Il datore di lavoro, la salute del lavoratore e l’adozione di mezzi di salvaguardia

22 Giugno 2015

È noto che la responsabilità per gli infortuni sul lavoro ha natura contrattuale, in quanto essa deriva dall'inadempimento dell'obbligazione di sicurezza del datore di lavoro, che, pur se prevista dalla legge (d.P.R. n. 457/1955, art. 2087 c.c.), integra nella sfera degli effetti il contenuto del contratto di lavoro
Massima

In forza dell'art. 2087 c.c. costituisce preciso dovere del datore di lavoro assicurare quei mezzi di tutela, concretamente attuabili secondo la tecnologia disponibile nel periodo, potenzialmente idonei a tutelare l'integrità fisica del lavoratore.

Sintesi del fatto

La vicenda posta all'attenzione della Suprema Corte riguarda un caso di danni subiti da un lavoratore vittima di tre rapine subite nel corso dell'espletamento della propria prestazione lavorativa.

I giudici di legittimità cassano la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dal dipendente sul rilievo che il datore di lavoro aveva omesso l'adozione di misure idonee (quali ad esempio sistemi di videosorveglianza, collegamento diretto con le forze dell'ordine, sistemi di apertura a tempo ovvero allarme interno) ad impedire o quantomeno a rendere più difficoltoso il verificarsi di eventi criminosi analoghi a quelli in concreto verificatisi.

In motivazione:

«Non può dunque dubitarsi che fosse preciso dovere della parte datoriale predisporre e mantenere in efficienza quei mezzi di tutela, concretamente attuabili secondo la tecnologia disponibile nel periodo, almeno potenzialmente idonei a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, in ossequio al principio dettato dall'art. 2087 c.c.».

La questione

La questione in esame è la seguente: la lesione della salute del lavoratore in conseguenza di eventi delittuosi imputabili a terzi è sintomatica del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento?

La soluzione giuridica

È noto che la responsabilità per gli infortuni sul lavoro ha natura contrattuale, in quanto essa deriva dall'inadempimento dell'obbligazione di sicurezza del datore di lavoro, che, pur se prevista dalla legge (d.P.R. n. 547/1955, art. 2087 c.c.), integra nella sfera degli effetti il contenuto del contratto di lavoro. Trattasi infatti di responsabilità che, in relazione alla natura sui generis dell'obbligazione di sicurezza del lavoro, essendo le norme che ne determinano il contenuto dirette alla realizzazione anche di interessi generali (tant'è che dalla violazione può derivarne anche responsabilità penale), presenta anche aspetti della responsabilità aquiliana (con conseguente applicazione, ad esempio del disposto normativo di cui agli artt. 2049 e 2050 c.c.). Deve infatti ritenersi che il datore di lavoro riveste una posizione primaria di garante della sicurezza, in quanto soggetto che organizza l'attività produttiva. La sua sfera di attribuzioni e competenze ha, infatti, carattere generale ed investe tutta la politica aziendale. Il datore di lavoro deve osservare, oltre a tutta la normativa specifica, anche le comuni regole di prudenza, diligenza e perizia in un'attività che di per sé è pericolosa ed adottare tutte le altre misure imposte dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica (art. 2087 c.c.), senza poter ricorrere ad equipollenti o affidarsi alla diligenza ed esperienza dei lavoratori. Deve rendere sicuro tutto l'ambiente di lavoro, scegliere per ogni operazione le persone idonee, evitare di affidare lavori pericolosi a soggetti privi della necessaria esperienza e capacità tecnica ed apprestare la tutela anche contro gli incidenti dovuti a negligenza degli stessi lavoratori.

Come noto l'art. 2087 c.c. sancisce per il datore di lavoro l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa «le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». Tale ultima disposizione, come si sa, costituisce una norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, ed impone all'imprenditore l'obbligo di tutelare l'integrità fisio-psichica dei dipendenti con l'adozione - ed il mantenimento perfettamente funzionale - non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione nell'ambiente o in costanza di lavoro (Cass. n. 8422/1997).

L'art. 2087 c.c., tuttavia, non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva: perché possa affermarsi una responsabilità del datore di lavoro in base alla suddetta disposizione non è sufficiente, infatti, che nello svolgimento del rapporto di lavoro si sia verificato un evento dannoso in pregiudizio del lavoratore, ma occorre che tale evento sia ricollegabile ad un comportamento colposo del datore di lavoro. Ne consegue che incombe sul lavoratore, il quale lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro nonché la connessione tra l'uno e l'altra. Incombe, invece, sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del pregiudizio subito ovvero che la malattia non è ricollegabile alla violazione degli obblighi a suo carico (Cass. n. 6388/1998; Cass. n. 10361/1997; Cass. n. 12661/1995).

Ora, il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa stabilita dall'art. 1218 c.c. non escludono che la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c. intanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche; ne consegue che la verificazione del sinistro non è di per sé sufficiente per far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la dimostrazione, da parte dell'attore, che vi è stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva (Cass. n. 3162/2002; Cass. n. 9247/1998; Cass. n. 7792/1998).

In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art. 2087 c.c., infatti, la parte che subisce l'inadempimento non deve dimostrare la colpa dell'altra parte, dato che ai sensi dell'art. 1218 c.c. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile, ma è comunque soggetta all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l'asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell'esercizio dell'impresa, debbono essere adottate per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (Cass. n. 14469/2000).

Ebbene, come si è detto, secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, la norma di cui all'art. 2087 c.c. rappresenta una norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate, che impone l'obbligo dell'imprenditore di tutelare l'integrità fisio-psichica dei dipendenti attraverso l'adozione ed il mantenimento, non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità nell'ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad attività anche non collegate direttamente allo stesso, come le aggressioni conseguenti al comportamento di terzi (ossia di eventi non coperti dalla tutela antinfortunistica di cui al d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), per cui l'interpretazione estensiva della predetta norma si giustifica alla stregua sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.), sia dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) cui deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. n. 4129/2002).

Tuttavia, la Suprema Corte ha anche precisato che «in riferimento alla tutela dell'integrità fisiopsichica dei lavoratori dipendenti dalle aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi, l'ampio ambito applicativo dell'art. 2087 c.c. non può essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno, sull'assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto, perché in tal modo si perverrebbe all'abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell'evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento, atteso il superamento criminoso di quelli in concreto apprestati dal datore di lavoro» (Cass. n. 15350/2001, nonché Cass. n. 11710/1998). Più in generale la Corte Suprema, nell'interpretare estensivamente la portata dell'art. 2087 c.c., ha fatto riferimento a situazioni particolari, come ad esempio quelle contraddistinte dalla frequenza del fenomeno criminoso rispetto a determinate imprese (in particolare, banche), o dallo svolgimento di attività aziendale che comporti rischi extralavorativi prevedibili ed evitabili alla stregua dei comuni criteri di diligenza (Cass. n. 4012/1998), o dalla probabilità del verificarsi del relativo rischio in aree geografiche segnate da situazioni di elevato conflitto sociale-politico e di guerriglia (Cass. n. 4129/2002).

Osservazioni

Con particolare riferimento alla tutela dell'integrità fisio-psichica dei lavoratori dipendenti dalle aggressioni conseguenti a condotte di terzi, l'ampio ambito applicativo dell'art. 2087 c.c. non può quindi essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno, sull'assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto, perché in tal modo si perverrebbe all'abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico secondo cui qualsiasi rischio può essere evitato, sull'assunto che il verificarsi dell'evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova del dell'omessa vigilanza ovvero del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento.

In altri termini ai fini della configurazione della responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. non può prescindersi dalla prevedibilità, secondo un giudizio ex ante improntato ai comuni criteri della media diligenza, del fatto pericoloso derivante dall'opera di terzi estranei al rapporto di lavoro, capace di riverberare i suoi effetti nella sfera personale dello stesso lavoratore dipendente nello svolgimento della sua attività.

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