Liquidazione in via equitativa del pregiudizio derivante dall’interruzione dell’attività professionale

22 Febbraio 2017

Se a causa di infiltrazioni imputabili ad un condominio un professionista è costretto a chiudere il proprio studio, il danno da lucro cessante subito può essere liquidato in via equitativa dal giudice di merito sulla base della dichiarazione dei redditi dell'anno precedente?
Massima

In tema di lucro cessante derivante da interruzione dell'attività professionale (nella specie, per le infiltrazioni che avevano danneggiato lo studio del professionista), il danno può essere liquidato in via equitativa dal giudice di merito sulla base della dichiarazione dei redditi presentata dal danneggiato nell'anno precedente al verificarsi del fatto dannoso.

Il caso

Sempronio conveniva dinanzi al Tribunale di Pinerolo il Condominio Gamma di Orbassano lamentando di aver subito al proprio alloggio, ubicato all'ultimo piano dello stabile condominiale ed adibito a studio dentistico, danni patrimoniali da infiltrazioni provenienti dal sottotetto dovute ad un guasto dell'impianto di riscaldamento condominiale, danni consistiti nelle spese di ripristino dell'immobile e nella interruzione della propria attività lavorativa. Si costituiva il predetto Condominio, contestando la domanda e chiedendo e ottenendo di chiamare in causa in garanzia la Beta Assicurazioni s.p.a.. Quest'ultima deduceva, a sua volta, di aver già corrisposto una somma congrua per i danni materiali ed eccepiva, invero, la mancanza di garanzia assicurativa per i danni da lucro cessante per interruzione dell'attività lavorativa. E, il giudice di prime cure, pur accertando la responsabilità del Condominio, rigettava la domanda risarcitoria, considerando satisfattiva la somma già versata dalla Beta Assicurazioni e ritenendo non dimostrato il danno da lucro cessante. Proposto ricorso da Sempronio, la Corte d'appello di Torino accoglieva il gravame limitatamente alle censure mosse in merito alla mancata liquidazione del danno da lucro cessante, condannando il Condominio al pagamento in favore dell'appellante della somma, liquidata in via equitativa, di Euro duemila oltre accessori. In particolare, la Corte territoriale, premesso che la prova testimoniale espletata aveva dimostrato che a causa delle infiltrazioni lo studio dentistico di Sempronio era rimasto chiuso per ventuno giorni e che durante l'interruzione dell'attività lavorativa il professionista aveva perso parte dei propri guadagni, rilevava che la mancata produzione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno del sinistro non consentiva di effettuare il calcolo matematico del lucro cessante e provvedeva quindi, sussistendo un principio di prova in ordine al quantum debeatur, alla liquidazione di tale voce di danno in via equitativa, avendo in considerazione le tre settimane di chiusura e valutata la dichiarazione dei redditi dell'anno precedente. Avverso quest'ultima decisione il Condominio ricorreva per cassazione facendo valere due distinti motivi di censura. In particolare, il ricorrente deduceva, nel primo motivo, che la Corte di appello aveva liquidato officiosamente in via equitativa il danno da lucro cessante in difetto dei necessari presupposti, non avendo il danneggiato fornito gli elementi probatori in suo possesso, segnatamente omettendo di produrre in giudizio la dichiarazione dei redditi relativi la 2005. Gli Ermellini, tuttavia, respingono in toto il ricorso precisando che la Corte territoriale ha esaminato il fatto dedotto dal ricorrente, ritenendo la omessa produzione documentale non decisiva ai fini della liquidazione equitativa del danno ed indicando, nel contempo, i criteri per determinarne l'entità.

La questione

La questione in esame è la seguente: se a causa di infiltrazioni imputabili ad un condominio un professionista è costretto a chiudere il proprio studio, il danno da lucro cessante subito può essere liquidato in via equitativa dal giudice di merito sulla base della dichiarazione reddituale presentata dal danneggiato nell'anno precedente al verificarsi del fatto dannoso?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, il danno risarcibile viene descritto in termini di danno emergente, definito dall'art. 1223 c.c. in termini di perdita subita dal creditore, ossia deminutio patrimonii conseguente al fatto dannoso, e di lucro cessante che indica l'incremento patrimoniale che viene meno al danneggiato a seguito dell'illecito, rappresentando quindi un danno che si proietta nel futuro per la cui valutazione è possibile fare ricorso al criterio equitativo, come peraltro emerge da precisi riscontri normativi, ex artt. 1226 e 2056 c.c.

Entrambe le voci del danno risarcibile devono presentare i caratteri della certezza e dell'attualità, caratteri che si atteggiano ovviamente in modo diverso a seconda che si riferiscano al danno emergente o al lucro cessante.

Con riguardo a quest'ultimo, che qui ci occupa, la certezza si presenta con caratteristiche diverse rispetto a quelle che presenta nel danno emergente, in cui la diminuzione riguarda entità economiche già presenti nel patrimonio del danneggiato al momento della condotta illecita.

Nel lucro cessante, invero, l'incertezza circa la verificazione del nocumento è maggiore, atteso che la prova della certezza attiene non all'incremento patrimoniale che non c'è stato e mai ci sarà, ma deve riguardare i requisiti ed i presupposti necessari perché esso si determini in futuro.

In definitiva, come sostenuto da autorevole dottrina, il danno può sempre atteggiarsi come danno emergente e come lucro cessante e l'unica differenza tra i due elementi del danno sta nella maggiore difficoltà di prova inerente al lucro cessante, con il risultato che questa figura di danno si presenta più facilmente ad essere soggetta ad una valutazione equitativa.

Il nesso di causalità e l'esistenza del danno devono essere provati dal creditore, il quale deve allegare la prova delle componenti economiche dell'evento lesivo (perdita effettiva e mancato guadagno): la non imputabilità deve essere provata dal debitore. Anche per l'ammontare del danno, l'onere della prova incombe sul creditore. È, tuttavia, difficile che possano sempre soccorrere calcoli di esattezza matematica. Del resto, se fossero risarcibili soltanto i danni che possono essere calcolati con assoluta precisione, l'inadempiente sarebbe ingiustamente avvantaggiato. Per questa ragione, il danno è liquidato equitativamente dal giudice, anche di ufficio, quando la prova del preciso ammontare, con riferimento agli ordinari mezzi processuali, è impossibile o di notevole difficoltà.

Dunque, la corretta applicazione dell'applicazione dell'art. 1226 c.c. necessita di tre condizioni fondamentali. In primis la liquidazione del danno deve essere impossibile o estremamente difficoltosa, e, in secondo luogo tale difficoltà o impossibilità deve essere oggettiva e non soggettiva, ossia non deve dipendere dalla negligenza del danneggiato che non fornisce supporti probatori di alcun tipo in merito al danno. Infine, la liquidazione equitativa deve essere motivata, ossia deve essere indicato il criterio valutativo che il giudice ha utilizzato per quantificare il danno. E, in sede di legittimità, rileva solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dalle risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (v. Cass. civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nella specie, la corte di merito, accertata sulla base delle risultanze della prova testimoniale l'an della pretesa risarcitoria di Sempronio per il lucro cessante, ha ritenuto che, nonostante la mancata produzione della dichiarazione dei redditi dell'anno 2005, gli elementi probatori acquisiti al processo, consistiti nelle risultanze della prova testimoniale e dalla dichiarazione dei redditi dell'anno precedente a quello in cui era avvenuto il fatto dannoso, consentissero di procedere ad una valutazione equitativa del pregiudizio derivante dall'interruzione dell'attività professionale.

Pertanto, ai fini della risoluzione dell'odierna questione, i supremi giudici di Piazza Cavour ribadiscono il principio ormai pacificamente acquisito dalla giurisprudenza di legittimità, (v. Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2002, n. 315), secondo il quale l'applicazione della norma di cui all'art. 1226 c.c. rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, indipendentemente dalla richiesta della parte, e non è, quindi, censurabile in sede di legittimità.

Osservazioni

Il concreto esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli art. 1226 c.c. e 2056 c.c. presuppone già assolto dalla parte stessa, nei cui confronti le citate disposizioni non prevedono alcuna relevatio ab onere probandi al riguardo, l'onere su di essa incombente ex art. 2697 c.c. di dimostrare sia la sussistenza sia l'entità materiale del danno; inoltre la parte non è esonerata dall'onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto di cui possa ragionevolmente disporre, nonostante la riconosciuta difficoltà, al fine di consentire che l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile limitato e ricondotto alla sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune riscontrate insuperabili nell'iter della precisa determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso (v. Cass. civ., sez. III, sent., 9 agosto 2007, n. 17492). Pertanto, se anche può mancare la prova del quantum, perché impossibile e/o difficoltosa deve invece essere fornita la prova dell'an debeatur.

E, nella specie, il giudice del merito, premesso che la prova testimoniale espletata aveva dimostrato che a causa delle infiltrazioni lo studio dentistico di Sempronio era rimasto chiuso per ventun giorni e che durante l'interruzione dell'attività lavorativa il professionista aveva perso parte dei propri guadagni, rilevava che la mancata produzione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno del sinistro non consentiva di effettuare il calcolo matematico del lucro cessante e provvedeva quindi, sussistendo un principio di prova in ordine, appunto, al quantum debeatur, alla liquidazione di tale voce di danno in via equitativa, avendo in considerazione le tre settimane di chiusura e valutata la dichiarazione dei redditi dell'anno precedente. Occorre pertanto distinguere tra l'impossibilità o difficoltà di prova oggettiva e quella che invece dipende da una soggettiva negligenza del danneggiato.

Gli elementi forniti dalla parte, invero, non sono vincolanti per il giudice del merito, in quanto la valutazione equitativa può essere ancorata a parametri scelti dal giudice, ove quelli indicati dalla parte danneggiata risultassero inidonei o errati. In ogni caso, la giurisprudenza precisa che, se questi parametri valutativi, ancorché inadeguati, vengono forniti in giudizio, il giudice non può sottrarsi alla liquidazione equitativa del quantum (v. Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2002, n. 13469).

Benché la lettera dell'art. 1226 c.c. non lo stabilisca espressamente, la giurisprudenza di legittimità, (ex multis, Cass. civ., sez. III, sent., 27 gennaio 2003, n. 1205), è concorde nel ritenere che il giudice di merito possa procedere d'ufficio alla liquidazione equitativa del danno. Naturalmente, sottolinea la stessa giurisprudenza, devono sussistere i presupposti richiamati dalla norma in esame, impossibilità e/o difficoltà di prova e deve essere fornita la motivazione del criterio equitativo adottato.

L'opinione concorde sulla liquidabilità d'ufficio è probabilmente riconducibile alla funzione storica dell'equità, ovvero consentire al giudice di rimediare comunque a pronunce che sarebbero socialmente o moralmente inaccettabili se emanate seguendo rigorosamente le norme del diritto positivo.

Guida all'approfondimento

P. CENDON, Commentario al codice civile. Artt. 1173-1320: obbligazioni, Milano, 2009, 1064-1066;

L. VIOLA, La responsabilità civile e il danno, I, Macerata, 2007, 406;

G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, 635.

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