Per il danno da schiacciamento risponde come custode il comune

23 Dicembre 2014

Per l'applicazione della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. sono necessari due presupposti: a) la custodia, vale a dire l'esistenza d'un potere di fatto del custode sulla cosa; b) la sussistenza d'un nesso di causa tra la cosa e il danno. Non è invece, necessario: - né che la cosa sia seagente o dotata di intrinseco dinamismo; - né che la cosa sia pericolosa; - né che il custode sia anche proprietario.Il danno da schiacciamento è una fattispecie tipica di danno da cosa in custodia. Tale forma di responsabilità non è esclusa né dal fatto che il custode non sia proprietario della cosa custodita; né dal mero animus derelinquendi della cosa da parte del custode; né dalla circostanza che la cosa non sia di per sé pericolosa; né dall'affidamento incauto della cosa; né dallo smaltimento in modo improprio di essa
Massima

Cass., sez. III civ., sent., 10 ottobre 2014, n. 21398

Per l'applicazione della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. sono necessari due presupposti: a) la custodia, vale a dire l'esistenza d'un potere di fatto del custode sulla cosa; b) la sussistenza d'un nesso di causa tra la cosa e il danno. Non è invece, necessario: - né che la cosa sia seagente o dotata di intrinseco dinamismo; - né che la cosa sia pericolosa; - né che il custode sia anche proprietario.

Il danno da schiacciamento è una fattispecie tipica di danno da cosa in custodia. Tale forma di responsabilità non è esclusa né dal fatto che il custode non sia proprietario della cosa custodita; né dal mero animus derelinquendi della cosa da parte del custode; né dalla circostanza che la cosa non sia di per sé pericolosa; né dall'affidamento incauto della cosa; né dallo smaltimento in modo improprio di essa.

Sintesi del fatto

Un disco di cemento, del peso di vari quintali, usato da un Comune calabrese, come basamento di un albero di Natale allestito durante le festività natalizie, su disposizione di funzionari dell'amministrazione comunale era stato rimosso ed abbandonato in un'area interclusa di proprietà di un terzo. In quell'area si era recato un bambino insieme ad altri fanciulli e, durante il gioco, lo stesso perdeva tragicamente la vita rimanendo schiacciato sotto il predetto disco. I genitori del bambino convenivano quindi in giudizio avanti al Tribunale di Crotone l'amministrazione comunale ed il proprietario del terreno. Estromesso quest'ultimo dal giudizio, il giudice di prime cure condannava invece il comune al risarcimento del danno in favore degli attori. La decisione veniva appellata dall'amministrazione comunale avanti alla Corte d'appello di Catanzaro che ne accoglieva il ricorso sul duplice presupposto che: il disco di cemento che causò la disgrazia non fosse una cosa pericolosa e che esso era stato comunque usato dai bambini, per gioco, in modo improprio. Di conseguenza, i genitori del fanciullo attuano la tutela di legittimità, articolando quattro distinti motivi di censura. Nello specifico, i ricorrenti, col primo motivo di ricorso, espongono che la Corte d'appello aveva escluso la responsabilità del Comune ex custodia, di cui all'art. 2051 c.c., in base al rilievo che la fonte cosa di danno non era pericolosa, non era destinata a giochi di ragazzi e non fosse di proprietà del comune. Ad avviso dei ricorrenti tale statuizione sarebbe erronea in quanto presupposto della responsabilità ex art. 2051 c.c. è la custodia, non la proprietà né la pericolosità o la destinazione della cosa. E gli Ermellini accolgono in toto il gravame precisando che per l'applicazione della presunzione di responsabilità sono necessari due presupposti: la custodia, vale a dire l'esistenza d'un potere di fatto del custode sulla cosa e la sussistenza d'un nesso di causa tra la cosa e il danno.

In motivazione

« (…) sotto il primo aspetto (stabilire se il Comune fosse proprietario della cosa), è noto che la custodia di cui all'art. 2051 c.c. non si identifica col diritto dominicale sulla cosa: si può essere proprietari ma non custodi, o viceversa: l'unica circostanza che rileva, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2051 c.c., è la materiale possibilità di contrectatio rei (il principio è talmente pacifico che appare superflua qualsiasi citazione: vale la pena però ricordare che lo si ripete almeno a partire da sez. III, sentenza n. 3405 del 17 ottobre 1969, rv. 343489, ove si affermò che “diritto di proprietà e potere di custodia non devono (…) necessariamente coincidere nello stesso soggetto”).

(…) sotto il secondo aspetto (destinazione d'uso della cosa), la Corte d'appello ha applicato una regula iuris inesistente: quella secondo cui l'obbligo di custodia cessa se la cosa non è usata conformemente alla sua destinazione. Tesi del tutto priva di fondamento letterale nella legge, e comunque reiteratamente rifiutata da questa Corte (…).

Quanto al terzo aspetto (abbandono della cosa oggetto di custodia), va ricordato che la custodia è un rapporto di fatto tra un soggetto ed una cosa: essa può dunque cessare per mutamento della situazione di fatto, non certo per un mutato atteggiamento soggettivo del custode, che ritenga di smettere di essere tale. Se, poi, il custode decida di disfarsi della cosa, affidandola a terzi per lo smaltimento, non basterà questo animus derelinquendi a far cessare qualsiasi responsabilità del custode. Il dovere di custodia comprende infatti l'obbligo, per chi intenda abbandonare la cosa a terzi, d'un affidamento idoneo di essa. “Affidamento idoneo”, a sua volta, è quello che al momento in cui viene compiuto appare sufficiente a prevenire danni a terzi: sia per le modalità con cui avviene, sia per le qualità del soggetto come accipiens.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: la responsabilità per le cose in custodia di cui all'art. 2051 c.c. è una responsabilità per colpa?

E ancora, la custodia di cui all'art. 2051 c.c. si identifica o meno col diritto dominicale sulla cosa stessa?

Quali sono i presupposti necessari per l'applicazione della presunzione di responsabilità, ex art. 2051 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

È a tutti nota la diatriba tra le due teorie della responsabilità per i danni cagionati da cose date in custodia; l'una di matrice soggettiva, l'altra oggettiva.

Assolutamente minoritaria in dottrina e quasi mai praticata in giurisprudenza è, con riferimento all'art. 2051, la tesi della imputabilità per colpa della responsabilità del custode.

L'art. 2051 c.c. – come ribadito da Cass. civ. sez. III, 20 febbraio 2006 n. 3651- non configura una responsabilità oggettiva ma una responsabilità fondata su una presunzione di colpa cosiddetta aggravata, in quanto in deroga alla regola generale desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 2043 e 2697 c.c., il danneggiato è tenuto a fornire la prova che i danni subiti derivano, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla cosa, e cioè il mero verificarsi dell'evento dannoso ed il suo rapporto di causalità con la cosa, anche per presunzioni.

La premessa teorica, dalla quale la giurisprudenza muove, ossia la presunzione di colpa del custode, induce i giudici ad attribuire al custode ex art. 2051 c.c. l'obbligo di vigilare sulla cosa in modo da impedire che questa arrechi danni a terzi. La responsabilità del custode può così essere giustificata come responsabilità per colpa, sia pure presunta, consistente nella violazione, anch'essa presunta, di un tale dovere di vigilanza. Ma si tratta di mero obiter dictum: resta il fatto che la prova di una diligente vigilanza non libera, liberatoria essendo per la giurisprudenza solo la prova del caso fortuito.

Pertanto, secondo tale ricostruzione teorica, la norma sarebbe applicabile nel caso di violazione dell'obbligo di vigilanza da parte di chi ha il potere di uso della cosa, con la conseguenza che la prova liberatoria del caso fortuito può dirsi raggiunta non solo attraverso l'identificazione concreta della causa estranea (forza maggiore, fatto del terzo, fatto del danneggiato), ma anche attraverso la prova della condotta diligente del custode, ritenuta idonea a fornire un preciso elemento di presunzione, ex art. 2729 c.c. dell'esistenza di una causa non imputabile. La tesi in parola, difatti, esclude la possibilità che la causa ignota possa rimanere a carico del detentore della cosa, ove quest'ultimo sia riuscito a dimostrare l'assoluta assenza di negligenza.

All'opposto, i sostenitori della teoria prevalente tanto in dottrina quanto in giurisprudenza affermano la natura oggettiva della responsabilità del custode. Ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Infatti, più volte, anche di recente, la Corte di Cassazione (ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2006, n. 25243) ha affermato che la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente, per l'applicazione della stessa, la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la res che ha dato luogo all'evento lesivo; non assume rilievo in sé, allora, la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito.

La responsabilità ex art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per un suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un proprio dinamismo il danno può verificarsi in conseguenza dell'insorgere in esse di un processo dannoso provocato da elementi esterni. La teoria del dinamismo intrinseco della res era nata quando ancora la giurisprudenza oscillava tra il canone della responsabilità con colpa presunta del custode e quello della responsabilità oggettiva tout court: invero, l'uso di questo linguaggio mascherava un espediente empirico finalizzato a delimitare l'applicazione della fattispecie solo per particolari categorie di beni, in modo da escludere quelle ipotesi in cui la cosa cagiona danno quale strumento dell'azione umana. Con l'adozione definitiva della teorica della responsabilità oggettiva – secondo cui il custode non è più presuntivamente colpevole perché trae vantaggio economico dalla res, ma per la semplice e sola sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento di danno – non è più necessario che il danno sia stato prodotto dalla cosa per un suo “connaturale dinamismo” o per la sua “intrinseca natura”, è sufficiente il suo semplice modo di essere, ovvero la sua “oggettività sensibile”.

Per quanto concerne invece la questione dell'identificazione della custodia di cui all'art. 2051 c.c. col diritto dominicale sulla cosa, gli Ermellini precisano che si può essere proprietari ma non custodi, o viceversa: l'unica circostanza che rileva, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2051 c.c., è la materiale possibilità di contrectatio rei.

Nelle applicazioni giurisprudenziali la figura del custode è intesa in senso quanto mai lato; identifica chi ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa, quale che sia il titolo sul quale questo potere si fonda, ed anche in assenza di titolo, trattandosi di semplice potere di fatto. Peraltro, il proprietario non cessa di essere custode se ha dato in locazione la cosa ovvero se questa è, ad esempio, nella totale disponibilità dell'appaltatore. Ciò vale, in particolare, per le cose che non passano nella custodia del conduttore (muri, tetti, impianti idraulici, ecc.), che non potrebbero essere da questo manomesse e sulle quali egli non ha titolo al fine di prevenire o riparare danni; mentre risponde il conduttore se il danno deriva da cose che rientrano nella sua disponibilità e, quindi, nella sua custodia.

E, nel caso che qui ci occupa, la Suprema Corte precisa che la custodia è un rapporto di fatto tra un soggetto ed una cosa: essa può dunque cessare per mutamento della situazione di fatto, non certo per un mutato atteggiamento soggettivo del custode, che ritenga di smettere di essere tale. Se, poi, il custode decida di disfarsi della cosa, affidandola a terzi per lo smaltimento, non basterà questo animus derelinquendi a far cessare qualsiasi responsabilità del custode. Il dovere di custodia comprende infatti l'obbligo, per chi intenda abbandonare la cosa a terzi, d'un affidamento idoneo di essa. “Affidamento idoneo”, a sua volta, è quello che al momento in cui viene compiuto appare sufficiente a prevenire danni a terzi: sia per le modalità con cui avviene, sia per le qualità del soggetto come accipiens.

E, da ultimo, con riguardo alla questione riguardante i presupposti necessari per l'applicazione della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. i Supremi giudici, ne individuano due distinti:

  1. l'uno la custodia, ossia l'esistenza di un potere di fatto del custode sulla cosa;
  2. l'altro, la sussistenza d'un nesso di causa tra la cosa e il danno.

La prova liberatoria è basata sulla dimostrazione dell'esistenza del caso fortuito e non del comportamento diligente del custode. Facendosi applicazione della teoria del rischio, dunque, si ritiene che tutte le volte in cui da una cosa sottoposta al dominio di un soggetto determinato derivi un pericolo di danno, a tale eventualità rischiosa debba essere maggiormente esposto il custode, dal momento che è il soggetto che gode dei vantaggi della cosa e che, in teoria, ha la possibilità di calcolare e limitare in anticipo i fattori di incidenza. La norma, dunque, pone una presunzione di responsabilità che è possibile vincere solo con la dimostrazione del fatto che il danno non è stato provocato dalla cosa, ma da un fattore estraneo quale può essere la forza maggiore non resistibile, l'illecito di un terzo che si sia appropriato della cosa e l'abbia resa foriera del danno, oppure l'uso imprudente e macroscopicamente illogico della res da parte del danneggiato, tanto da far sì che la causa efficiente sia identificabile nel comportamento imperito di chi, entrando in contatto con la cosa, ne sia rimasto vittima. Nel caso che qui ci occupa la presunzione non viene vinta poiché i giudici di seconde cure non riescono a spiegare l'uso improprio del disco cementizio da parte dei fanciulli, ma anzi affermano di non essere in grado di stabilire che uso ne fecero (non vi sono elementi per affidare di certezza [sic] le modalità di utilizzo” del disco in cemento").

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Ai sensi dell'art. 2051 c.c. il danno deve essere cagionato dalla cosa e non dall'attività dell'uomo. Col termine “cosa” si intende qualunque elemento, mobile o immobile, solido, fluido o gassoso (nel caso de quo trattasi di un disco cementizio utilizzato come base per un albero di Natale). Per prevalente dottrina e giurisprudenza, inoltre, si esclude che la cosa debba avere necessariamente il requisito di una pericolosità intrinseca, ben potendo essere fonti di danno anche le cose innocue. Si è, infatti, sviluppata una costante ed ampia giurisprudenza che riconosce la responsabilità del “custode” ex art. 2051 c.c., anche per i danni cagionati da beni assolutamente inerti e, comunque, non pericolosi. Attualmente, si ritiene (valorizzando il tenore letterale dell' art. 2051 c.c., il quale non contiene alcun riferimento alla natura della cosa in custodia) che neanche il dinamismo interno connaturato alla res sia un requisito necessario. La giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata, sostiene che all' art. 2051 c.c. sono riconducibili non solo i danni cagionati dalla cosa, a causa della sua intrinseca forza dinamica, ma anche i danni prodotti dalla cosa per l'insorgenza in essa di agenti dannosi. D'altra parte, anche la dottrina ha chiarito che i requisiti della pericolosità e del dinamismo sono solo circostanze che, a posteriori, consentono di esprimere un giudizio di riferibilità causale del danno alla cosa.

In altri termini, la natura pericolosa di un bene è solo un indizio di cui tener conto nell'accertamento del nesso eziologico tra bene ed evento dannoso. Basta che un danno derivi dalla cosa in custodia per generare responsabilità del custode, anche se l'evento non ha alcuna relazione con l'uso normale del bene: nel caso che qui ci occupa il grosso disco di cemento aveva causato lo schiacciamento ed in seguito la morte di un fanciullo, provocando quindi un danno al di fuori del suo uso normale di sostegno dell'albero di Natale. Sul punto il decisum in commento richiama il caso del custode di un ponteggio o di un'impalcatura, che risponde anche per i danni causati da furti in appartamenti facilitati da tali strutture. E difatti i giudici di legittimità con la sentenza n. 6435 del 17 marzo 2009 chiariscono che in tema di furto consumato da persona introdotta in un appartamento avvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di rifacimento della facciata dell'edificio condominiale, deve essere affermata la responsabilità, ai sensi dell'art. 2043 c.c., dell'imprenditore che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, violando il principio del neminem laedere, egli abbia collocato tali impalcature omettendo di dotarle di cautele atte ad impedirne l'uso anomalo (nel caso di specie vi era la mancanza di luci esterne e di alcuna struttura di sicurezza per l'inviolabilità degli appartamenti); è altresì configurabile una corresponsabilità del condomino/committente ex art. 2051 c.c., atteso l'obbligo di vigilanza e custodia gravante sul soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura.

Diverso problema è quello di stabilire se la persona danneggiata dalla cosa in custodia abbia concausato il danno attraverso un uso improprio della cosa. Premesso che il concorso colposo della vittima è limite all'applicabilità della responsabilità del custode, e non elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., nel caso de quo è lo stesso giudice territoriale ad affermare che non vi erano elementi per stabilire che uso avessero fatto la vittima ed i suoi piccoli compagni del disco cementizio, basamento per un albero di Natale, trasformatosi in un pericolo con esito mortale.

In conclusione il danno da schiacciamento è una fattispecie tipica di danno da cosa in custodia e – sottolineano gli Ermellini – tale forma di responsabilità non è esclusa né dal fatto che il custode non sia proprietario della cosa custodita; né dal mero animus derelinquendi della cosa da parte del custode; né dalla circostanza che la cosa non sia di per sé pericolosa; né dall'affidamento incauto della cosa; né dallo smaltimento in modo improprio di essa. Il custode, in questo caso un Comune, deve quindi risponderne in modo pieno.

Riferimenti bibliografici

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A. Salvati, La responsabilità da cose in custodia, Giuffrè Milano 2012

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