Perdita della vita e diritto al conseguente risarcimento del danno: questione chiusa

Filippo Rosada
24 Luglio 2015

Dopo una lunga attesa, le Sezioni Unite si sono pronunciate in riferimento all'importante questione concernente la sussistenza o meno della risarcibilità del danno da morte immediata o successiva ad un breve lasso di tempo da un fatto illecito. I giudici della Corte Suprema hanno dato continuità all'orientamento giurisprudenziale, più vecchio e costante, che non riconosce la risarcibilità iure hereditatis di tale danno.
Massima

Non è risarcibile il danno iure hereditatis da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito.

Il caso

In seguito ad un incidente stradale in cui un giovane perdeva la vita, i genitori e le sorelle di quest'ultimo proponevano un giudizio per richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla morte del congiunto.

Il Tribunale riconosceva il danno da lesione del rapporto parentale, ma respingeva la richiesta dei danni patrimoniali futuri e del danno iure ereditatis da morte; statuizioni confermate anche dalla Corte d'appello di Torino.

I congiunti, quindi, proponevano ricorso per Cassazione per la riforma della sentenza d'appello.

La terza sezione civile rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, evidenziando il contrasto giurisprudenziale sull'ammissibilità o meno del danno iure hereditatis per la perdita della vita verificatasi immediatamente dopo le lesioni conseguenti ad un incidente stradale.

In motivazione:

L'estensore esordisce con la premessa che «il momento centrale del sistema (responsabilità civile) è rappresentato dal danno, inteso come perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva».

Nel caso di morte immediata, il danno che ne consegue «è rappresentato dalla perdita del bene giuridico vita (…) che è insuscettibile di essere reintegrato per equivalente» e pertanto, considerato che «una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio» nel caso di perdita immediata della vita «l'irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale (...) sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito».

Terminata la trattazione sulle ragioni che hanno portato i Supremi Giudici a confermare l'indirizzo giurisprudenziale maggioritario, la sentenza si sofferma a valutare gli argomenti, ritenuti di maggior pregio, sui cui poggiano le tesi di coloro che sostengono la risarcibilità del danno tanatologico.

L'estensore si sofferma, quindi, sul tema della “coscienza sociale” che rimorderebbe nel non trovare una tutela risarcitoria della vita anche nel diritto civile oltre che in quello penale, ed osserva come «un'indistinta e difficilmente individuabile coscienza sociale, se può avere rilievo sul piano assiologico e delle modifiche normative, più o meno auspicabili, secondo le diverse opzioni culturali, non è criterio che possa legittimamente guidare l'attività dell'interprete del diritto positivo». Ed, ancora, rileva che «non si comprende la ragione per la quale la coscienza sociale sarebbe soddisfatta solo se tale risarcimento, oltre che ai congiunti (intesi quali tutti i soggetti che abbiano relazioni di tipo familiare (…) con la vittima) per le perdite proprie, fosse corrisposto anche agli eredi».

Altro argomento utilizzato dai sostenitori della giurisprudenza minoritaria, è la ritenuta contraddittorietà tra il riconoscere il danno da lesioni gravissime e non risarcire nulla per la conseguente perdita della vita, con ciò, asseritamente, contraddicendo al principio della integralità del risarcimento del danno oltre che alla funzione di deterrente affidata al sistema della responsabilità civile. Sul punto, l'estensore, da un lato osserva come «non corrisponde al vero che, ferma la rilevantissima diversa entità delle sanzioni penali, dall'applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche dell'illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l'autore dell'illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali», dall'altro, ricorda come l'integralità del risarcimento del danno «non ha copertura costituzionale ed è quindi compatibile con l'esclusione del credito risarcitorio». Inoltre, «l'autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l'obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza e l'affermarsi della funzione riparatoria e reintegratoria».

Infine, viene affrontato quello che è stato il passaggio più contestato della sentenza cd. Scarano (Cass. civ., sent. n. 1361/2014), ovverossia la ritenuta opportunità – al fine di riconoscere il danno da morte - di infrangere, in via eccezionale, una della architravi della responsabilità civile, vale a dire il principio del “danno conseguenza”. Sul punto l'estensore esordisce specificando come «l'ipotizzata eccezione alla regola sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilità del principio e, comunque, sarebbe difficilmente conciliabile con lo stesso sistema della responsabilità civile (…) l'anticipazione del momento della nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il bene salute e il bene vita».

La questione

La questione rimessa all'esame degli ermellini a Sezioni Unite concerne la sussistenza o meno della risarcibilità del danno da morte immediata o successiva ad un breve lasso di tempo da un fatto illecito.

Le soluzioni giuridiche

In seguito alla sentenza Cass., 23 gennaio 2014, n. 1361 (est. Scarano) che riconosceva il danno per la perdita della vita trasmissibile agli eredi del de cuius, si era verificato un contrasto giurisprudenziale rispetto ai granitici precedenti giurisprudenziali risalenti sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 3475/1925: «se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita». Questo arresto trovava importanti e motivate conferme in numerose pronunce di merito e di legittimità, tra le quali si annoverano le note sentenze trigemine a Sezioni Unite n. 26972/2008 e Corte Cost., sent. n. 372/1994.

Del problema si è anche occupata la CEDU, 14 dicembre 2000, Gul v. Turkey (apl. n. 22676/93) che, fondando il proprio convincimento sulla protezione legale del diritto alla vita prevista dall'art. 2 Convenzione di Roma, ha riconosciuto la risarcibilità del danno tanatologico.

La sentenza qui commentata ha inteso dare continuità all'indirizzo maggioritario e più risalente, non ravvisando, nella più recente giurisprudenza, argomentazioni decisive idonee a superare quelle sposate anche dalla giurisprudenza europea, con eccezione del solo Portogallo.

Osservazioni

La sentenza, nell'affrontare un argomento che la stessa ordinanza di rimessione al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite ha definito «di particolare importanza», conferma quelli che sono i principi cardine del sistema della responsabilità civile: il danno è una conseguenza della lesione del bene tutelato e non la lesione stessa.

Sotto un profilo pratico, in tema di danno non patrimoniale da reato, appare di particolare interesse il ragionamento che l'estensore sviluppa per confutare la teoria, affermata dai sostenitori della risarcibilità del danno tanatologico, che pone in contrasto con la coscienza sociale il mancato riconoscimento di tale posta di danno.

In motivazione si rileva come la vita umana non sia di esclusiva pertinenza del singolo, bensì sia principalmente della collettività tutta, tanto da comportare un interesse pubblico alla difesa penale del bene e quindi alla previsione di una sanzione con funzione di deterrenza oltre che punitiva.

La circostanza non esclude il diritto al risarcimento del danno ex art. 185. comma 2, c.p. a favore del danneggiato direttamente leso dalla lesione del bene vita (ad esempio i prossimi congiunti), ma non consente di imporre una tutela risarcitoria di un interesse collettivo.

Si evidenzia, pertanto, come in tema di danno da reato, non sia sufficiente l'accertamento della lesione del bene protetto per riconoscere una tutela risarcitoria, ma sia necessario verificare se ne è conseguito un danno risarcibile e quindi se è rinvenibile un soggetto legittimato a richiederlo.

Guida all'approfondimento

D. Spera, La lucida agonia del danno tanatologico in attesa delle Sezioni Unite, in RiDaRe;

Resp. Civ. Prev, 2014, n. 2, pagg. 493 s.s. (con nota di Cesare Massimo Bianca);

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