Danno da perdita di chance di sopravvivenza e risarcimento in favore dei familiari

Rita Rossi
26 Ottobre 2016

Il cd. danno da perdita di chance di sopravvivenza è danno patrimoniale, che consegue all'omissione della diagnosi di un processo morboso e consiste nell'impossibilità per il paziente di scegliere cosa fare nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la salute fino all'esito infausto.
Massima

Il danno da perdita di chance di sopravvivenza è danno patrimoniale, che consegue all'omissione della diagnosi di un processo morboso e consiste nell'impossibilità per il paziente di scegliere cosa fare nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la salute fino all'esito infausto. Esso consiste in un danno concreto ed attuale, si trasmette jure hereditario, e la sua quantificazione deve avvenire secondo un criterio equitativo puro.

Nel caso di perdita di chance di sopravvivenza, ai familiari della vittima spetta altresì jure hereditario il risarcimento del danno biologico terminale, e jure proprio il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Entrambe tali voci di danno vanno liquidate secondo un criterio equitativo puro.

Il caso

La sentenza in commento affronta un classico caso di perdita di chance in ambito medico.
Una donna molto anziana (89 anni) viene ricoverata per un ematoma post-traumatico, ma insorgono complicanze settiche trascurate dai medici; la paziente viene dimessa dall'ospedale, decedendo due giorni dopo.
I figli della defunta invocano la responsabilità contrattuale della struttura, per la negligenza dei medici nella gestione delle complicanze settiche, e chiedono il risarcimento del danno da perdita di chance per la riduzione dell'aspettativa di vita, del danno biologico terminale e del danno da perdita parentale.
Il ctu conferma la non correttezza dell'operato dei medici, concludendo per "una riduzione delle chances di sopravvivenza che con una terapia antibiotica sarebbero state senza dubbio maggiori", pur non quantificabile in termini percentuali.
Il tribunale recepisce le conclusioni peritali, osservando che l'incongruo trattamento medico non è stato la causa diretta della morte, ma ha comunque privato la paziente di apprezzabili chances di sopravvivenza; e riconosce, conseguentemente, in favore dei figli della vittima, a) jure successionis, il risarcimento del danno da perdita di chances di sopravvivenza (€ 15.000) e il danno biologico terminale (€ 2.900) e b) iure proprio, il danno da perdita del rapporto parentale, quantificato in € 8.000 per ciascuno dei tre figli. Il tutto per complessivi € 41.900,00.

La questione

La decisione solleva la questione di quali siano le voci di danno risarcibili ai familiari nel caso di perdita del congiunto, il quale, a causa di negligenza medica, sia stato privato della possibilità di vivere più a lungo. Ulteriore più specifica questione è quella della cumulabilità, sul versante del risarcimento jure hereditario, del danno da perdita di chance di sopravvivenza e del danno biologico terminale.
Dette questioni, invero, non si trovano così enunciate nella sentenza; ed anzi, il giudice lombardo mostra di non nutrire dubbi riguardo alla possibilità di cumulo, e riconosce ai tre figli dell'anziana donna, entrambe le voci suddette jure successionis (oltre al danno jure proprio da perdita del congiunto).
Ci si chiede, dunque: i congiunti di una persona - che, a causa di omessa diagnosi di un processo morboso, ha visto ridurre le chances di sopravvivenza che con un diligente intervento medico sarebbero state maggiori - hanno diritto al risarcimento, iure successionis, del danno biologico terminale, oltre al danno da perdita di chance?

Le soluzioni giuridiche

Come già anticipato, la soluzione accolta dal Tribunale di Como punta sul cumulo di più poste risarcitorie in favore dei congiunti. Vediamo, allora, le ragioni a sostegno, voce per voce.

1) Perdita di chance di sopravvivenza. L'estensore muove dalla considerazione della perdita di chance configurata da Cass. n. 23846/2008, quale danno patrimoniale che consegue all 'omissione della diagnosi di un processo morboso, impedendo al paziente di essere messo nelle condizioni di scegliere "cosa fare" per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, e altresì di programmare il suo essere persona, ovverossia l'esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell'esito.

Quale entità patrimoniale a sé stante - prosegue ancora l'estensore - tale danno è giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, e va liquidato secondo un criterio equitativo puro ex artt. 1226 e 2056 c.c. (Cass.n. 23846/2008), tenendosi conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e la durata della sopravvivenza possibile in caso di intervento sanitario adeguato.

Il giudice quantifica, quindi, tale voce di pregiudizio, tenendo conto doverosamente delle peculiarità del caso concreto, quali l'età avanzata della paziente, la preesistenza di rilevanti patologie, e altresì del tempo intercorso tra l'evento luttuoso effettivo e la data in cui questo avrebbe potuto verificarsi in mancanza dell'illecito sanitario (Cass. n. 7195/2014).

Questa parte della decisione segue l'impostazione delineata dalla giurisprudenza di legittimità a partire dal 2004, la quale ha considerato il danno da perdita di chance non come pregiudizio corrispondente al mancato conseguimento del risultato sperato, ma come compromissione della possibilità che la vittima aveva di conseguirlo.

2) Danno biologico terminale. Il giudice accoglie, poi, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale biologico (id est, danno biologico terminale); e ciò tramite il riferimento a precedenti arresti di legittimità relativi alla rilevanza causale dell'illecito che non determini la perdita della vita, tuttavia anticipandola; così, in particolare, Cass. n. 5962/2000, richiamata da Cass. 7195/2014.

Vi si trova affermato che ogni fatto imputabile che determini la cessazione anticipata della vita, influenzando un fattore patogenetico già esistente e costituente la causa clinica del decesso, costituisce concausa dell'evento. In siffatte fattispecie, quindi, il nesso di causalità va esaminato secondo i principi della regolarità causale, non solo fra fatto ed evento letale, ma anche tra fatto e accelerazione dell'evento morte; con la conseguenza che esso va ravvisato non solo quando l'illecito abbia causato l'evento di danno, ma anche quando l'abbia accelerato.

Da qui la risarcibilità del danno non patrimoniale biologico, seppure limitatamente alla componente temporanea, atteso che la compromissione dell'integrità psico-fisica si era protratta per due soli giorni, fino all'evento luttuoso.

La liquidazione di tale voce viene compiuta in ossequio all'insegnamento della S.C., prendendo cioè a base del calcolo i valori tabellari per la liquidazione del danno da invalidità biologica assoluta temporanea, e procedendo a personalizzazione, data l'intensità di tale tipo di danno, tale che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero, esitando nella morte (Cass. n. 23183/2014; Cass. n. 15491/2014; Cass. n. 13198/2015). Esattamente, nella specie, l'importo giornaliero per l'inabilità temporanea assoluta è stato aumentato di 10 volte (145 x 10 = 1.450,00 x 2 gg = 2.900,00).

3) Danno parentale. La terza voce di danno liquidata agli attori è rappresentata dal danno da perdita del rapporto parentale, integrante - come noto - voce di pregiudizio iure proprio in capo ai familiari superstiti. Il giudice, dopo avere descritto le caratteristiche di tale tipo di pregiudizio, si sofferma sui criteri da utilizzare nella sua liquidazione; e al riguardo spiega che, nella specie, non è possibile applicare le tabelle milanesi, stante la rilevanza minima della perdita di chance e considerato che l'anziana congiunta aveva già superato i livelli medi di aspettativa di vita. Il giudicante si discosta, allora, dai valori tabellari, procedendo ad una quantificazione equitativa di tale voce.

Osservazioni

1) Perdita di chance di sopravvivenza. Chiara l'adesione del Tribunale di Como all'impostazione che considera la perdita di chance di sopravvivenza come danno patrimoniale, impostazione facente capo alla nota pronuncia della Cassazione n. 4400/2004, la quale ha collocato la perdita di chance nell'alveo delle conseguenze dannose dell'illecito, piuttosto che in quello della valutazione dell'ingiustizia: "(...) la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale (...) siffatto danno (...) non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo".

Questa prospettiva, assestatasi nell'ambito della responsabilità medica (v. Cass. n. 21619/2007; Cass. n. 23846/2008; Cass. n. 12961/2011), produce riflessi sul piano processuale. Così, la domanda di risarcimento di tale voce di danno dovrà essere formulata specificamente con riferimento alla perdita di chance, non potendo considerarsi contenuta nella domanda di risarcimento del danno consistito nel mancato risultato sperato (così Cass. n. 4400/2004; contra Cass. 14 giugno 2011, n. 12961).

2) Danno biologico terminale. Il cumulo delle due poste risarcitorie attribuite ai familiari della vittima jure successionis potrebbe prestarsi a possibili obiezioni di duplicazione del risarcimento.

Si potrebbe, infatti, obiettare che la riparazione della perdita della possibilità di vivere più a lungo esaurisce i danni risarcibili, non essendo stato accertato che l'omissione dei medici abbia causato la compromissione dell'integrità psico-fisica della paziente.

L'obiezione può essere superata, tuttavia, considerando la differente natura - rispettivamente patrimoniale e non patrimoniale- delle due voci di danno attribuite jure successionis.

Così, da un lato, il giudice ha ravvisato l'esistenza di un danno considerato di natura patrimoniale, e dunque ex sè risarcibile o, per dirla con la giurisprudenza di Cassazione, quale perdita di un "bene" già esistente nel patrimonio della vittima; dall'altro, egli ha riscontrato un pregiudizio di natura non patrimoniale, discendente dalla lesione del bene salute, nei due giorni intercorsi tra l'insorgenza della lesione settica non trattata e il decesso.

Come bene evidenziato in dottrina (M. Bona, S.U. 2015: prosegue la saga sul danno non patrimoniale), infatti, il danno biologico terminale viene in considerazione nel "caso in cui l'arco di tempo intercorso tra lesione e decesso permette l'individuazione di uno stato di invalidità biologica temporanea", laddove la Cassazione (Cass. n. 23183/2014), a sua volta, lo ha definito come "danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso)" e riscontrabile a prescindere dalla consapevolezza del suo stato nella vittima (Cass. n. 10246/2015).

Ci troviamo di fronte, così, al risarcimento di due generi di pregiudizio ontologicamente diversi ma coesistenti.

3) Danno parentale. Apprezzabile, nella sentenza in commento, il soffermarsi del giudice sulla descrizione di tale voce di danno, specie nella sua valenza esistenziale, quale pregiudizio che «va al di là del crudo dolore (...) concretandosi nel vuoto costituito dal non poter più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisone, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti familiari, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonchè nell'alterazione».

Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, se il giudice abbia inteso riconoscere un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale, o, più correttamente, un danno da perdita della chance di continuare a godere della presenza della congiunta.

Nel primo senso deporrebbe il riferimento nominale al "danno da perdita del rapporto parentale" e la descrizione della sua consistenza fenomenologica. Nel senso della liquidazione di una "perdita di chance di rapporto parentale" depongono, invece, i criteri liquidativi utilizzati in senso opportunamente decrementale, con disapplicazione delle tabelle di Milano e ricorso ad un criterio equitativo puro.

A parere di chi scrive, sarebbe stata opportuna una più esplicita qualificazione di tale parte del risarcimento nel senso di riparazione della chance perduta dai familiari di continuare a godere della presenza della congiunta per un tempo residuo maggiore. Così, per Trib. Reggio Emilia, sez. II, 27 febbraio 2014, n. 338: «Ove risulti che la corretta esecuzione di una prestazione medica (che non avrebbe impedito il decesso del paziente né con certezza né alla stregua di un giudizio di maggior probabilità, ma) avrebbe comunque ridotto il rischio dell'evento letale, i prossimi congiunti della vittima non potranno ottenere il risarcimento integrale del pregiudizio derivante dalla perdita del familiare, bensì un ristoro correlato alla perdita della chance di poter ancora convivere con quest'ultimo».

Guida all'approfondimento
  • P. Ziviz, Danno da perdita di chance patrimoniale e non patrimoniale, in Ri.Da.Re.
  • D. Zorzit, La chance: un bene economicamente esistente e patrimonialmente autonomo?, in Ri.Da.Re.

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