Quantificazione del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione nelle cure mediche

Renato Fedeli
31 Luglio 2017

La quantificazione di tale pregiudizio non può che essere equitativa e deve essere parametrata alla tipologia di intervento chirurgico e alle conseguenze che ne sono derivate.
Massima

La mancanza di consenso informato priva il paziente della possibilità di decidere se autorizzare il medico all'esecuzione dell'intervento proposto, nonché della scelta di restare nelle condizioni che secondo il medico imporrebbero l'intervento, anche se pregiudizievoli, di riflettere e di determinarsi successivamente, nonché di rivolgersi eventualmente ad altro medico. Pertanto, anche in mancanza di profili di colpa riferibili alla condotta della struttura sanitaria, il relativo pregiudizio è un danno-conseguenza, che si manifesta nella privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi in ordine alla sua persona. La quantificazione di tale pregiudizio non può che essere equitativa e deve essere parametrata alla tipologia di intervento chirurgico e alle conseguenze che ne sono derivate.

Il caso

Una paziente viene ricoverata presso una struttura ospedaliera con diagnosi di fibromi multipli dell'utero, per essere sottoposta a intervento chirurgico di isterectomia, che tuttavia non viene eseguito in quanto i medici si rendono conto di non disporre di sacche di sangue del gruppo della paziente. Sin da questa fase, parte attrice allega di non avere ricevuto adeguata informazione sull'intervento proposto dai sanitari. Condotta nuovamente in sala operatoria, dopo due, giorni, si verifica un broncospasmo, asseritamente per fatto e colpa dei sanitari, e conseguentemente l'intervento viene interrotto. Dopo circa un mese la paziente viene sottoposta nuovamente a intervento di isterectomia totale, continuando, tuttavia, all'esito, a lamentare disturbi. Sottoposta a visita chirurgica, le viene riscontrata area di disestesia della parete addominale in corrispondenza del terzo laterale sinistra della cicatrice, mentre a seguito di visita urologica viene accertato rettocele I e II grado.

Anche sotto il profilo psichico, l'attrice deduce, fin dal primo intervento, disturbi quali deficit di attenzione e di concentrazione, astenia, cefalea, vertigini, frequenti risvegli notturni e sindrome depressiva endoreattiva, attribuendoli alle condotte colpose dei medici e allegando altresì il mancato consenso all'intervento e all'anestesia.

La struttura convenuta si costituisce contestando le pretese attoree sotto ogni profilo.

La questione

La sentenza in commento affronta il tema della risarcibilità del pregiudizio conseguente alla lesione del diritto del paziente all'autodeterminazione, in assenza di condotte colpose lesive del diritto alla salute, ma pur sempre a fronte di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.

Infatti, la CTU svoltasi in giudizio esclude la fondatezza della domanda attorea con riferimento alle contestazioni relative alle condotte operatorie dei sanitari, dal momento che le condizioni funzionali respiratorie della paziente sono risultate riferibili a patologia asmatica cronica pregressa, mentre il disturbo d'ansia riscontrato è insorto a seguito di precedente intervento, addirittura del 2002. Quanto al danno derivante dal rettocele con correlati disturbi della minzione, il consulente lo qualifica come complicanza non prevenibile dell'intervento di isterectomia totale, manifestatasi in assenza di un errore tecnico nella esecuzione dell'intervento.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale nisseno richiama la consolidata giurisprudenza in materia di consenso informato, ricordando come la prestazione del consenso da parte del soggetto destinatario di un trattamento sanitario sia indispensabile al fine di escludere la rilevanza anche penale di un fatto (configurabile come lesione personale) che altrimenti sarebbe di per sé illecito.

Conseguentemente, la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di informativa del paziente discende da un lato dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto, dall'altro dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.

In tali ipotesi, quindi, si configura un danno-conseguenza, che si concreta nella privazione della libertà del paziente di scegliere circa la sua persona fisica, e che non viene meno nemmeno nel caso in cui l'intervento sia stato eseguito correttamente e sia stato integralmente risolutivo della patologia lamentata (cfr. Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015 n. 12205 e Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2011 n. 16543).

Nello specifico della fattispecie sottoposta al suo esame, il giudice siciliano rileva come il consenso sottoscritto dalla paziente sia costituito unicamente dalla descrizione dell'intervento, senza alcuna specificazione in ordine alle possibili conseguenze dallo stesso derivanti, accertate in capo alla paziente all'esito dell'intervento, che, proprio secondo la consulenza svolta in giudizio, costituiscono le complicanze più frequenti, che avrebbero dovuto essere chiaramente indicate.

Per quanto riguarda la quantificazione, la sentenza in commento collega la liquidazione alla tipologia delle lesioni comunque accertate in capo alla paziente (senza, peraltro, determinarle), ancorché derivanti da condotte non colpevoli nell'esecuzione dell'intervento, e indica in € 25.000 il pregiudizio risarcibile.

Il Tribunale ha quindi ritenuto di ancorare l'entità del danno risarcibile alle lesioni accertate in capo all'attrice, seppure invocando il criterio equitativo e l'assenza di tabelle sul punto.

La soluzione adottata nella sentenza in commento appare in linea con la giurisprudenza ormai costante, secondo cui (cfr. ad esempio Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847), i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di apprezzabile gravità possono essere sia quelli conseguenti alla lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente sia quelli conseguenti alla lesione del diritto all'integrità psico-fisica del paziente, a mente dell'art. 32 Cost.

Infatti, trattasi di diritti distinti: «il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. C. Cost., 23 dicembre 2008, n. 438), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass. civ., 6 giugno 2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32 Cost., comma 2)» (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015 n. 2854; ancora prima, Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006 n. 5444).

Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, comma 1, Cost.) (conf. Cass. civ., 6 giugno 2014, n. 12830).

Osservazioni

Il tema del consenso informato nelle cure sanitarie può ritenersi ormai sufficientemente esaminato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità. Fornire una breve e sintetica panoramica dei precedenti sarebbe impossibile, viste le limitate finalità del presente commento, ma è comunque opportuno ricordare che la giurisprudenza di legittimità è partita da una iniziale indicazione dei soli rischi prevedibili e non anomali tra quelli oggetto del necessario consenso del paziente (Cass. civ. sez. III, 15 gennaio 1997 n. 364), per ricomprende anche quelli minimi, purché prevedibili (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2009 n. 20806, che parla di percentuale compresa tra lo 0,1% e il 2%).

Meno approfondita risulta la questione della quantificazione del pregiudizio. Quindi è opportuno, tra le sentenze di merito, segnalare Trib. Roma, Sez. XIII, 11 febbraio 2016 n. 2782, che ha riconosciuto a favore del paziente, per la sola lesione del diritto all'autodeterminazione, la somma di € 5.000, qualificato come “aggiuntivo” rispetto al ristoro del biologico (quindi, in applicazione dei principi in tema di distinzione dei due diritti fondamentali, ma in senso non conforme a quello della sentenza in commento, che tratta di un caso di carenza di informazione senza profili colposi nelle condotte). Anche App. Roma, sez. III, 3 dicembre 2010 n. 5342 ha riconosciuto la somma di € 5.000, ancorandola a parametri quali «l'importanza del tipo di prestazione sanitaria» e le «carenze informative riscontrate».

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 6 febbraio 2017, n. 1432 ha tenuto conto, da un lato, della modestia del danno biologico riconosciuto, dall'altro, della concreta privazione della possibilità di valutare adeguatamente tutte le possibili conseguenze della scelta effettuata, liquidando a favore del paziente il danno da omesso consenso nella misura di € 1.000,00.

In precedenza, sempre Trib. Milano, 28 agosto 2014 n. 10516 aveva utilizzato i parametri della giovane età della paziente al momento dell'insorgenza delle patologie e della presumibile sofferenza che ad una giovane donna è derivata in seguito alla scoperta del peggioramento del suo aspetto fisico in seguito all'esecuzione di interventi non necessari (eseguiti in assenza di corretta informazione sui rischi connessi agli stessi), per liquidare il danno in esame nella misura di € 4.000,00. Anche in tal caso, si sono liquidati separatamente i due distinti danni conseguenza (lesione della salute, micropermanente, e danno da violazione dell'obbligo di informativa).

Ancora, il Trib. Milano, 4 novembre 2014 n. 13015 ha liquidato il danno da mancato consenso in € 4.901,00, pari all'importo risarcito a titolo di danno da lesione del danno alla salute.

Da segnalare, infine, Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2015 n. 9331, che ha confermato la sentenza della Corte territoriale che, in assenza di danno risarcibile collegato a condotte colpevoli, aveva riconosciuto il solo danno da mancato consenso, parametrandolo al 10% dell'invalidità permanente accertata sul paziente.

Come emerge dalla breve rassegna di cui sopra, la sentenza in commento appare allineata con i principi giurisprudenziali in tema di esistenza e qualificazione del danno da mancato consenso, anche in assenza di condotte lesive del diritto alla salute.

Ciò che, ad avviso di chi scrive, si deve censurare della pronuncia del giudice nisseno è l'assenza di parametri obiettivi sulla quantificazione del danno, considerato che i riferimenti quali “tipologia di intervento chirurgico e delle conseguenze che ne sono derivate” utilizzati in motivazione risultano eccessivamente generici, senza un necessario collegamento con il grado di invalidità accertato sulla paziente.

In secondo luogo, nella pronuncia non appare adeguatamente valutato il presupposto per la risarcibilità del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione, vale a dire la tempestiva allegazione da parte della paziente che, ove correttamente informata, la stessa non avrebbe scelto l'opzione chirurgica poi praticata (Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847).

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