L'illecito endofamiliare è soggetto alla prescrizione quinquennale

Antonio Scalera
24 Ottobre 2016

Il provvedimento in commento si colloca nell'ambito del formante dottrinale e giurisprudenziale, tanto di merito quanto di legittimità, che ha da tempo enucleato la nozione di illecito endofamiliare. L'orientamento tradizionale, saldamente consolidato e condiviso fino a una decina di anni fa, che escludeva qualsivoglia forma di tutela risarcitoria all'interno della famiglia è ora mutato.
Massima

L'illecito endofamiliare si colloca nell'area dell'illecito aquiliano ed è, perciò, soggetto al termine prescrizionale ex art. 2947 c.c., che decorre dal momento della verificazione dell'evento lesivo.

Il caso

Tizio aveva citato in giudizio il padre, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui patiti a seguito della scoperta delle cartelle cliniche relative a due suoi ricoveri presso i servizi psichiatrici dell'Ospedale di Venezia, risalenti al 1974 e al 1980, ricoveri ai quali era stato costretto a seguito di ingiustificate e pressanti richieste da parte del medesimo padre, deceduto nelle more del giudizio.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda per intervenuta prescrizione.

Anche la Corte d'Appello, investita del gravame proposto dall'attore, lo rigettava.

Tizio ha impugnato la sentenza del Giudice di secondo grado con ricorso per cassazione basato su tre motivi di censura.

Hanno resistito con controricorso gli eredi del convenuto.

Con il primo motivo di ricorso, Tizio lamenta la violazione degli artt. 2043, 2059 c.c. e art. 2 Cost.; con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento della permanenza dell'illecito subito dal ricorrente; con il terzo motivo, infine, denuncia l'insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, ovverosia sull'interruzione della prescrizione ai sensi dell'art. 2944 c.c., a seguito del valore confessorio dello scritto autografo del padre.

La questione

La questione in esame è la seguente: può un figlio, a distanza di oltre cinque anni, chiedere il risarcimento dei danni nei confronti del padre, che, con pressanti e ingiustificate richieste, lo aveva costretto a ricoverarsi presso una struttura psichiatrica?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso osservando che nella fattispecie in esame trova applicazione la regola sulla prescrizione posta dall'art. 2947 c.c..

Detta regola opera in via generale nella materia della responsabilità aquiliana, quale che sia il fatto illecito che abbia cagionato il danno e quale che sia il diritto inciso dalla condotta illecita del danneggiante.

Inoltre, nel caso in oggetto, l'illecito ha carattere istantaneo e, pertanto, il dies a quo del termine prescrizionale decorre dal momento della consumazione del fatto lesivo e non già da quello della percezione o della percepibilità esterna dell'illiceità della condotta.

Infine, la Corte ha escluso che potesse attribuirsi efficacia interruttiva della prescrizione alla lettera inviata dal padre al ricorrente, con la quale egli dichiarava di sentirsi responsabile dei ricoveri e del conseguente male derivatone a suo figlio; ciò anche perché la lettera risaliva ad epoca in cui la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno era già ampiamente maturata. La soluzione adottata dalla Suprema Corte è in linea con l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità.

In particolare, mette conto evidenziare che la giurisprudenza è costantemente orientata a ritenere che l'art. 2947 c.c. riguarda esclusivamente il fatto illecito previsto dagli artt. 2043 ss. c.c., che è fonte di responsabilità extracontrattuale, e non l'inadempimento di obbligazioni derivanti da contratto (Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 1993, n. 108). Sicché, in caso di concorso, nella medesima fattispecie, di responsabilità extracontrattuale e responsabilità contrattuale, la duplicità del titolo risarcitorio comporta un distinto regime per ciascuna delle due azioni anche per quanto riguarda la prescrizione cui sono soggette (Cass. civ., sez. lav., 5 ottobre 1994, n.8090).

Inoltre, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno da illecito decorre dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile all'esterno (Cass.civ., sez. III, 18 febbraio 2016, n. 3176; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2013, n.11119; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2000, n. 9927; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2000, n. 5913; Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1995, n. 3691) e, comunque, da quando si verifica la lesione effettiva, e non solo potenziale, nella sfera giuridica del danneggiato (Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 2003, n. 311).

Con riferimento alla fattispecie del danno da emo-trasfusione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 580) hanno ritenuto che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all'art. 4, l. 25 febbraio 1992, n. 210, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa) (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2012, n.7553; Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 16658; Cass.civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10493; Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645).

La sentenza in rassegna richiama, inoltre, la categoria dell'illecito istantaneo con effetti permanenti, da distinguere rispetto all'illecito permanente. Si afferma che, mentre nel fatto illecito istantaneo tale comportamento è mero elemento genetico dell'evento dannoso e si esaurisce col verificarsi di esso, pur se l'esistenza di questo si protragga poi autonomamente (si tratta allora di fatto illecito istantaneo con effetti permanenti: Cass. civ., sez. I, 15 marzo 2016, n.5081), nel fatto illecito permanente il comportamento, oltre a produrre l'evento dannoso, lo continua ad alimentare per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell'uno e dell'altro (Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2000, n. 16009; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1995, n. 115). Nelle ipotesi di illecito permanente, caratterizzate dal perdurare nel tempo del comportamento lesivo e dal suo non esaurirsi uno actu, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica (Cass. civ., sez. III, 24 agosto 2007, n.17985; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2004, n. 6512).

Osservazioni

Il provvedimento in commento si colloca nell'ambito del formante dottrinale e giurisprudenziale, tanto di merito (Trib. Venezia, 30 giugno 2004; App. Bologna, 10 febbraio 2004) quanto di legittimità (Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713; Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801; Cass. civ., sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853), che ha da tempo enucleato la nozione di illecito endofamiliare.

L'orientamento tradizionale, saldamente consolidato e condiviso fino a una decina di anni fa, escludeva qualsivoglia forma di tutela risarcitoria all'interno della famiglia.

In un primo momento a tenere separati la responsabilità civile dalla disciplina della famiglia era la visione pubblicistica di quest'ultima (emblematica in questo senso è la famosa similitudine di Arturo Carlo Jemolo secondo il quale l'intera famiglia appare come «un'isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto». A.C. Jemolo, La famiglia e il diritto, ora in Id., Pagine sparse di diritto e storiografia, scelte e coordinate da L. Scavo Lombardo, Milano, 1957); in un secondo momento - nonostante l'affermarsi di una considerazione della famiglia come luogo di espressione e sviluppo della persona, in aderenza ai valori della Costituzione - la disciplina della responsabilità civile non era comunque applicata ai rapporti familiari in forza del principio lex specialis derogat generali. Secondo detta impostazione, infatti, la presenza di specifiche norme, deputate a sanzionare i comportamenti posti in essere dai familiari in violazione dei doveri nascenti dai vincoli parentali, precludeva la concomitante tutela risarcitoria (si rinvia, a questo riguardo, a Trib. Milano, 12 dicembre 1957, in Riv. Dir. Matr. e Persone, 1958, 272, con nota di Cortese, È una "facoltà" o un "obbligo" il riconoscimento del figlio naturale da parte del genitore e aTrib. Belluno, 23 marzo 2004).

Tale orientamento è mutato.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza oggi prevalenti, la tutela della persona non può ammettere una limitazione e/o sospensione all'interno di quello che è il luogo principale di espressione della personalità di ciascun individuo. I diritti inviolabili della persona rimangono tali anche nell'ambito della famiglia, «cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità aquiliana» (Così Cass. civ., sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853).

La condotta inadempiente assume dunque un duplice rilievo: per l'applicazione delle specifiche regole previste in materia di famiglia e per l'applicazione delle regole sulla responsabilità aquiliana.

Sulla base di tale rinnovato sentimento, la dottrina (S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984) e la giurisprudenza (Trib. Milano, 29 settembre 2002; Trib. Milano, 7 marzo 2002; Trib. Firenze, 13 giugno 2000; Trib. Venezia, 30 giugno 2004; App. Bologna, 10 febbraio 2004. In sede di legittimità importanti Cass., 7 giugno 2000, n. 7713 e Cass., 10 maggio 2005, n. 9801) hanno elaborato la nozione di illecito endofamiliare, con la quale si tende ad accorpare tutte le ipotesi in cui all'interno di relazioni familiari si sia consumata una lesione ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, in conseguenza di una violazione dei doveri familiari.

Appare, pertanto, un dato definitivamente acquisito l'attrazione della sfera dei rapporti familiari nell'alveo dell'illecito civile, tanto da essere considerato come una espressione della “privatizzazione” delle relazioni familiari.

Ne è la conferma la sentenza in esame che correttamente applica ad una fattispecie tipicamente endofamiliare le regole generali sulla responsabilità extracontrattuale.

(Fonte: www.ilfamiliarista.it)

Guida all'approfondimento
  • A. D'Angelo, La liquidazione del danno da illecito endofamiliare, in Danno e resp., 2016, 5,546;
  • A. Fasano, S. Matone, I conflitti della responsabilità genitoriale, Milano, 2013;
  • A. Fraccon, Relazioni familiari e responsabilità civile, Milano, 2003;
  • D. Marcello, Responsabilità genitoriale e danno endofamiliare - la responsabilità genitoriale e il danno endofamiliare, in Giur. It., 2015, 11, 2333;
  • M. Sesta, L'illecito endofamiliare nella recente evoluzione giurisprudenziale. III Congresso di aggiornamento professionale forense, Roma, 3-5 aprile 2008

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