Obbligo di custodia della P.A. e aree private aperte al pubblico transito

Nicolò Galbero
20 Settembre 2017

È in colpa la P.A. che non provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le vie pubbliche, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti della strada.
Massima

È in colpa la pubblica amministrazione la quale né provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le vie pubbliche, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti della strada, né provveda ad inibirne l'uso generalizzato. Ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione d'una strada, la natura privata di questa non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell'amministrazione comunale, se per la destinazione dell'area o per le sue condizioni oggettive, l'amministrazione era tenuta alla sua manutenzione.

Il caso

Una donna citava in giudizio il Comune di San Giovanni Rotondo per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta, avvenuta mentre percorreva un tratto stradale ed ascritta al carente stato manutentivo di questo.

Il Tribunale di Foggia accoglieva la domanda dell'attrice.

In seguito all'appello del Comune però, la Corte territoriale di Bari riformava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda della donna, sul presupposto che il tratto di strada su cui avvenne la caduta, benché di “uso pubblico”, non fosse di proprietà comunale.

Gli eredi della ricorrente proponevano ricorso principale avverso la sentenza d'appello.

La questione

La P.A. può essere chiamata a rispondere, ai sensi dell'art. 2051 c.c., per i danni causati agli utenti in ragione della difettosa manutenzione di una strada privata aperta al pubblico transito?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'appello ha accertato che l'area del sinistro fosse di proprietà privata ed aperta al pubblico transito ed ha escluso la responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c., sul presupposto che l'area non fosse di proprietà comunale.

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel caso di danni causati dalla difettosa manutenzione di un tratto stradale, la natura privata di quest'ultimo non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell'amministrazione locale ex art. 2051 c.c.

Occorre accertare, infatti, se l'amministrazione è comunque «tenuta alla manutenzione» di quel tratto stradale, e ciò «per la destinazione dell'area o per le sue condizioni oggettive».

L'ordinanza in commento prende avvio dall'effettiva portata dell'obbligo, gravante sull'ente proprietario della strada, di garantire che la circolazione dei veicoli e dei pedoni avvenga in condizioni di totale sicurezza.

A tale obbligo primario, osserva la Corte, «l'ente proprietario della strada viene meno non solo quando non provvede alla manutenzione di quest'ultima, ma anche quando il danno sia derivato dal difetto di manutenzione di aree limitrofe alla strada, atteso che è comunque obbligo dell'ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza» (il principio di diritto è ripreso da Cass. civ., sez. III, 1 novembre 2011 n. 23562).

Questo generale dovere di sorveglianza dello “stato dei luoghi”, costituendo un «obbligo primario della P.A. per il principio del neminem laedere», non può venir meno laddove il Comune consenta alla collettività di utilizzare, per pubblico transito, un'area privata.

In altri termini, e richiamando i precedenti citati nell'ordinanza in commento, gli obblighi di custodia derivano dalla gestione di fatto della cosa, perché soltanto chi la esercita, anche in mancanza di una titolarità de iure, è in grado di predisporre tutte le cautele necessarie per prevenire ogni prevedibile danno.

Tali criteri interpretativi valgono soprattutto quando una strada viene utilizzata, di fatto, per pubblico transito: la circostanza fa insorgere, a carico dell'ente, l'obbligo di assicurare che l'utenza si svolga senza pericoli e, conseguentemente, la responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 c.c., verso i terzi danneggiati dall'inosservanza di tale obbligo (v. Cass. civ., sez. III, sent., 4 gennaio 2010 n. 7; Cass. civ., sez. III, sent., 12 gennaio 1996 n. 191).

Osservazioni

La Corte ha chiarito che l'obbligo di custodia della P.A. si estende alle aree private aperte al pubblico transito.

Nel caso in cui la P.A. autorizzi la circolazione su una strada privata, deve garantire la sicurezza della circolazione (art. 14 d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285) e deve adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulla strada medesima (art. 2 d.lgs. 26 febbraio 1994 n. 143).

L'adempimento di tale obbligo legislativo comporta la genesi di una relazione qualificata fra la P.A. e la strada privata.

La P.A., onde predisporre tutte le cautele necessarie per prevenire ogni prevedibile danno, assume la gestione di fatto della strada, anche in mancanza di una titolarità de iure sulla stessa.

Tale gestione di fatto, a ben vedere, altro non è se non un rapporto di custodia, elemento fondante la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c.

Emerge chiaramente, inoltre, che l'obbligo di custodia testé delineato ricomprende non solo il generale dovere di sorveglianza dello “stato dei luoghi”, ma anche l'obbligo (attivo) di manutenzione della strada privata aperta al pubblico transito.

Sul punto, il dispositivo del provvedimento non lascia dubbi: la natura privata di una strada non è sufficiente ad escludere la responsabilità della P.A. se, per la destinazione dell'area, la P.A. era «tenuta alla sua manutenzione».

Si tratta di un interessante profilo innovativo della giurisprudenza in esame.

La Cassazione, infatti, sviluppa (ed in parte supera) i propri precedenti richiamati nel corpo della motivazione.

Nelle pronunce della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, sent., 4 gennaio 2010 n. 7 e Cass. civ., sez. III, sent., 12 gennaio 1996 n. 191) l'obbligo di manutenzione della strada privata aperta al pubblico transito incombe sul proprietario dell'area medesima, e non già sulla P.A.

In quelle pronunce la responsabilità della P.A. è ancorata, esclusivamente, all'inosservanza del generale dovere di sorveglianza dello “stato dei luoghi”.

Pertanto, è legittimo concludere nel senso che il Comune, laddove consenta alla collettività di utilizzare per pubblico transito un'area privata, non solo assume l'obbligo di accertarsi che la manutenzione dell'area non sia trascurata (punto già raggiunto dai precedenti citati in motivazione); ma, più precisamente (ecco l'aspetto innovativo), assume esso stesso l'obbligo di mantenere la strada privata.

Richiamando il proprio precedente Cass. civ., sez. III, sent., 4 gennaio 2010 n. 7, l'ordinanza in commento puntualizza che l'inosservanza dell'obbligo di accertarsi che la manutenzione dell'area, e dei relativi manufatti, non sia trascurata «integra gli estremi della colpa».

In questo passaggio della motivazione, la Corte parrebbe ricostruire la responsabilità del custode quale responsabilità per colpa presunta.

A ben vedere, si tratta di un accenno inconferente rispetto al complessivo iter logico dell'ordinanza, il quale non lascia adito ad un revirement della tesi della natura oggettiva della responsabilità del custode, sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie. Infatti anche recentemente la Cassazione ha ribadito che l'art. 2051 c.c. non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l'evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall'ordinaria diligenza del custode (Cass. civ., sez. VI, ord. 16 maggio 2017, n. 12027).

Si deve, tuttavia, segnalare un'ulteriore pronuncia della Cassazione, secondo cui «la P.A., proprietaria di una strada in cui si è verificata la caduta di un ciclomotore a causa di una caditoia d'acqua, per andare esente da responsabilità, deve fornire la dimostrazione che il danno si è verificato nonostante essa abbia espletato, con la diligenza adeguata alla natura ed alla funzione della cosa ed in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione dovute in base a specifiche disposizioni normative e al principio generale del neminem laedere» (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2016 n. 11802).

Secondo autorevole dottrina (C.M.BIANCA, Responsabilità per danni da cose in custodia: una significativa messa a punto della Cassazione, in Foro it., 2017, I, 1418), con la sentenza n. 11802/2016 la Corte di Cassazione avrebbe ravvisato nella responsabilità del custode una responsabilità per colpa presunta: tale responsabilità graverebbe sul custode fatta salva la prova del caso fortuito, da intendersi quale evento non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente dovuto.

È opportuno, quindi, attendere nuovi arresti da parte della giurisprudenza di legittimità.

L'ordinanza commentata consente, infine, di apprezzare un'importante classificazione:

a) per il danno cagionato da una strada privata aperta al pubblico transito sussiste l'obbligo di custodia della P.A. e, pertanto, la P.A. risponde ex art. 2051 c.c. (come nella fattispecie in esame);

b) per il danno cagionato dall'area privata latistante la pubblica via non sussiste l'obbligo di custodia della P.A. e, quindi, la responsabilità della P.A. è disciplinata dall'art. 2043 c.c., ed il danneggiato ha l'onere di provare l'elemento soggettivo dell'illecito.

In relazione a quest'ultima ipotesi, è opportuno segnalare la sentenza della Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014 n. 22330.

Tale pronuncia precisa che in nessun caso la P.A. possa definirsi “custode” del fondo privato latistante la pubblica via. La P.A., infatti, anche ad ammettere che in determinate circostanze possa intervenire sui fondi privati, non ha certo la disponibilità di questi, né potrebbe agire su di essi all'insaputa o contro la volontà del proprietario.

Essa, tuttavia, ha l'obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada.

Ne consegue, quindi, che «è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2043 c.c., l'ente proprietario della strada pubblica il quale, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza d'una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questa, né adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione» (Cass. civ., n. 22330/2014 cit.).

La pronuncia assume grande rilievo ai nostri fini perché supera il precedente dettato da Cass. civ., sez. III, sent., 1 novembre 2011 n. 23562, richiamato nell'ordinanza in esame.

In quella sentenza, infatti, lo scrutinio in ordine alla responsabilità della P.A. per una frana staccatasi dal fondo privato, latistante la pubblica via, è stato condotto alla luce dell'art. 2051 c.c., lasciando intendere, quindi, che la P.A. avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione anche dell'area privata, latistante la pubblica via.

Guida all'approfondimento

C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 5 - la responsabilità, 2015;

F.CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, 2016.

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