Buca stradale: nessun risarcimento se la caduta è determinata da imprudenza del danneggiato

29 Dicembre 2016

Se scendendo dall'auto una persona cade a causa di una buca sul manto stradale è responsabile il Comune per le lesioni riportate a seguito della caduta?
Massima

La ricostruzione è avvenuta nel contraddittorio delle parti, iuxta allegata et probata, e dunque non può venire in questione il principio dell'onere probatorio, ma il diverso principio inerente alla imputabilità soggettiva per colpa del convenuto Comune ed al correlativo principio relativo alla condotta imprudente della donna che scivola, pur abitando a pochi passi e non si avvede della insidia per la scarsa illuminazione.

Il caso

Mevia nei pressi della propria abitazione scendeva dall'auto del marito e cadeva a causa di una buca situata sul manto stradale, coperta d'acqua e scarsamente visibile, data l'ora notturna. Nella caduta la donna riportava lesioni e, pertanto, conveniva in giudizio avanti il Giudice di Pace il Comune per chiederne il risarcimento dei danni patiti. In primo grado la domanda di Mevia veniva accolta, mentre, in appello, il Tribunale di Catanzaro riformava la sentenza del giudice di prime cure in favore del Comune. In particolare, il giudice calabrese, premesso che la causa petendi andava ricondotta nell'ambito dell'art. 2043 c.c. e che sul punto valeva un giudicato interno, riesaminate analiticamente le prove, riteneva che l'evento lesivo fosse imputabile alla condotta imprudente della donna che ben conosceva lo stato dei luoghi, avendo l'abitazione a circa quaranta metri di distanza, mentre non era stata data la prova della non visibilità della insidia né della persistenza della mancata manutenzione della strada. Avverso quest'ultima decisione Mevia ricorreva in cassazione facendo valere due motivi di censura. Nel primo gravame, la ricorrente deduceva l'error in iudicando per la violazione dell'art. 2043 c.c. sul rilievo che il Tribunale non aveva considerato che la medesima aveva dato avanti al Giudice di Pace la prova della situazione reale costituente pericolo occulto, costituito dalla buca non visibile, onde non le si poteva porre a carico nessuna imprudenza. Nel secondo motivo, invece, la ricorrente lamentava il vizio di motivazione su un punto decisivo nel quale il Tribunale, valutate le prove, concludeva che non sussisteva la prova del nesso causale tra l'insidia e l'evento, anche con riferimento alla visibilità ed alla non prevedibilità. Gli Ermellini, tuttavia, respingono in toto il ricorso precisando che la caduta a causa della buca situata sul manto stradale è addebitabile esclusivamente alla condotta imprudente di Mevia che scivola, pur abitando a pochi passi, non avvedendosi dell'insidia per la scarsa illuminazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: se scendendo dall'auto una persona cade a causa di una buca sul manto stradale, coperta d'acqua e scarsamente visibile data l'ora notturna, per le lesioni riportate a seguito della caduta è responsabile il Comune?

Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento si inserisce in quella che è stata e continua ad essere una vexata quaestio, ossia se la responsabilità della Pubblica Amministrazione, nella specie di un Comune, per i danni provocati da buche presenti sulle strade possa essere invocata soltanto in forza dell'art. 2043 c.c. ovvero ex art. 2051 c.c.. Se non sussistono dubbi in ordine al configurarsi di una responsabilità dell'ente per omessa o cattiva manutenzione di strade, a tutt'oggi, costituisce oggetto di acceso dibattito tra gli studiosi e motivo di contrasto in sede pretoria, l'inquadramento della stessa nell'ambito della generale clausola di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., ovvero entro lo schema della responsabilità da cose in custodia prevista dall'art. 2051 c.c., che in materia di viabilità pubblica appunto vengono in rilievo.

Nella specie, tuttavia, come ben precisato dal giudice di appello, la causa petendi deve essere ricondotta esclusivamente nell'ambito della responsabilità aquiliana. Perciò la parte lesa che cade a causa di una buca sul manto stradale ed agisce, indicando come referente normativo della responsabilità della pubblica amministrazione esclusivamente la norma generale di cui all'art. 2043 c.c., per risultare vittoriosa, deve provare, oltre al fatto storico, tutti gli elementi costitutivi dell'illecito, ossia il danno ingiusto, il nesso di causalità e l'imputabilità soggettiva del danno o del fatto dannoso al responsabile. E, con specifico riguardo al requisito della colpa, in materia di responsabilità per cattiva manutenzione delle strade pubbliche, la giurisprudenza ha elaborato un criterio di giudizio semplificato, che tiene conto dei particolari rapporti, di fatto, intercorrenti tra l'ente gestore, l'utente ed il demanio stradale, fondato sulla nozione di insidia o trabocchetto.

Nella categoria dell'insidia stradale la giurisprudenza suole ricondurre tutte quelle situazioni di pericolo su strada caratterizzate da due requisiti specifici: l'uno soggettivo, l'imprevedibilità, l'altro oggettivo, l'inevitabilità. Quale figura sintomatica dell'attività colposa dell'amministrazione, è stata assunta, quindi, ad indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della pubblica amministrazione e ricondotta ad elemento costitutivo dell'illecito aquiliano perpetrato dalla medesima. Ne è disceso, come logico corollario, che, trattandosi di un tassello della struttura costitutiva dell'illecito in esame, essa è stata accollata al danneggiato sul piano probatorio ai sensi dell'art. 2697 c.c..

Dunque, il cittadino che cade in una buca stradale deve provare il fatto storico, la circostanza che il danno è stato causato dalla buca, ma anche che la buca rappresenta la cosiddetta insidia o trabocchetto, ovvero un pericolo occulto non prevedibile con l'ordinaria diligenza. Tale impostazione, sebbene alleggerisca il carico probatorio gravante sull'attore, non esime quest'ultimo dall'onere di provare la pericolosità dell'insidia, con la conseguenza che per i beni custoditi dalla pubblica amministrazione, a differenza di quanto accade per i privati, si assiste ad un ingiustificato vantaggio processuale. La circostanza che l'inerzia colposa della pubblica amministrazione, atta a creare o a non rimuovere situazioni di pericolo, sia causa di responsabilità della stessa, solo in presenza di una situazione di pericolo insidioso, ha determinato la proposizione di molteplici questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c.. Tuttavia la figura di creazione giurisprudenziale dell'insidia ha superato indenne il vaglio di costituzionalità da parte della Consulta. Nella nota sentenza della Corte Costituzionale (C. Cost., n. 156 del 1999) nessuna rivisitazione ha, difatti, investito la ricostruzione dell'elemento soggettivo nell'organigramma dell'illecito aquiliano e, dunque, l'onere probatorio addossato al danneggiato agente in sede giudiziaria.

Sotto tale profilo, anzi, il giudice delle leggi ha rimarcato che la pubblica amministrazione è responsabile nei confronti dei privati per difetto di manutenzione delle strade, allorquando, non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell'integrità personale e patrimoniale dei terzi, in violazione del principio fondamentale del neminem laedere, a tale stregua venendo a superare il limite esterno della propria discrezionalità, con conseguente sua sottoposizione al regime generale di responsabilità dettato dall'art. 2043 c.c.. E, nella nozione di insidia stradale essa ha ravvisato in quell'occasione una figura sintomatica di colpa, frutto dell'elaborazione giurisprudenziale mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, col preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio.

Pertanto, l'ente pubblico può, al pari di qualsiasi altra pubblica amministrazione, essere ritenuto responsabile per i fatti dolosi o colposi che cagionino ai terzi un danno ingiusto ex art. 2043 c.c. (v. Cass.civ., Sez. Un., sent., 6 dicembre 1988, n. 6635). A tale ultimo fine si richiede perciò che i danni siano stati cagionati da una situazione di pericolo occulto caratterizzato congiuntamente dall'elemento oggettivo della non visibilità e da quello soggettivo dell'imprevedibilità dell'insidia da intendersi come una sorta di figura sintomatica della colpa della pubblica amministrazione.

In particolare, l'elemento della prevedibilità sarebbe integrato, in relazione ad ogni singolo caso, da una serie di elementi di fatto, che agiscono sulla psiche dell'utente e, opportunamente elaborati, fanno sorgere nello stesso la rappresentazione di un possibile imminente pericolo e gli consigliano di procedere impiegando il massimo della prudenza e dell'attenzione.

Per quanto concerne l'elemento della visibilità, invece, si ritiene non sufficiente l'accertamento dell'astratta possibilità meccanica di una tempestiva percezione del pericolo, dovendosi considerare che lo stato soggettivo, in cui legittimamente versa, può incidere in misura determinante su tale elemento obiettivo, ritardando il momento dell'avvistamento.

I predetti requisiti, influenzandosi reciprocamente, devono concorrere in stretta connessione all'accertamento della figura che viene generalmente definita insidia stradale. L'obbligo per l'ente di assicurare la normale visibilità del pericolo sulla strada e l'eventuale accertamento di detta condizione non implicano alcuna questione di discrezionalità, in quanto configurano un apprezzamento puramente tecnico, per cui, accertato il nesso causale fra l'azione omissiva e il danno, appare evidente la condotta antigiuridica dell'amministrazione con la conseguente responsabilità. L'autorità giudiziaria ordinaria, infatti, mentre non può svolgere alcuna indagine per la ricerca della colpa nell'ambito dell'attività discrezionale dell'amministrazione – cioè del potere che questa ha di apprezzare liberamente l'interesse pubblico, i pubblici bisogni e la idoneità dei mezzi da scegliere per il loro soddisfacimento – ben può invece sindacare se i mezzi scelti siano adeguatamente realizzati o se, per negligenza o imperizia, la loro esecuzione sia stata difettosa e non a regola d'arte.

Pertanto, (v. Cass. civ., Sez. III, sent., 5 agosto 2010, n. 18204), in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della p.a., qualora non sia applicabile o non sia invocata la tutela offerta dall'art. 2051 c.c., l'ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall'utente secondo la regola generale dell'art. 2043 c.c., norma che non limita affatto la responsabilità della p.a. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un'insidia. Secondo i principi che governano l'illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l'onere della prova dell'anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo – in linea di principio – a configurare il comportamento colposo della p.a., mentre incomberà su questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l'utente si sia trovato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l'impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo. E' quindi onere del danneggiato provare che, soprattutto se a conoscenza dello stato dei luoghi, ha prestato la dovuta attenzione nell'uso della strada, nelle particolari condizioni di tempo – ora notturna - in cui è avvenuto l'infortunio, in applicazione del principio secondo cui la cosa intrinsecamente pericolosa assume tanto minore efficienza causale dell'evento quanto più il possibile pericolo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato (v. Cass. civ., Sez. III , sent., 14 febbraio 2013 n. 3662). I danni da caduta sono originati da incidenti a prevenzione bilaterale in cui sia danneggiati che vittime devono adottare opportune misure preventive idonee a diminuire i rischi di incidenti, i cosiddetti comparative negligence.

In conclusione, ai fini della risoluzione della prospettata quaestio, non può quindi trovare accoglimento la richiesta di risarcimento dei danni avanzata nei confronti del Comune da parte di colui che, per condotta imprudente, scivola su di una buca vicino casa e non si avvede dell'insidia per la scarsa illuminazione della strada.

Osservazioni

La giurisprudenza già nei primi anni del secolo scorso iniziò ad affermare il principio della responsabilità della pubblica amministrazione conseguente alla violazione colposa delle regole di prudenza e di esperienza nell'ambito dell'attività amministrativa, fissando il limite oltre il quale la discrezionalità doveva arrestarsi, e sostenendo la rilevanza sul piano civilistico della inosservanza delle regole di prudenza, perizia e diligenza anche con riguardo alla specifica materia della manutenzione stradale. In tale contesto la giurisprudenza elaborò in un primo momento la figura dell'insidia o trabocchetto quale elemento sintomatico dell'attività colposa dell'amministrazione, ricorrente allorché la strada nascondesse un'insidia non evitabile dall'utente con l'ordinaria diligenza, successivamente, peraltro, tale nozione divenne un indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della pubblica amministrazione, e l'onere probatorio in ordine alla sua sussistenza ricadeva a carico del danneggiato.

Nel caso de quo la pubblica amministrazione – il Comune proprietario della strada – viene chiamata a rispondere, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per i danni subiti dall'utente a causa dell'imprudente o negligente cura della rete stradale – una buca sul manto stradale -. Invero, è opportuno ricordare che il giudizio di responsabilità, per violazione del generale principio del neminem laedere, presuppone l'accertamento da parte del giudice dell'esistenza di un danno ingiusto, del nesso di causalità che lega il danno ingiusto al fatto illecito della pubblica amministrazione, ed infine del nesso psichico sostanziatesi nella colpa. Elementi, questi ultimi, il cui onus probandi, come detto, incombe sulla vittima dell'illecito.

E la Suprema Corte con il decisum in rassegna conferma il proprio orientamento secondo cui il risarcimento del danno causato da una buca stradale può conseguire solo se, nonostante la prudenza osservata dal pedone, questi sarebbe ugualmente caduto nell'ostacolo. Questo perché non tutte le buche determinano il diritto all'indennizzo, ma solo quelle la cui individuazione risulta particolarmente ardua, tanto da essere considerabili insidiose e, quindi, dei veri e propri trabocchetti. Insomma, se da un lato è vero che il titolare della strada deve curarne la manutenzione, è anche vero che un minimo di accortezza è richiesta anche a chi cammina a piedi e a chi, come nella specie, scende da un'autovettura. Ovviamente, la concreta operatività dell'assunto riposa su valutazioni de jura e de facto attinenti al singolo caso specifico: stabilire quando una determinata buca debba ritenersi un'insidia evitabile o meno con l'uso della normale diligenza e quindi, quando il danneggiato risulterà o meno esente da responsabilità, sono delicate considerazioni che scaturiscono dall'analisi fenomenica dell'evento, nonché sull'adeguata allegazione probatoria fornita dal danneggiato, che, nella specie, risulta carente. Non è peraltro da escludere che casi simili diano luogo, per contro, a decisioni profondamente discordi, ciò a causa del diverso convincimento fatto proprio sia dai giudici di merito, sia da quelli di legittimità.

In particolare la Suprema Corte in un recente intervento (v. Cass. civ., Sez. III, sent., 16 maggio 2013, n. 11946) ha precisato che, in tema di danno da insidia stradale, la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell'insidia e della conseguente responsabilità attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso. Peraltro, il predetto criterio relazionale ben potrebbe applicarsi anche al caso in esame. Difatti deve rilevarsi come la donna che scendeva dall'autovettura del marito fosse a conoscenza della scarsa illuminazione della strada da lei percorsa – abitando la stessa a circa quaranta metri di distanza – per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitare la buca.

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