Tabelle milanesi: la liquidazione è (quasi) incensurabile in Cassazione

Mauro Di Marzio
20 Ottobre 2014

Le c.d. «tabelle», siano esse normative o giudiziali, quali in particolare quelle elaborate dal tribunale di Milano ma dotate di «vocazione nazionale», costituiscono idoneo strumento di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, liquidazione che, una volta operata la necessaria personalizzazione, non può essere soggetta a controllo in sede di legittimità, essendo inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, se non in presenza di totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni.
Massima

Cass. civ., Sez. III, sent., 8 luglio 2014 n. 15530

Le c.d. «tabelle», siano esse normative o giudiziali, quali in particolare quelle elaborate dal tribunale di Milano ma dotate di «vocazione nazionale», costituiscono idoneo strumento di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, liquidazione che, una volta operata la necessaria personalizzazione, non può essere soggetta a controllo in sede di legittimità, essendo inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, se non in presenza di totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni.

Sintesi del fatto

Anno 1997, territorio forlivese, un operaio intento alla pulizia di una macchina miscelatrice introduce il braccio nell'apparecchio mentre il pistone che è all'interno si sta mettendo in movimento: l'arto rimane irrimediabilmente schiacciato. L'operaio agisce per il risarcimento dei danni nei confronti del datore di lavoro. La domanda è respinta in primo grado: ritiene il giudice che il lavoratore sia corresponsabile del sinistro, nella misura del 25%, e che il pregiudizio sia stato integralmente ristorato, medio tempore, dall'Inail e dagli assicuratori del datore. La sentenza, dopo una prima impugnazione conclusosi con una sentenza in seguito cassata, è ribaltata in appello, con il riconoscimento della integrale responsabilità datoriale.

In particolare, il giudice d'appello (la corte di Firenze) quantifica in circa € 130.000 il residuo credito del lavoratore per danno non patrimoniale e, decidendo nel 2012, utilizza per la liquidazione le tabelle di Milano del 2000: ciò per omogeneizzare la somma liquidata con quelle che gli assicuratori coinvolti nella vicenda avevano a quel tempo corrisposto; nel personalizzare la liquidazione, incrementando del 30% il dato tabellare, il giudice fiorentino tiene inoltre conto per un verso della giovane età dell'operaio, per altro verso delle sofferenze subite in conseguenza della lunga convalescenza.

La questione

Non pago della liquidazione operata dalla corte d'appello, il lavoratore impugna nuovamente la sentenza dinanzi alla corte di cassazione lamentando l'utilizzo delle tabelle milanesi vigenti al marzo del 2000 in luogo di quelle dell'epoca della pronuncia; definendo irrisoria la liquidazione del danno non patrimoniale diverso dal biologico; contestando la mancata personalizzazione del danno.

Occorre allora chiedersi entro quali limiti sia consentito al giudice di procedere alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale mediante l'utilizzo delle «tabelle» e quali siano gli obblighi motivazionali che egli deve rispettare.

Le soluzioni giuridiche

In uno stile semplice e chiaro la corte di cassazione dà torto al lavoratore su tutta la linea.

Viene osservato che il danno non patrimoniale, nelle «voci» che lo compongono — è qui evidente il riferimento alla nota Cass., S.U., sent., 11 novembre 2008 n. 26972, la quale sottolinea la natura unitaria del danno non patrimoniale, che si scandisce tuttavia in «voci» rilevanti sul piano descrittivo, anche al fine di evitare duplicazioni risarcitorie —, non può che essere oggetto di liquidazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c. La ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura stessa del danno non patrimoniale e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico (si può di recente ricordare, tra le tante pronunciatesi in questo senso, la monumentale Cass. civ., sez. III, sent., 23 gennaio 2014 n. 1361, resa, in difformità dall'orientamento fino a quel punto consolidato, sul tema di risarcibilità del danno da morte subito iure proprio): da ciò discende — vale ulteriormente rammentare — che il giudice, quando liquida il danno non patrimoniale, può legittimamente omettere di indicare le ragioni per le quali ritiene che esso non possa essere provato nel suo preciso ammontare.

L'impiego delle tabelle nella liquidazione del danno non patrimoniale è radicato nella prassi ormai da decenni e, come i lettori sanno, è stato accolto dal legislatore con la tabella per le c.d. micropermanenti. Un tempo poteva accadere che ciascun tribunale si desse le proprie tabelle. In una datata pronuncia (Cass. civ., sez. III, sent.,19 maggio 1999, n. 4852) si era affermato che:

a) l'impiego delle «tabelle» si basa sul «potere-dovere di procedere alla liquidazione con criterio equitativo»;

b) il fondamento delle «tabelle» è la «media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale», sicché, se adotta la «tabella» elaborata presso il proprio ufficio giudiziario, il giudice è esonerato dal motivare;

c) se, viceversa, «adotta … le tabelle in uso presso altri uffici giudiziari … deve motivare perché».

Come gli operatori sanno, il numero delle «tabelle» locali si è andato nel corso del tempo riducendo, fintanto che non sono rimaste in auge la sola tabella milanese (più diffusa) e quella romana (attecchita nella Capitale e dintorni). La tabella milanese ha poi vinto la partita grazie ad una nota pronuncia (Cass. civ., sez. III, sent., 7 giugno 2011 n. 12408), la quale ha sottolineato l'ovvia esigenza di uniformità di giudizio, a fronte di casi analoghi, sull'intero territorio nazionale, e dunque l'intollerabilità della liquidazione di danni identici in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari: e — ha osservato la S.C. — la necessaria uniformità di trattamento può essere per l'appunto fornita dall'adozione della tabella milanese. Tale attitudine della menzionata tabella è oggi riconfermata dalla pronuncia in commento, che riconosce ad essa «vocazione nazionale».

Resta fermo che l'adozione delle «tabelle» non esonera (mai e in nessun caso) il giudice dall'obbligo di personalizzare la liquidazione in funzione degli aspetti concreti della lesione patita dal danneggiato: e ciò in funzione dell'osservanza del principio dell'integralità del risarcimento. La mancanza dell'opera di personalizzazione, infatti, comporterebbe la violazione da parte del giudice del potere-dovere di liquidazione equitativa in favore dei criteri rigidi ed automatici previsti dalle «tabelle», sia pure milanesi, pur in assenza di una previsione legale (per quest'affermazione, si veda la cit. Cass. civ., sez. III, sent.,19 maggio 1999, n. 4852, ma l'obbligo di personalizzazione è sottolineato tanto da Cass., S.U., sent., 11 novembre 2008 n. 26972, quanto dalla giurisprudenza successiva).

Il giudice, insomma, deve provvedere ad un'applicazione flessibile delle «tabelle», definendo una regola ponderale su misura per il caso specifico e motivando congruamente in ordine all'adeguamento dell'importo riconosciuto alla peculiarità del caso. Ma che vuol dire «congruamente»? Fino a che punto deve spingersi l'approfondimento da parte del giudice e fino a che punto la parte può dolersi che un adeguato approfondimento non vi è stato? Ebbene — osserva la pronuncia in esame — dal momento che la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale è inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione «si esclude che l'esercizio del potere equitativo del giudice di merito possa di per sé essere soggetto a controllo in sede di legittimità, se non in presenza di totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni». Basta dunque una motivazione stringata, purché pertinente agli aspetti caratterizzanti, al nocciolo della concreta vicenda. Ad esempio è stata di recente ritenuta viziata la motivazione della sentenza che, in fattispecie di colpa medica neonatale, aveva liquidato equitativamente il danno morale del neonato e dei genitori senza riferirsi alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all'entità della sofferenza e del turbamento d'animo (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2013 n. 3582): e che, in definitiva, aveva indicato il quantum senza curarsi affatto di spiegare il perché.

Ma, nel caso scrutinato dalla corte d'appello di Firenze, il collegio aveva debitamente tenuto conto tanto degli aspetti relazionali della lesione, rapportati alla giovane età del danneggiato, quanto dei profili di sofferenza interiore, commisurati alla lunga durata della convalescenza. Quanto all'utilizzo delle tabelle del 2000, la S.C., dopo aver premesso che non ogni scostamento dai valori tabellari vizia la decisione, ha sottolineato che, nel caso di specie, esso trovava giustificazione nell'esigenza di calcolo, su base omogenea, dell'importo ancora dovuto al danneggiato.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Se tali sono gli obblighi motivazionali che il giudice è tenuto ad osservare in sede di motivazione, massima è la cura che il legale deve adottare al fine di individuare e sottoporre all'attenzione del giudice le sequele determinate sul piano non patrimoniale dal danno inferto.

Fondamentale è rammentare, nella difesa del danneggiato, che il danno, anche non patrimoniale, è ormai (pressoché) senza eccezione configurato come danno-conseguenza: come concreto pregiudizio, cioè, riscontrabile a valle della lesione dell'interesse protetto (il c.d. danno evento). Tali sequele vanno analiticamente prospettate e provate, fornendo al giudice tutti gli elementi per una adeguata personalizzazione: non senza considerare che quante più circostanze il difensore avrà offerto come rilevanti ai fini della liquidazione del quantum, tanto più detta liquidazione potrà essere eventualmente oggetto di impugnazione per vizi motivazionali, pur nei sempre più angusti limiti che il n. 5 dell'art. 360 c.p.c. individua: oggi l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

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