca obbligazione di mezzi (cfr., ad es., Cass. civ., 10 giugno 2016 n. 11906), ne discende la conseguenza che, in ogni caso ed a prescindere dall'esito della lite, il cliente è generalmente tenuto a remunerare il suo avvocato.

La domanda di risoluzione del contratto di prestazione d'opera professionale e di conseguente restituzione del compenso, non viene, tuttavia, quasi mai enunciata espressamente negli atti di citazione per responsabilità civile professionale, laddove, costantemente, i legali omettono di chiedere la risoluzione ed inseriscono tranquillamente la richiesta di restituzione del compenso versato al professionista negligente fra le voci risarcitorie di danno.

La distinzione è invece ben nota agli assicuratori, come si può evincere dal tenore delle clausole delle polizze professionali a garanzia della r.c. dei professionisti , ed anche la giurisprudenza riconosce che il rischio assicurato deve intendersi come il danno che il professionista può cagionare a terzi o al proprio cliente per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività forense o ad essa connessi, e che, pertanto, l'obbligazione restitutoria del compenso percepito conseguente all'accertamento dell'inadempimento, non è da ritenersi coperta dall'assicurazione professionale dell'avvocato (cfr. Cass. civ, Sez. I, 31 agosto 2015 n. 17346).

Il Tribunale di Verona, in questo caso, a fronte della domanda di pagamento del compenso (si suppone delle competenze inerenti alle prestazioni professionali aventi ad oggetto la presentazione dell'istanza di insinuazione allo stato passivo), e dell'eccezione di inadempimento del cliente, ha accolto l'eccezione, valutando che nessun compenso fosse dovuto per un'attività rivelatasi assolutamente inutile per il cliente, formulando un giudizio automatico di coincidenza dell'inadempimento assoluto da mancata proposizione dell'impugnazione avverso il provvedimento del G.D. del fallimento di diniego della precedente istanza coltivata, provvedimento questo di cui, tuttavia, non si conoscono le motivazioni, ed inutilità della prestazione.

La decisione è in linea, formalmente, con un non recentissimo orientamento della S.C. che ammonisce, tuttavia, a non equiparare in senso assoluto la mancata impugnazione del provvedimento definitorio di un grado con la mancata considerazione del merito dell'attività difensionale compiuta nell'ambito del precedente grado di giudizio, richiedendosi l'ulteriore passaggio motivazionale esplicativo circa l'inutilità della prestazione derivata dal successivo mancato esperimento del diritto impugnatorio. (Cass. civ., 26 febbraio 2013 n. 4781).

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