Danno cagionato da fauna selvatica ai veicoli in circolazione: la responsabilità spetta all'Ente parco ma il danno è risarcibile ex art. 2043 c.c.

Giacomo Nicolucci
20 Aprile 2016

I poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna presente in un parco nazionale spettano all'ente parco, con la conseguente responsabilità anche per i danni cagionati ai veicoli in circolazione, risarcibili alla stregua dei principi generali di cui all'art. 2043 c.c..
Massima

I poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna presente in un parco nazionale spettano all'ente parco, con la conseguente responsabilità anche per i danni cagionati ai veicoli in circolazione, risarcibili alla stregua dei principi generali di cui all'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, con la conseguente necessaria individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente.

Il caso

Lungo una strada comunale che s'insinua nel territorio del Parco nazionale della Maiella, un motociclista ha investito un giovane cervo, cagionandone la morte e riportando conseguenze per la caduta dal motociclo. Ha così richiesto risarcimento alla Provincia ed al Comune, che ha a sua volta chiamato l'Ente parco in manleva, giustificando la pretesa con l'onere, per le amministrazioni convenute, di approntare tutte le soluzioni atte ad impedire l'attraversamento improvviso della fauna selvatica ed a consentire la piena visibilità anche delle aree limitrofe alla carreggiata.

La questione

Il giudicante ha dovuto rispondere ai seguenti quesiti: la presunzione di responsabilità ex art. 2052 è applicabile anche nel caso di danno ai veicoli in circolazione cagionato dalla fauna selvatica? quale ente è competente per la gestione della fauna selvatica in un parco nazionale e, quindi, per i conseguenti oneri risarcitori da responsabilità civile? quale responsabilità può essere addebitata all'ente parco per l'investimento di un esemplare di fauna selvatica protetta?

Le soluzioni giuridiche

Dipartendo da orientamenti giurisprudenziali abbastanza consolidati, che hanno escluso la risarcibilità ex art. 2052 del danno cagionato ai veicoli in circolazione da parte della fauna selvatica (così Cass., 4 marzo 2010 n. 5202) e che, comunque, hanno stabilito che la responsabilità va imputata all'ente cui siano stati affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna (Cass., 6 ottobre 2010 n. 20758), il giudicante ha affrontato la peculiare posizione dei parchi nazionali. Ha ritenuto, sul punto, che sia le competenze gestionali arguibili in forza dell'art. 11 l. 394/1991, che il chiaro tenore letterale dell'art. 15, comma 3, della medesima disposizione normativa, recante appunto la disciplina delle aree protette, identifica l'ente parco come l'effettivo titolare dei poteri di amministrazione del territorio protetto e di gestione della fauna ivi insistente. Ciò con ogni conseguenza sull'attribuzione della responsabilità per i danni cagionati a terzi dalla fauna stessa. Ovviamente, la responsabilità va provata alla luce dei principi di cui all'art. 2043 c.c., per cui deve essere individuato il comportamento colposo, anche omissivo, concretamente imputabile all'ente parco (nella fattispecie non è stata ritenuta provata la responsabilità dell'ente parco anche alla luce del fatto che per le finalità e per la natura stessa dell'area protetta non sono attuabili i provvedimenti propugnati dall'attore, quali recinzioni, abbattimenti selettivi e, così, è stato affermato che la intrinseca natura del parco, caratterizzata dalla presenza ubiquitaria di numerose specie selvatiche, obbliga gli utenti della strada a tenere una condotta inspirata al massimo della cautela e della prudenza, per la sicurezza propria e delle stesse specie protette).

Osservazioni

La fattispecie affrontata dal giudicante, relativa ad un danno alla circolazione stradale cagionato dalla fauna selvatica insistente nei confini di un parco nazionale è stata, in precedenza, risolta con due decisioni speculari dalla Suprema corte: Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2009 n. 467 e Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2007 n. 21282.

Le due pronunce dei giudici di legittimità, purtuttavia, a dir poco "modeste" nella loro componente motiva, non appaiono per niente condivisibili, né coerenti con il sistema giuridico-normativo in cui s'insinuano.

Il tenore letterale dell'art. 15 comma 3 l. 394/1991, secondo cui «l'Ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco», appare inequivoco. Non sembra, quindi, appartenere ad alcuna delle esegesi possibili in iure, la seguente affermazione della Suprema corte: l'art. 15 l. 394/1991 è intitolato «Acquisti, espropriazioni e indennizzi» «e, quindi, disciplina una materia ben diversa da quella di specie (risarcimento dei danni cagionati da un cinghiale ad un'autovettura che stava percorrendo una strada provinciale)». E ciò, soprattutto se i giudici romani avessero tenuto conto: a) del taglio trasversale di competenze recato dalla legge quadro sulle aree protette e della peculiare autonomia degli enti parco nella gestione del territorio dei parchi nazionali e di tutto ciò che vi appartiene, fauna selvatica compresa; b) dell'assoluta inesistenza di signoria alcuna delle regioni nella gestione della fauna selvatica nei parchi nazionali.

La legge 157/1992, invero, destinata formalmente alla protezione della c.d. fauna selvatica omeoterma, ma di fatto disciplinante l'esercizio dell'attività venatoria sul territorio nazionale non si applica in nessun modo alle aree protette e la giurisprudenza lo ha confermato a vario titolo (cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. I, 13 marzo 2000 n. 5977). Nei parchi vige il divieto assoluto di esercitare la caccia. Ergo, la regione, competente sulla fauna selvatica unicamente quanto al prelievo venatorio, non avrebbe alcun potere d'ingerenza.

Nemmeno potrebbe dirsi giuridicamente logico attribuire la responsabilità del pagamento di danni cagionati dalla fauna selvatica ad un ente che alcuna decisione potrebbe prendere sulla gestione di tale fauna, né in grado di ricavare dal territorio del parco, ad esso estraneo, le risorse finanziarie per provvedervi.

Le quote riscosse per l'esercizio venatorio, infatti, servono in primis al risarcimento dei danni arrecati dalla fauna selvatica nel territorio non assoggettato a tutela integrale.

La regione non ha nemmeno alcun potere d'imporre la realizzazione di barriere, recinzioni, dissuasori e quant'altro, perché ciò spetta unicamente all'ente parco, ex artt. 11 e 12 l. 394/1991. La regione è anche obbligata a recepire nei propri strumenti urbanistici il piano per il parco, ovvero lo strumento di pianificazione generale di un parco nazionale: cfr. TAR Abruzzo - Pescara 21 dicembre 2000 n. 50.

Beninteso, la competenza risarcitoria della regione, come indicata dai giudici di legittimità, non sarebbe mai ascrivibile nei canoni dell'art. 2043 c.c., posto che non avendo la stessa nessuna titolarità sulla gestione della fauna e del territorio all'interno dei confini di un parco nazionale, giammai potrebbe esserle ascritta una responsabilità concretamente individuabile come impeditiva del fatto illecito verificatosi.

In altri termini la Corte di Cassazione ha sconfessato sé stessa, non potendosi contemperare le pronunce in parola con l'orientamento ormai prevalente, in forza del quale: «in tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti di una Regione per il risarcimento dei danni conseguenti alla collisione tra una vettura e un cinghiale, ritenendo non fossero emerse prove di addebitabilità del sinistro a comportamenti imputabili alla Regione o all'Anas, non potendo costituire oggetto di obbligo giuridico per entrambe la recinzione e la segnalazione generalizzate di tutti i perimetri boschivi, quest'ultima, peraltro, di spettanza specifica dell'Anas)» (Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2014 n. 9276).

Su queste premesse, il percorso logico-giuridico seguito dal giudice del Tribunale di Pescara appare ineccepibile ed in grado di restituire omogeneità e coerenza al coacervo di temi giuridici e normativi che vengono in rilievo.

Guida all'approfondimento

Per un inquadramento adeguato delle competenze gestionali dell'ente parco sul proprio territorio e sul taglio trasversale operato a discapito di altri poteri pubblici, si veda:

  • G. Di Plinio, Diritto pubblico dell'ambiente e aree naturali protette, Milano 1994, 160 ss.;
  • Id., Aree protette vent'anni dopo. L'inattuazione "profonda" della legge n. 394/1991, in Riv. quad. dir. amb., 2011, 29 ss.

Sul rapporto gestionale tra enti parco e fauna selvatica in quanto patrimonio indisponibile dello Stato:

  • G. Nicolucci, Il wildlife management nelle Aree protette, in Riv. giur. amb., 2012, n. 6, 685 ss.

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