Domanda di risarcimento del danno da perdita di chance in comparsa conclusionale: inammissibile

Raffaella Caminiti
21 Aprile 2017

La domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, formulata per la prima volta in comparsa conclusionale, dopo che in atto di citazione sia stato richiesto il danno non patrimoniale da morte del congiunto, costituisce una domanda del tutto nuova.
Massima

La domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, formulata per la prima volta in comparsa conclusionale, dopo che in atto di citazione sia stato richiesto il danno non patrimoniale da morte del congiunto, non costituisce una specificazione dell'originaria domanda, ma una domanda del tutto nuova, come tale inammissibile.

Il caso

Accusando dolori acuti al torace una donna ultrasettantenne – sottoposta a terapia anticoagulante a seguito di intervento chirurgico di protesi valvolare aortica e mitralica e di applicazione di protesi all'aorta discendente toracica, nonché a controllo periodico ecografico per la presenza di altri due aneurismi – si recava al Pronto Soccorso di un ospedale, ove era visitata dal medico di turno il quale, dopo l'auscultazione del torace e la somministrazione di un antidolorifico, dimetteva la paziente.

A distanza di poche ore il dolore toracico si riacutizzava e, pertanto, l'anziana donna veniva riaccompagnata al Pronto Soccorso ospedaliero ove, su impulso del diverso medico di turno, veniva disposta una TAC d'urgenza, che rilevava la dissecazione dell'aorta toracica; la paziente era, quindi, trasferita in altra struttura specializzata in cardiochirurgia e ivi ricoverata presso il reparto di terapia intensiva, dove decedeva poche ore dopo per shock ipovolemico da rottura di aneurisma all'aorta toracica.

Ritenendo che il tempo intercorso tra il primo e il secondo accesso al Pronto Soccorso fosse stato decisivo per il decorso della crisi cardiaca e il suo esito infausto, gli eredi della donna convenivano in giudizio l'ospedale e il medico di turno che aveva visitato per primo la paziente, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a seguito del decesso della loro congiunta, sostenendo che la condotta inadempiente del medico convenuto avesse causato, o comunque agevolato, l'aggravarsi delle condizioni cliniche della stessa, divenute al momento del secondo acceso al Pronto Soccorso ormai talmente gravi e irreversibili da determinarne il decesso.

Si costituiva il medico respingendo ogni addebito e chiamando in causa il proprio assicuratore per la r.c. professionale, il quale, costituitosi a sua volta, instava per il rigetto della domanda attorea e, in caso di suo accoglimento, chiedeva di porre a carico dell'ospedale ogni onere risarcitorio.

Costituitasi in giudizio l'Azienda Ospedaliera contestava sia la rappresentazione dei fatti posti dagli attori a fondamento della domanda risarcitoria, sia le argomentazioni giuridiche formulate dagli stessi.

La questione

La domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, formulata per la prima volta in comparsa conclusionale, dopo che in atto di citazione sia stato richiesto il danno non patrimoniale conseguente alla morte del congiunto, costituisce una specificazione dell'originaria domanda o, piuttosto, una domanda del tutto nuova e come tale inammissibile?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento il Tribunale di Palermo ha rigettato, perchè infondata, la domanda risarcitoria degli attori.

Applicando i consolidati principi in tema di responsabilità sanitaria, il giudice ha ritenuto che, nonostante l'acclarata colpa professionale del medico, non sussiste responsabilità allorché il decesso sia avvenuto per il prevalente apporto di altre concause, dovendosi adottare, ai fini dell'accertamento del nesso causale in materia civile, la regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non” (in senso conforme sull'accertamento del nesso di causalità, tra le più recenti, Trib. Roma, sez. XIII, 13 gennaio 2016, n. 556; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2015, n. 15857; Trib. Messina, sez. I, 5 maggio 2015, n. 1026; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2015, n. 3390). Pur essendo emersi dall'attività istruttoria significativi profili di imprudenza nella condotta del medico di Pronto Soccorso – qualificata come “superficiale”, imponendo gli stessi esordi clinici della paziente immediati accertamenti diagnostici strumentali che, pur effettuabili presso la convenuta Azienda Ospedaliera, non sono stati prescritti – ritiene il giudice che non sia stata raggiunta la prova di un nesso di causalità tra la condotta omissiva colposa del medico (che costituisce possibile concausa del decesso) e l'evento letale. Ciò in quanto, tenuto conto della situazione di salute ampiamente compromessa della paziente già al momento del primo accesso al Pronto Soccorso e stante lo specifico rischio chirurgico gravante sulla stessa, le chances di sopravvivenza erano di gran lunga inferiori rispetto a quelle di esito infausto.

Prima di giungere a tale statuizione il giudice di merito esamina la questione relativa all'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, formulata dagli attori per la prima volta in comparsa conclusionale. Rilevato che nell'atto di citazione «l'unico danno richiesto dagli attori attiene al risarcimento del danno da morte del congiunto senza riferimento alcuno al danno da perdita di chance domandato per la prima volta in comparsa conclusionale”, il giudice dichiara l'inammissibilità della predetta domanda. «Trattandosi di due tipologie di danno ben distinguibili» – rileva il Tribunale di Palermo – «la nuova domanda degli attori va quindi trattata non alla stregua di una semplice specificazione della originaria domanda, ma di una vera e propria domanda del tutto nuova e come tale inammissibile». Non contrasta con tale pronuncia la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310), secondo cui la modificazione della domanda ammessa ai sensi dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), a patto che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte. Benché sia evidente, nella fattispecie, l'interesse degli attori a modificare la domanda originaria tenuto conto dell'esito dell'attività istruttoria, rileva il Tribunale di Palermo che l'arresto delle Sezioni Unite vale soltanto per le c.d. domande nuove proposte per la prima volta con le memorie ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., «giacché solo per esse può dirsi assente il rischio che la controparte possa essere “sorpresa” dalla modifica e vedersi mortificate le proprie potenzialità difensive. Infatti se l'eventuale modifica avviene sempre in riferimento e connessione alla medesima ed originaria vicenda sostanziale, la controparte sa che una simile modifica potrebbe intervenire a norma della disciplina processuale vigente» e, dunque, non può essere colta impreparata, anche perché le è assegnato un congruo termine (ex art. 183, comma 6, n. 2) per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio», possibilità preclusa qualora parte attrice introduca delle modifiche per la prima volta in comparsa conclusionale, anche se in riferimento e connessione alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo. Tale atto assolve unicamente una funzione illustrativa delle domande e delle eccezioni ritualmente introdotte nel giudizio e sulle quali si sia instaurato il contraddittorio delle parti, non potendo di regola contenere domande o eccezioni nuove (Cass. civ., sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 315).

Osservazioni

In caso di omissione o ritardo di una prestazione diagnostico-terapeutica per colpa imputabile al medico, un danno è configurabile in capo al paziente – e trasmissibile, in caso di morte, agli eredi –in quanto siano state pregiudicate, in capo allo stesso, apprezzabili chances di sopravvivenza (ex pluribus, Trib. Cremona, 24 ottobre 2013, n. 542). Sempre che, in prima battuta, sia provato che per effetto dell'asserito ritardo diagnostico e/o terapeutico sia andata perduta dal paziente la chance di conservare una migliore qualità della vita, o di vivere più a lungo, le concrete possibilità di sopravvivenza, misurate secondo criteri percentuali, rilevano ai fini della liquidazione del danno, che dovrà comunque tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di trattamento sanitario corretto e tempestivo (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2014, n. 7195). Inoltre, una volta che sia stato accertato, il danno da perdita di chance potrà essere liquidato dal giudice solo a condizione che sia stata formulata con l'atto introduttivo del giudizio un'espressa domanda in tal senso. Infatti, nell'ipotesi in cui sia stato richiesto il risarcimento di altri pregiudizi ontologicamente diversi, tale voce di danno, anche laddove ritenuta astrattamente risarcibile all'esito dell'attività istruttoria, non potrà comunque essere liquidata dal giudice, costituendo una domanda diversa e non specificazione della originaria domanda. E così, allorché instaurando la causa gli eredi del paziente deceduto reclamino il risarcimento di determinati danni patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure hereditatis, senza formulare alcuna espressa domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, non è ammissibile – come affermato dalla sentenza in commento – la relativa richiesta risarcitoria formulata in comparsa conclusionale, la quale costituirebbe una domanda diversa da quella proposta in atto di citazione e del tutto nuova: è evidente che una cosa è chiedere, in qualità di prossimi congiunti ed eredi del de cuius, il risarcimento del danno conseguente alla morte del congiunto, derivante dalla condotta imprudente e negligente dei sanitari convenuti, altra cosa è chiedere il risarcimento dei danni conseguenti alle asserite ridotte possibilità di sopravvivenza del de cuius. Siffatta domanda non potrà, dunque, che essere dichiarata inammissibile (cfr. Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13219), non potendosi ritenere ricompresa, neppure per implicito, nella domanda di risarcimento del diverso danno originariamente formulata.

Guida all'approfondimento

CRISTIANO DE GIOVANNI, La liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di chance di sopravvivenza in favore dei superstiti, in Ridare.it;

ROSARIA GIORDANO, Responsabilità medica e danno da perdita di chance, in Ridare.it;

MARCO ROSSETTI, Danno non patrimoniale da morte del congiunto, in Ridare.it;

RITA ROSSI, Danno da perdita di chance di sopravvivenza e risarcimento in favore dei familiari, in Ridare.it;

FRANCESCA VALERIO, La chance di vivere più a lungo: un bene risarcibile, in Diritto & Giustizia, 2014, pag. 341;

PATRIZIA ZIVIZ, Riflessioni sulla perdita di chances di sopravvivenza, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. I, 2014, pag. 242;

DANIELA ZORZIT, La perdita di chance di godere più a lungo del proprio congiunto: alla ricerca del nesso (perduto), in Ridare.it.

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