L'indennizzo corrisposto per effetto dell'acquisizione sanante della P.a. ha natura indennitaria con la conseguenza che la giurisdizione spetta al g.o.

Cesare Trapuzzano
22 Agosto 2016

Ex art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l'indennizzo previsto per la perdita della proprietà non ha natura risarcitoria, ma indennitaria.
Massima

Nella fattispecie espropriativa di cui all'art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, l'illecita o illegittima utilizzazione dell'immobile per scopi di interesse pubblico costituisce solo un presupposto dell'acquisizione del bene, sicché, ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l'indennizzo previsto per la perdita della proprietà non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, e la controversia sulla sua determinazione e corresponsione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell'art. 53 del d.P.R. n. 327/2001 e dell'art. 133, comma 1, lett. g, c.p.a. (cfr. Corte cost. n. 71/2015).

Il caso

I ricorrenti, dopo avere adito il tribunale ordinario nelle forme di un procedimento sommario di cognizione, hanno chiesto con regolamento preventivo di giurisdizione che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione determinassero la giurisdizione sulla domanda proposta, avente ad oggetto la quantificazione della misura del ristoro loro spettante per il provvedimento acquisitivo pronunziato dall'amministrazione comunale, in ragione della natura indennitaria ovvero risarcitoria della pretesa azionata. In conseguenza della qualificazione giuridica della pretesa, hanno richiesto che fosse risolto il nodo relativo all'appartenenza di detta pretesa all'ambito della giurisdizione del g.o. ovvero della giurisdizione esclusiva del g.a., instando altresì perché, ove si fosse stabilito che la giurisdizione sarebbe spettata al g.o., fossero risolti anche i dubbi in ordine alla competenza del tribunale o della corte d'appello in unico grado. Le Sezioni Unite hanno affermato la natura espropriativa del nuovo istituto, innestato su un precedente procedimento espropriativo irrimediabilmente viziato o, comunque, fondato su titolo astrattamente annullabile sub judice. Si è, al riguardo, ritenuto che, in base alla disamina dell'art. 42-bis, possono essere individuate due grandi categorie di controversie, a seconda che il loro oggetto sia costituito dalla denuncia di illegittimità del provvedimento di acquisizione (ad esempio, per incompetenza o per vizi di motivazione del provvedimento) e dalla eventuale consequenziale richiesta di risarcimento del danno, oppure dalla domanda di determinazione (ad esempio, controversia sul quantum) o di corresponsione (ad esempio, controversia per omesso o ritardato pagamento) delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. In linea di massima ed in stretta applicazione dell'art. 133, comma 1, lettera g), c.p.a. e dell'art. 53, d.P.R. n. 327/2001, la prima categoria di controversie deve ritenersi attribuita alla giurisdizione del g.a. mentre la seconda deve ritenersi attribuita alla giurisdizione del g.o..

La questione

La questione in esame è la seguente: stabilire se la controversia avente ad oggetto la domanda di determinazione e di corresponsione dell'indennizzo previsto dal citato art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001 ricada nella giurisdizione del g.o. ovvero in quella del g.a. e ciò sulla scorta dell'attribuzione all'indennizzo spettante per il provvedimento di acquisizione in sanatoria di una natura indennitaria ovvero riparatoria.

Il quadro normativo

Il quadro normativo di riferimento, rilevante per la risoluzione di tale questione di giurisdizione, è costituito: a) innanzitutto, dallo stesso art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, come inserito dall'art. 4, comma 1, del d.l. n. 98/2011, che testualmente così recita: «1. Al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, dopo l'art. 42, è inserito il seguente: “42-bis (Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico). - 1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene. 2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo. 3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma. 4. Il provvedimento di acquisizione, recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell'atto è liquidato l'indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L'atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell'articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell'amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2. 5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell'autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell'indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene. [....] 7. L'autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale. 8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo”»; b) in secondo luogo, dall'art. 133, comma 1, lett. g), del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo), il quale afferma: «1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: [....] g) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili anche mediatamente all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa»; c) infine, dall'art. 53 del citato d.P.R. n. 327 del 2001, nel testo sostituito dall'art. 3, comma 10, Allegato 4 al d.lgs. n. 104/2010, il quale dispone: «10. Al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, l'articolo 53 è sostituito dal seguente: «Art. 53 (Disposizioni processuali). 1. La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo. 2. Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa». Siffatto quadro normativo di riferimento deve essere necessariamente integrato con la sentenza Corte cost. 30 aprile 2015, n. 71 la quale - chiamata dalle Sezioni Unite della Cassazione a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, in riferimento a molteplici parametri -, tra l'altro, ha dichiarato:

  1. non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), sollevata, in riferimento agli artt. 42, 111, primo e secondo comma, e 117, comma 1, Cost.;
  2. non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., muovendo peraltro da una puntuale ricostruzione dell'istituto.

In particolare e per quanto in questa sede interessa, il Giudice delle leggi, riassunta la disciplina dettata dall'articolo censurato e raffrontatala con quella precedente, di cui all'art. 43 dello stesso d.P.R. n. 327 del 2001, dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 293 dell'8 ottobre 2010, per eccesso di delega, è giunto alla conclusione che si è [....] in presenza di un istituto diverso da quello disciplinato dall'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni. In proposito, quanto alla natura di tale nuovo istituto, ha affermato che l'art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni ha certamente reintrodotto la possibilità, per l'amministrazione che utilizza senza titolo un bene privato per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma. Sicché la norma censurata delinea pur sempre una procedura espropriativa di carattere «eccezionale», come si desume testualmente dal comma 4 dello stesso art. 42 bis. Con riferimento alle significative differenze del nuovo istituto rispetto a quello di cui all'annullato art. 43, la Corte cost. ha sottolineato che:

  1. la nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull'art. 43, dispone espressamente che l'acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell'emanazione dell'atto di acquisizione (ciò che impedisce l'utilizzo dell'istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato);
  2. 2) la norma censurata impone uno specifico obbligo motivazionale “rafforzato” in capo alla pubblica amministrazione procedente, che deve indicare le circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e, se possibile, la data dalla quale essa ha avuto inizio. La motivazione, in particolare, deve esibire le “attuali ed eccezionali” ragioni di interesse pubblico che giustificano l'emanazione dell'atto, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, e deve, altresì, evidenziare l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione;
  3. nel computo dell'indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale del bene. Ciò costituisce sicuramente un ristoro supplementare rispetto alla somma che sarebbe spettata nella vigenza della precedente disciplina;
  4. il passaggio del diritto di proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione;
  5. la nuova disciplina si applica non solo quando manchi del tutto l'atto espropriativo, ma anche laddove sia stato annullatoo impugnato a tal fine, nel qual caso occorre il previo ritiro in autotutela da parte della medesima pubblica amministrazione – l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, oppure la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera oppure, ancora, il decreto di esproprio;
  6. non è stata più riproposta la cosiddetta acquisizione in via giudiziaria, precedentemente prevista dal comma 3 dell'art. 43, ed in virtù della quale l'acquisizione del bene in favore della pubblica amministrazione poteva realizzarsi anche per effetto dell'intervento di una pronuncia del giudice amministrativo, volta a paralizzare l'azione restitutoria proposta dal privato;
  7. non secondaria, nell'economia complessiva del nuovo istituto, è la previsione (non presente nel precedente art. 43) in base alla quale l'autorità che emana il provvedimento di acquisizione ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
Le soluzioni giuridiche

In ordine alla qualificazione dell'indennizzo spettante in caso di acquisizione sanante e alle conseguenze che ne sarebbero discese sull'individuazione della giurisdizione, prima dell'intervento nomofilattico in commento vi erano contrasti nella giurisprudenza amministrativa. Il principale argomento sviluppato per sostenere la natura “risarcitoria” dell'indennizzo regolato dall'art. 42-bis, e per negare quindi tout court la giurisdizione del g.o. anche relativamente alla categoria di controversie vertenti sulla determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, riposava nel rilievo secondo cui il presupposto per l'esercizio del potere ablatorio consentito da tale disposizione è il pregresso “cattivo uso” dell'ordinario potere espropriativo («[....] l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità [....]»: comma 1) e l'attuale esigenza dell'amministrazione di continuare a mantenere il bene in ragione della perdurante utilizzazione di esso nell'interesse pubblico, con la conseguenza che detto indennizzo, in quanto strettamente correlato all'illecito risalente alle violazioni commesse dalla stessa amministrazione nell'ambito del (precedente) procedimento espropriativo illegittimo, non poteva che avere natura risarcitoria (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2015, n. 1114; Cons. Stato, sez. IV,3 marzo 2014, n. 993; contra Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438). Sicché si sarebbe trattato di un illecito aquiliano a formazione complessa e successiva, poiché l'art. 42 bis (al pari del precedente art. 43 del medesimo T.U.) attribuirebbe alla p.a. un potere di carattere rimediale, avente fondamento nella pregressa situazione di illegittima occupazione dell'immobile del privato. Infatti, la mancanza di un pregresso e idoneo titolo avrebbe fatto cadere il collegamento della vicenda ablatoria con la funzione anche sociale della proprietà individuale, finendo per privare di giustificazione il sacrificio della posizione proprietaria del singolo (così Cons. Stato n. 993/2014 cit.). Inoltre, a sostegno di detta ricostruzione, si sosteneva che il ristoro del pregiudizio non patrimoniale sarebbe un non senso, ove collegato ad un atto lecito. Nondimeno, tali argomenti sono stati efficacemente confutati, sia da successive pronunce del Giudice amministrativo (cfr. Tar Toscana, sez. I,11 giugno 2015, n. 890), sia dalla stessa Corte costituzionale con la menzionata sentenza n. 71 del 2015, secondo cui - per un verso - è comunque il provvedimento autoritativo della p.a. a giustificare l'acquisizione del bene, in forza di una rinnovata valutazione all'attualità della persistenza dell'interesse pubblico, indipendentemente dai presupposti che ne hanno determinato l'adozione, e - per altro verso - l'indennizzo riconosciuto ha appunto una valenza corrispettiva dell'avvenuta acquisizione sanante, quale provvedimento espropriativo semplificato. Il menzionato contrasto ha trovato composizione nella pronuncia in commento, la quale ha sancito la natura indennitaria della somma spettante a titolo di indennizzo per la disposizione del provvedimento di acquisizione in sanatoria e, per l'effetto, ha dichiarato la giurisdizione del g.o. Non è stata, per converso, affrontata la specifica questione posta circa l'individuazione del giudice competente - tribunale o corte d'appello in unico grado - a conoscere le controversie sulla determinazione o sulla corresponsione dell'indennizzo di cui all'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, questione rimessa all'esame delle stesse Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria di Cass., sez. VI-I, 28 luglio 2015, n. 15816. Anche le successive pronunce del Giudice amministrativo si sono adeguate all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite sulla spettanza alla giurisdizione ordinaria delle controversie vertenti sulla misura dell'indennizzo riconosciuto per effetto del provvedimento di acquisizione in sanatoria, in quanto ricadenti nell'ambito delle controversie sulla determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. In questo senso si richiamano Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2015, n. 5530; Tar Calabria – Catanzaro, Sez. II, 18 dicembre 2015, n. 1933; Tar Molise Campobasso, Sez. I, 11 marzo 2016, n. 115; Tar Calabria Catanzaro, Sez. II, 14 marzo 2016, n. 520; Tar Campania Napoli, Sez. V, 31 marzo 2016, n. 1640; Tar Lazio Roma, Sez. IIbis, 4 aprile 2016, n. 4040; Tar Veneto Venezia, Sez. I, 8 aprile 2016, n. 361; Tar Liguria Genova, Sez. I, 20 aprile 2016, n. 385; Tar Lazio Roma, Sez. IIbis, 27 aprile 2016, n. 4795; Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1910; Tar Basilicata Potenza, Sez. I, 14 maggio 2016, n. 474.

Osservazioni

L'istituto dell'acquisizione sanante è stato reintrodotto dall'art. 34, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111. La nuova disposizione prevede che il provvedimento di acquisizione al patrimonio indisponibile dell'amministrazione non ha efficacia retroattiva e, all'esito, dispone, a differenza del passato, che sia corrisposto un indennizzo, anziché il risarcimento del danno. A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, le questioni inerenti alla congruità dell'indennizzo fissato nel decreto di acquisizione sono sottoposte alla giurisdizione del g.o., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. g), c.p.a. e dell'art. 53 del citato d.P.R., dovendo le stesse essere ricondotte alle ipotesi ivi previste di determinazione e di corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. Il legislatore, infatti, dopo la caducazione dell'art. 43, d.P.R. n. 327/2001, ha correlato l'adozione del provvedimento di acquisizione sanante dell'immobile ex art. 42-bis del medesimo decreto, non più a una misura risarcitoria ma indennitaria, connessa alla rinnovata valutazione dell'interesse pubblico all'acquisizione in forza di un procedimento espropriativo semplificato. Se pure il presupposto di applicazione della norma è l'indebita utilizzazione dell'area, ai sensi del comma 4, ossia una situazione creata dalla pubblica amministrazione in carenza di potere (per la mancanza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilità dell'opera o per l'annullamento o la perdita di efficacia di essa), tuttavia, l'adozione dell'atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito appositamente dalla norma impugnata alla stessa pubblica amministrazione. Con l'adozione di tale atto, quest'ultima riprende a muoversi nell'alveo della legalità amministrativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino. Dello stesso avviso è altro arresto successivo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'istituto disciplinato dall'art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001 ha la ratio di consentire all'autorità occupante di acquisire l'immobile per attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico mediante uno speciale procedimento semplificato. Ne consegue che le ragionevoli alternative, la cui assenza è richiesta dal comma 4 per l'adozione del provvedimento acquisitivo, sono le alternative all'acquisizione coattiva del bene, cioè la restituzione al proprietario o l'acquisizione consensuale, non già l'acquisizione mediante rinnovo della procedura espropriativa; fermo restando che l'eventuale abuso dell'istituto rileva ai sensi del comma 7, ove è prevista la comunicazione del provvedimento di acquisizione alla Corte dei conti (Cass., Sez. Un., sent., 25 marzo 2016, n. 6017). Pertanto, in questa situazione la p.a. ha una posizione di preminenza in base alla Costituzione non in quanto soggetto, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della p.a. che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati. Del resto, il punto debole della teoria risarcitoria dell'indennizzo, spettante in ragione del provvedimento di acquisizione in sanatoria, risiede nella circostanza che essa ricollega all'agire illecito dell'amministrazione anche il rimedio finale previsto dall'art. 42-bis, consistente appunto nell'emanazione del provvedimento di acquisizione sanante, mostrando così di ritenere che ad essere rilevante non è il complessivo operato pregresso, contra jus, dell'amministrazione, bensì, a valle, il provvedimento di acquisizione sanante che sia stato emanato. Al che occorre obiettare che, se è legittimo quest'ultimo provvedimento, l'indennizzo liquidato non potrà che avere natura indennitaria, con conseguente radicamento della controversia sul quantum in capo al giudice ordinario (così Tar Toscana n. 890/2015 cit.). Gli ulteriori argomenti posti a fondamento della teoria risarcitoria, cioè l'uso, da parte del legislatore, del termine «indennizzo» anziché di quello «indennità», e la previsione di tale indennizzo per il ristoro anche del «pregiudizio non patrimoniale», sono considerati intrinsecamente deboli: il primo, perché presuppone una permanente, appropriata e precisa utilizzazione del lessico giuridico da parte del legislatore che, invece ad esempio, nel comma 3 dello stesso art. 42 bis, richiamando l'art. 37 del d.P.R. n. 327/2001 (che reca la rubrica «Determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area edificabile») per la determinazione dell'indennizzo in caso di provvedimento di acquisizione di aree edificabili, mostra evidentemente di utilizzare i due termini come sinonimi; il secondo, perché il ristoro del pregiudizio non patrimoniale, automatico e predeterminato nel quantum in una percentuale del valore venale del bene, è chiaramente misura accessoria inidonea ad incidere, di per se sola, sul riparto di giurisdizione. Piuttosto, nella fattispecie delineata dall'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, l'illecita o l'illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte dell'amministrazione per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile, unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale articolo, per l'adozione, nell'ambito di un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa amministrazione, del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto (presupposto da indicare puntualmente nella motivazione di tale provvedimento: «Il provvedimento di acquisizione, recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e, se possibile, la data dalla quale essa ha avuto inizio, [....]»: comma 4), con la conseguenza che, ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente promosso, attuato e concluso, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all'indennizzo medesimo natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l'ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione [o di] corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del g.o.

Sicché il provvedimento acquisitivo ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 garantisce al privato una tutela piena e satisfattiva al conseguimento dell'integrale valore del bene in prospettiva dichiaratamente indennitaria, piuttosto che risarcitoria, non trattandosi più di una fattispecie di acquisto ex re illicita, come ancora autorizzava a ritenere la formulazione del previgente art. 43. Mediante l'art. 42-bis, d.P.R.n. 327/2001 il legislatore ha previsto un mutamento del titolo della pretesa, con le consequenziali implicazioni in ordine alle eventuali contestazioni avverso la quantificazione dell'indennizzo stabilito in sede di adozione del provvedimento. Ne discende che il provvedimento di acquisizione dovrà contenere l'indicazione dell'indennizzo dovuto per l'acquisizione ex nunc della proprietà del fondo, operare la quantificazione delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno in conformità a quanto previsto dal terzo comma; offrire gli interessi previsti dal terzo comma quale risarcimento per il periodo di occupazione illegittima. Attraverso il procedimento espropriativo semplificato, delineato dall'art. 42-bis, il legislatore prevede un meccanismo che permette di disporre l'acquisizione del bene al patrimonio della p.a. previa corresponsione al privato di un congruo indennizzo (non quindi di un risarcimento). Segnatamente, il citato art. 42 bis contempla, come condizione sospensiva legittimante l'acquisizione, la corresponsione dell'indennizzo sotto il duplice profilo:

a) del pregiudizio patrimoniale da determinarsi in misura corrispondente al valore venale ;

b) di quello non patrimoniale, forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene, con disposizione del tutto innovativa rispetto al pregresso art. 43, ma che affonda le sue radici nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. L'atto di acquisizione sanante può formare oggetto di un rinnovato esercizio del potere amministrativo nella misura in cui siano stati in via documentale contestati i criteri di liquidazione dell'indennizzo ivi fissato. In conseguenza, le questioni relative alla quantificazione non incidono sulla legittimità del provvedimento di acquisizione, potendo al più derivarne l'obbligo per l'amministrazione di rideterminarne l'ammontare dal momento che, mentre la previsione di tale indennizzo (an) costituisce condizione di legittimità della delibera di acquisizione, ad analoghe conclusioni non può pervenirsi per quanto riguarda la congruità (quantum) dell'indennizzo e l'adeguatezza dei criteri di valutazione adottati nella liquidazione. La legittimità del provvedimento di espropriazione è predicabile in ragione della mera presenza in esso di una previsione riguardante l'indennizzo; mentre l'erroneità di calcolo consente solo all'espropriato di adire il giudice ordinario per ottenerne la rettifica. Da ultimo, Cass., Sez. Un., 25 luglio 2016, n. 15283, dopo avere confermato che le controversie relative alla determinazione degli indennizzi previsti in caso di adozione di provvedimento di “acquisizione sanante” ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, ha stabilito che la competenza in unico grado spetta alla corte di appello, operante in materia di indennità di esproprio, incluse le somme dovute per il periodo di occupazione senza titolo del bene – a norma del comma 3 di detto articolo – nella misura del 5 per cento annuo del valore venale dello stesso.

Guida all'approfondimento

R. Artaria, La giurisdizione in materia di indennizzo da acquisizione sanante, in Urbanistica e appalti, 2016, 4, 394;

E. Barilà', Espropriazione per pubblico interesse, occupazione illegittima, atto di acquisizione, indennizzo, controversia, in Il Foro italiano, 2016, 2, I, 594;

P. Patrito, Brevi considerazioni sull'applicazione dell'art. 42-bis, d.p.r. n. 327/2001, nel giudizio contabile, in Resp. civ. e prev., 2016, II, 611.

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