Responsabilità dell’avvocato e contratto di assicurazione: tra claims made e dichiarazioni inesatte e reticenti

Ludovico Berti
22 Settembre 2015

La clausola cosiddetta "a richiesta fatta" (claims made) inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile (in virtù della quale l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se per essi gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato durante il tempo per il quale è stata stipulata l'assicurazione) è compatibile con le clausole le quali pongano a carico dell'assicurato l'obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio al momento della sottoscrizione della polizza.
Massima

La clausola cosiddetta "a richiesta fatta" (claims made) inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile (in virtù della quale l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se per essi gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato durante il tempo per il quale è stata stipulata l'assicurazione) è compatibile con le clausole le quali pongano a carico dell'assicurato l'obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio al momento della sottoscrizione della polizza

Il caso

L'Avv. R. è stato convenuto in giudizio da S. per il risarcimento dei danni da responsabilità professionale per aver causato l'estinzione della procedura esecutiva immobiliare a causa dell'intervenuta prescrizione del suo diritto di credito. Si costituiva R. che, contestata la domanda, chiamava a garanzia e manleva la propria assicurazione. Questa si costituiva eccependo l'inoperatività della garanzia. Il Tribunale condannava R. al risarcimento dei danni in favore di S. e l'assicurazione a tenerlo indenne.

Proponeva appello principale S. ed incidentale l'assicurazione; resisteva R., contestando la propria responsabilità. La Corte di Appello, condannava R. ad un risarcimento maggiore in favore di S. e rigettava la domanda di manleva stante l'inoperatività della garanzia assicurativa, perché alla stipula la procedura esecutiva era già stata dichiarata estinta e R.,quando sottoscrisse la polizza,era ben conscio che i danni si erano già verificati e che, probabilmente, sarebbe stato chiamato a risponderne.

R. ricorreva per cassazione affermando l'esistenza della clausola claims made, per la quale la garanzia è operativa se la richiesta risarcitoria venga presentata durante il periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data del fatto che può quindi avvenire anche in un momento precedente alla stipula della polizza.

La Corte, richiamati i radicati principi in tema di clausola claims made, li ha ritenuti inapplicabili, riguardando la questione le dichiarazioni reticenti dell'assicurato che, ai sensi dell'art. 1892 c.c., escludono l'indennizzabilità.

La questione

La questione in esame è se la clausola claims made, che collega l'efficacia della garanzia al momento della richiesta risarcitoria e non al momento del fatto, è idonea a superare l'obbligo di lealtà e verità che, ai sensi dell'art. 1982 c.c., è a carico dell'assicurato.

Le soluzioni giuridiche

Nella massima in epigrafe, la Cassazione ha affermato la «compatibilità» della clausola claims made con quella che impone all'assicurato, al momento della stipula, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sullo stato del rischio, concludendo che l'inoperatività della garanzia era stata correttamente affermata dalla Corte di merito per aver il professionista reso, nella fase precontrattuale, dichiarazioni reticenti sullo stato del rischio e non sulla base di una non corretta valutazione della clausola claims made.

La Corte ha quindi ritenuto che, nonostante la clausola claims made, l'assicurato ha comunque l'obbligo, al momento della stipula, di rendere edotto l'assicuratore dell'esistenza di probabili rischi dei quali sia consapevole sicché, ritenendo che la reticenza fosse stata determinante nella formazione del consenso dell'assicuratore, ha respinto il ricorso di R.

La decisione è il linea con l'orientamento ormai consolidato della Corte, secondo il quale sussiste la violazione dell'art. 1892 c.c., quando il contraente ha taciuto o detto il falso traendo in inganno l'assicuratore, anche se non abbia piena consapevolezza di una richiesta risarcitoria, (Cass. civ., sent. 13918/2005; Cass. civ., sent. 14069/2010).

Si è inoltre affermata la necessità di accertare in concreto se la reticenza ha influito sulla formazione del consenso da parte dell'assicuratore, dovendosi quindi accertare la sussistenza del nesso causale tra le dichiarazioni reticenti ed il consenso a contrarre dell'assicuratore (Cass. civ., sent. n. 5115/1994). Nella fattispecie, quindi, è stato evidentemente accertato, attraverso il giudizio controfattuale, che l'assicuratore non avrebbe prestato il consenso alla stipula se avesse conosciuto l'errore già commesso.

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, non è richiesto che l'assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, non essendo applicabile la disciplina generale dell'errore o del dolo di cui all'art. 1439 c.c. ma per configurare il dolo, ai fini dell'annullamento della polizza, è sufficiente la coscienza di rendere una dichiarazione inesatta o reticente, mentre si ha colpa grave quando il contraente agisca senza avere la consapevolezza di nuocere all'assicuratore ma, con l'uso dell'ordinaria diligenza, avrebbe dovuto e potuto acquisirla (Cass. civ., sent. 29894/2008) e siccome R. era già stato raggiunto da diverse richieste da parte del cliente, anche se non era consapevole di rendere una dichiarazione reticente, con l'ordinaria diligenza l'avrebbe potuto presumere.

Osservazioni

La ratio dell'art. 1892 c.c. è comunemente ravvisata nell'esigenza di porre l'assicuratore in condizione di valutare esattamente il rischio, per consentirgli il corretto calcolo del premio che è pari al quoziente tra il costo complessivo degli indennizzi pagati per sinistri omogenei in un arco di tempo prestabilito ed il numero complessivo di contratti stipulati a copertura di quei rischi.

La Corte ha quindi correttamente respinto il tentativo del professionista di superare la reticenza delle sue dichiarazioni attraverso il richiamo alla clausola claims made, poiché anche se questa estende l'efficacia della garanzia ad eventi verificatisi antecedentemente alla stipula, non annulla la rilevanza della reticenza.

La consapevolezza di aver causato danni anche se non ancora oggetto di richiesta risarcitoria, deve far presumere che ciò possa avvenire in futuro. Il grado di consapevolezza incide sugli effetti della norma dal momento che solo la colpa grave ed il dolo comportano l'annullamento del contratto ed il diritto dell'assicuratore di negare il pagamento, mentre la colpa lieve, che si ha laddove il contraente ignori, per errore scusabile, il reale stato delle cose, comporta la validità ed efficacia del contratto ma conferisce all'assicuratore il diritto unilaterale di recesso.

Il problema è particolarmente rilevante nei danni a lunga latenza, quali appunto gli errori professionali commessi dagli avvocati i cui effetti negativi si verificano dopo diverso tempo, per esempio all'esito della causa, quanto il cliente, frustrato dal risultato, ne chiede ragione al proprio avvocato.

L'onere della prova della consapevolezza dell'esistenza in potenza di un rischio non denunciato al momento della stipula della polizza è a carico dell'assicuratore che lo può assolvere anche attraverso le presunzioni (Cass. civ., sent. n. 23504/2004). A tal proposito la giurisprudenza conferisce grande importanza ai questionari che l'assicuratore sottopone al contraente, perchè le richieste ivi contenute dimostrano il suo interesse ad avere le relative informazioni, sicchè l'inesattezza o la reticenza nelle risposte devono considerarsi determinanti per la formazione del consenso (App. Milano, sez. IV, 12 luglio 2011, n. 2105). Al contrario si ritiene che la mancata inclusione, tra i quesiti formulati, di determinati profili di fatto, evidenzia un atteggiamento di indifferenza dell'assicuratore, nel senso di estraneità di quelle informazioni all'ambito del proprio interesse di conoscenza, valutabile al fine dell'esclusione a carico dell'assicurato che li abbia taciuti di un comportamento reticente secondo la previsione degli artt. 1892 e 1893 c.c. (Cass. civ., sent., n. 17840/2003).

All'obbligo dell'assicurato di fornire dichiarazioni esatte si contrappone, quindi, quello dell'assicuratore che gli deve spiegare ciò che può essere rilevante ai fini della determinazione del consenso poiché se nei questionari non vengono richieste delle informazioni che possano incidere sul rischio, non potrà poi l'assicuratore eccepire che successivamente alla stipula siano emerse ulteriori circostanze che lo avrebbero indotto a non contrarre o a contrarre a condizioni diverse, perché, se non richiamate nel questionario, non saranno ritenute influenti per la determinazione del consenso (Cass. civ., sent., n. 17840/2003).

Ne consegue che in un ottica di leale collaborazione delle parti nella formazione del contratto assicurativo, entrambi i contraenti debbono comportarsi secondo buona fede ex art. 1337 c.c.: da una parte l'assicurato dovrà, per evitare di vedersi negare la garanzia, utilizzare l'ordinaria diligenza e dichiarare tutte le circostanze che possano incidere sul rischio contrattuale mentre, dall'altra, l'assicuratore dovrà compiutamente precisare quali possano essere tutte le specifiche informazioni di cui ha bisogno per valutare concretamente il rischio e quindi calcolare il premio, poiché anche le sue “reticenze” rischiano di farlo rispondere di eventi pregressi dei quali, nel caso in cui il questionario sia completo, non risponderebbe. Ciò perché vi sono aspetti che l'assicurato, pur con l'ordinaria diligenza, potrebbe giudicare ininfluenti sulla determinazione del consenso dell'assicuratore.

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