L'obbligazione indennitaria e l'esclusione della rivalutazione monetaria

24 Maggio 2016

In materia di indennizzi a cittadini italiani per beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana di cui alle l. n. 16/1980 e n. 135/1985, l'obbligazione indennitaria assunta dallo Stato italiano costituisce debito di valuta e, pertanto, non è suscettibile di rivalutazione monetaria.
Massima

In materia di indennizzi a cittadini italiani per beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana di cui alle l. n. 16/1980 e n. 135/1985, l'obbligazione indennitaria assunta dallo Stato italiano costituisce debito di valuta e, pertanto, non è suscettibile di rivalutazione monetaria. Stante l'omnicomprensività dell'indennizzo, gli interessi ed il maggior danno (art. 1224, comma 2, c.c.) sono dovuti solo per il periodo successivo all'entrata in vigore della l. n. 135/1985, purché sussista atto di costituzione in mora e sempre che il maggior danno sia stato ritualmente e specificamente richiesto.

Il caso

A seguito della confisca del compendio aziendale di una società per azioni, per provvedimento del governo libico, i soci titolari della totalità delle azioni della detta società agivano giudizialmente al fine di conseguire l'indennizzo dovuto ai sensi della l. 26 gennaio 1980, n. 16, e successive modificazioni, nella misura indicata dall'art. 4, l. n. 135/1985. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, condannando il Ministero del Tesoro al pagamento dell'indennità, nonché alla corresponsione degli interessi legali e alla rivalutazione monetaria sulle somme ancora dovute dalla domanda al saldo.

Il Ministero proponeva appello avverso la suddetta decisione; la Corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava il Ministero al pagamento della differenza tra quanto già pagato e l'indennità liquidata dal giudice di primo grado, nonché alla corresponsione degli interessi legali, con decorrenza dal 5 maggio 1985 sino al saldo, oltre alle spese di grado.

Gli azionisti ricorrevano in Cassazione lamentando il riconoscimento dei soli interessi legali e contestando il relativo dies a quo, ritenendo che gli interessi legali fossero dovuti dal giorno della confisca o, in via subordinata, dal giorno della domanda di indennizzo avanzata in sede amministrativa o ancora, in ultima istanza, dal giorno di costituzione in mora del Ministero. I ricorrenti, inoltre, lamentavano il mancato riconoscimento degli interessi moratori (o compensativi) e del maggior danno ex art. 1224 c.c..

La questione

L'indennizzo dovuto – in forza delle l. n. 16/1980 e n. 135/1985 – in favore dei cittadini e delle imprese italiane per i beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana comprende anche interessi moratori e rivalutazione?

Le soluzioni giuridiche

L'obbligo assunto dallo Stato italiano di indennizzare cittadini e imprese nazionali danneggiate dalla confisca disposta dall'Autorità straniera non svolge una funzione risarcitoria, generando non da un'ipotesi di responsabilità ma dalla volontaria assunzione di un impegno di natura politica e solidaristica.

Ne consegue che l'obbligazione pecuniaria in esame, derivando da un'esplicita previsione di legge, costituisce un tipico esempio di debito di valuta e, pertanto, deve escludersi il diritto del creditore alla rivalutazione monetaria, meccanismo connotante le sole obbligazioni di valore. Alla luce delle dette considerazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Le argomentazioni addotte a sostegno delle ricordate conclusioni non rappresentano una novità, dal momento che trattasi di principi pacificamente ammessi in giurisprudenza (Cass, sez. I, 16 maggio 2014, n. 10793; Cass., sez. I, 7 ottobre 2011, n. 20639; Cass., sez. I, 7 giugno 2007, n. 13359).

Ritenere l'indennizzo in questione un debito di valuta comporta, inevitabilmente, l'applicazione della relativa disciplina in fatto di accessori e, quindi, risulta impossibile discorrere di rivalutazione monetaria.

Avuto riguardo agli interessi moratori ed al maggior danno – accessori da riconoscere in caso di debito di valuta – la Corte ricorda come nella liquidazione dell'indennità sia la legge (art. 4, l. n. 135/1985) a prevedere un meccanismo di adeguamento basato sull'applicazione di un criterio di rivalutazione, tale da dover fare ritenere “ricompreso nell'importo così determinato il risarcimento da ritardato adempimento, sia per la parte ragguagliata agli interessi moratori maturati alla stessa data, sia per l'eventuale maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c.” (cfr. Cass., sez. I, 7 giugno 2007, n. 13359). Detto altrimenti, l'indennizzo liquidato nella misura stabilita dalla legge rappresenta una somma omnicomprensiva alla quale non è possibile cumulare interessi e maggior danno, quanto meno per il periodo pregresso all'entrata in vigore della suddetta legge.

Sino alla data di entrata in vigore della l. n. 135/1985, dunque, non possono essere dovuti né interessi né maggior danno; per il periodo successivo, invece, sia gli interessi moratori sia il maggior danno saranno dovuti soltanto dal giorno della costituzione in mora, fatta salva la prova, a carico dell'amministrazione, della non imputabilità del ritardo o dell'inesattezza della prestazione.

Nella fattispecie oggetto di esame, la Corte ha escluso il diritto alla corresponsione degli interessi moratori anche per il periodo successivo all'entrata in vigore della legge di cui sopra, in quanto sul punto si era formato il giudicato, in mancanza di specifica impugnazione da parte del Ministero.

La richiesta di rivalutazione del credito, invece, deve essere più correttamente inquadrata nell'ambito del risarcimento del maggior danno di cui al secondo comma dell'art. 1224 c.c. e, pertanto, per il riconoscimento dello stesso occorre una specifica domanda, che, nel caso di specie, non era mai stata formulata; quindi, ne è seguito il rigetto della domanda, perché nuova.

Osservazioni

La sentenza in commento consente di approfondire il tema degli interessi e del “maggior danno”, quali accessori delle obbligazioni pecuniarie di valuta.

L'indennità dovuta ex lege in favore dei cittadini e delle imprese italiane che abbiano subito gli effetti della confisca disposta da Autorità straniera, non svolgendo una funzione risarcitoria, deve essere qualificata come obbligazione di valuta, con l'esclusione quindi del meccanismo di rivalutazione monetaria.

Più in particolare, la distinzione tra debiti di valore e debiti di valuta si fonda sulla circostanza che solo nei primi la somma di denaro rappresenta il succedaneo di una prestazione avente diverso oggetto; ne costituisce valido esempio l'obbligazione risarcitoria, dal momento che la somma di denaro sostituisce l'utilità perduta o non conseguita.

I debiti di valuta, invece, hanno ad oggetto sin dall'origine una prestazione pecuniaria e, in quanto tali, sono soggetti al principio nominalistico, così sintetizzabile: «I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale» (art. 1277, comma 1, c.c.). Ne segue l'esclusione della rivalutazione monetaria.

Prestazioni indennitarie previste dalla legge come dovute al ricorrere di determinati presupposti, quindi, devono essere inquadrate nell'ambito delle obbligazioni di valuta con applicazione della relativa disciplina. Esclusa la rivalutazione automatica del debito pecuniario, al creditore saranno dovuti unicamente gli interessi moratori e l'eventuale maggior danno, ossia il pregiudizio non coperto dalla corresponsione degli interessi al tasso legale.

Come ricordato dalla Suprema Corte di Cassazione, il riconoscimento del maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, c.c. presuppone specifica domanda da parte del creditore, domanda che non si può ritenere assorbita nella mera richiesta di rivalutazione, «non essendo quest'ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta» (Cass., Sez. Un., 23 marzo 2015, n. 5743).

In tema di prova del “maggior danno”, la giurisprudenza, negli ultimi anni, si è espressa in termini contraddittori sino a indurre le Sezioni Unite a pronunciarsi sulla necessarietà o meno della prova, a carico del creditore, di avere patito un danno maggiore rispetto a quello coperto dalla corresponsione degli interessi moratori in caso di ritardo nell'adempimento di obbligazioni pecuniarie.

In passato si affermava, da un lato, la possibilità di riconoscere il maggior danno da svalutazione in relazione alla categoria creditoria di appartenenza – modulando l'onere probatorio in base alla diversa categoria di riferimento (imprenditore, consumatore, creditore occasionale e risparmiatore abituale) – dall'altro, invece, si imponeva al creditore l'onere di allegare l'impiego che avrebbe fatto del denaro dovutogli.

Per dirimere il contrasto accennato sono intervenute le Sezioni Unite le quali, nel 2008, hanno affermato il riconoscimento in via presuntiva del maggior danno in favore del creditore che ne chieda il ristoro e ciò a prescindere dalla categoria creditoria di appartenenza. In particolare, la misura della suddetta perdita veniva individuata nella “differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 c.c., comma 1” (Cass., Sez. Un., 18 luglio 2008, n. 19499; in senso conforme: Cass., sez. II, 16 febbraio 2015, n. 3029; Cass., sez. VI-3, 26 febbraio 2015, n. 3954).

Resta salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non abbia subito un maggior danno o che lo abbia sofferto in misura inferiore alla differenza di cui sopra, alla stregua del potere riconosciuto al creditore di dare prova di avere patito un danno maggiore rispetto a quello presuntivamente liquidato.

Guida all'approfondimento

Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 95 ss.

C.M. Bianca, Diritto civile, V, Milano, 1994, p. 203.

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