Disapplicazione delle tabelle milanesi e violazione di legge

23 Luglio 2015

La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integra violazione di norma di diritto censurabile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Massima

La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integra violazione di norma di diritto censurabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Il caso

Il Tribunale di Genova, con pronuncia confermata dalla Corte d'Appello, liquidava il risarcimento del danno non patrimoniale lamentato in conseguenza di un sinistro stradale avendo riguardo ai parametri contenuti nelle tabelle del locale ufficio giudiziario.

Il danneggiato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto del gravame resa dalla Corte d'Appello di Genova denunciando, mediante un unico motivo, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., lamentando l'avvenuta liquidazione del danno morale sofferto, in qualità di fratello della vittima, in base alle tabelle di Genova in luogo di quelle di Milano.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, effettuando alcune rilevanti considerazioni sulla problematica.

La questione

Ancora una volta la Corte di Cassazione è chiamata ad esaminare la questione concernente la valenza di norme di diritto, di carattere non formale ma senz'altro sostanziale, la cui violazione è denunciabile in sede di legittimità ex art. 360 n. 3 c.p.c., delle tabelle del Tribunale di Milano, c.d. a vocazione nazionale.

Come ripercorso nella stessa motivazione della decisione in commento, in un primo momento l'utilizzazione delle tabelle per la determinazione del danno alla persona da parte di alcuni uffici giudiziari è stata considerata valida espressione dell'esercizio del potere equitativo ex art. 1226 c.c. del giudice di merito nella quantificazione del danno.

In particolare, si era osservato che la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice con ricorso al metodo equitativo anche attraverso l'applicazione di criteri predeterminati e standardizzati come le cosiddette "tabelle" elaborate da alcuni uffici giudiziari, precisandosi, al contempo, che tali tabelle, peraltro, non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza di cui all'art. 115, comma 2, c.p.c., né sono canonizzate in norme di diritto, appartenenti necessariamente alla conoscenza del giudice, sicché il giudice che intenda utilizzarle deve, per non incorrere nell'errore di omessa motivazione, prima dare conto dei criteri indicati nelle tabelle, in termini generali ed in forma concisa, e poi descriverne l'applicazione alla fattispecie concreta (Cass. civ., sez. lav., 6 novembre 2000, n. 14440).

In seguito, divenuto diffuso l'uso delle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale, la S.C. si era orientata nel senso di ritenere che, ferma la natura equitativa della liquidazione del danno biologico, il giudice di merito potesse anche ispirarsi a criteri predeterminati e standardizzati, come il cosiddetto criterio tabellare, desunto dai precedenti giudiziari dell'ufficio di merito che provvede alla liquidazione ma che, in tal caso, non dovesse motivare in ordine al criterio applicato, mentre, qualora se ne discostasse, adottando le tabelle in uso presso altro ufficio giudiziario, sarebbe stato tenuto a dare ragione della diversa scelta (Cass., 1° giugno 2006, n. 13130, in Danno resp., 2007, 291, con nota di C. Sganga, La Cassazione e l'unitarietà del danno biologico).

In buona sostanza, il rispetto del criterio equitativo ex art. 1226 c.c. veniva verificato da tale indirizzo interpretativo avendo riguardo all'uso delle tabelle applicate presso il proprio ufficio giudiziario da parte del giudice di merito, in una sorta di uniformità di trattamento a livello locale, uso che poteva essere effettuato, invero, senza alcuna motivazione, per converso necessaria nell'ipotesi di utilizzazione dei valori espressi dalle tabelle di altro ufficio giudiziario.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, mediante la pronuncia in epigrafe, riafferma e consolida il diverso orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità in omaggio al quale il valore dell'uniformità di trattamento nella liquidazione del danno deve essere declinato in modo pressoché identico sull'intero territorio nazionale e che, pertanto, in linea di principio, ciascun giudice di merito dovrà a tal fine avere riguardo ai parametri delle tabelle Milanesi e ciò sia perché tali parametri hanno una diffusione molto ampia nei diversi uffici giudiziari sia per l'idoneità del valore punto espresso dalle stesse a consentire una liquidazione effettiva del danno alla persona avendo riguardo ai principi sanciti da Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972 (in Giust. Civ., 2009, I, 913, con nota di M. Rossetti, Post nubila phoebus, ovvero gli effetti concreti della sentenza n. 26972/08 delle sezioni unite in tema di danno non patrimoniale), in tema di personalizzazione del danno biologico.

In particolare, nel ribadire che il mancato utilizzo ai fini della determinazione del danno alla persona da parte del giudice del merito integra violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c., la Corte si conforma al principio, già affermato dalla Suprema Corte, in forza del quale poiché nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari e garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo lo stesso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale, allo stesso, in applicazione dell'art. 3 Cost., deve essere riconosciuta valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (Cass., 7 giugno 2011, n. 12408, anche in Guida al dir., 2011, n. 26, 26, con nota di Martina, La liquidazione del tribunale è corretta se motivata e proporzionata alla lesione ed ivi, 30, con nota di M. Rodolfi, Personalizzazione non superiore a un quinto).

Sul piano processuale, come ribadito anche dalla decisione in esame, tuttavia, l'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito.

In senso analogo la Corte di legittimità ha anche sottolineato, posto che le «tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica» predisposte dal tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o, per le lesioni di lievi entità conseguenti alla circolazione, in diminuzione, risulta incongrua la motivazione della sentenza di merito che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si giungerebbe mediante l'applicazione dei parametri recati dall'anzidette "tabelle" milanesi (cfr. Cass., 30 giugno 2011, n. 14402, per la quale, peraltro, si tratti di dover risarcire anche i cd. "aspetti relazionali" propri del danno non patrimoniale, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto applicate tengano conto pure del cd. "danno esistenziale", ossia dell'alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell'esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di vita, dovendo in caso contrario procedere alla cd. "personalizzazione", riconsiderando i parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l'integralità del ristoro spettante al danneggiato).

Osservazioni

Sotto il profilo squisitamente processuale la richiamata giurisprudenza, suffragata dalla pronuncia in commento, dalla quale si evince la progressiva acquisizione da parte delle tabelle del Tribunale di Milano della valenza di vere e proprie norme di diritto, la cui violazione, allegando le conseguenze concrete che la relativa disapplicazione in favore di altra tabella ha comportato in diminuzione o in aumento nella liquidazione del danno alla persona, è denunciabile in sede di legittimità ex art. 360 n. 3 c.p.c. appare espressione della c.d. teoria teleologica ben più apprezzabile di quella logica ai fini della determinazione dell'ambito del sindacato riservato alla Corte di Cassazione.

In accordo con la dottrina c.d. teleologica, invero, il criterio generale per delimitare l'ambito del sindacato riservato alla Corte di Cassazione non risiede nella tradizionale distinzione, propria della dottrina logica, tra questioni di fatto e questioni di diritto, bensì nella sussistenza o meno della possibilità per il giudice della nomofilachia di affermare, pronunciandosi sul ricorso portato dinanzi a sé, un principio che possa operare non solo nella fattispecie concreta ma che sia idoneo ad assurgere a canone normativo all'interno del sistema (Bove, Il sindacato della Corte di Cassazione: contenuto e limiti, Milano 1993, 1 ss.). In effetti, la differenza nell'applicazione di una teoria piuttosto che l'altra si apprezza proprio in fattispecie come quella in esame nella quale viene in rilievo il parametro che consente di verificare il rispetto del criterio di equità ex art. 1226 c.c., essendo l'equità un concetto giuridico indeterminato a fronte del quale il giudice è chiamato a svolgere un'opera di auto-integrazione dell'ordinamento, dovendo progressivamente riempire la zona grigia del concetto delle direttive già insite nel c.d. margine di sicurezza “positivo” del concetto, il quale con il trascorrere del tempo andrà sempre più ad arricchirsi.

In tale contesto è, pertanto, evidente l'importanza dell'attività della Suprema Corte nell'opera di delimitazione contenutistica del concetto giuridico originariamente indeterminato (cfr. N. Picardi, L'equità integrativa nel nuovo processo del lavoro, in Riv. dir. proc., 1976, 467), come attestato dalla vicenda delle tabelle del Tribunale di Milano assurte ormai a contenuto della regola equitativa nella determinazione del danno alla persona.

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