La clausola claims made mista non è vessatoria

Antonio Scalera
26 Settembre 2017

Clausola claims made: la Cassazione, confermandone la liceità, ribadisce nel caso di specie l'esclusione della natura vessatoria della clausola claims made mista o impura.
Il caso

La questione che la Suprema Corte si trova a dover risolvere è la seguente: è vessatoria o no la clausola claims made mista?

Il Tribunale aveva ritenuto la nullità della clausola in parola e l'aveva sostituita con disposizione di carattere generale di cui all'art. 1917 c.c.

La Corte di Appello ha, viceversa, dichiarato la validità della clausola, alla quale non si applica la disciplina dettata dall'art. 1341 c.c., posto che con le clausole in questione si delimita l'oggetto del contratto di assicurazione e il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa».

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con motivazione lapidaria, ha rigettato il ricorso, richiamando l'arresto delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un. 6 maggio 2016, n. 9140), secondo cui va esclusa la natura vessatoria della clausola claims made mista o impura (come quella ricorrente nel caso in esame).

È opportuno a questo punto un breve inquadramento giuridico della fattispecie.

La clausola claims made (o a richiesta fatta”) disciplina l'operatività nel tempo dell'assicurazione contro il rischio della responsabilità civile.

In base al modello claims made, la garanzia opera per le richieste di risarcimento pervenute all'assicurato per la prima volta durante la vigenza del contratto di assicurazione.

Tale modello è, dunque, diverso dagli altri (act committed o loss occurrence) che correlano, invece, l'operatività temporale della garanzia al tempo della realizzazione di una condotta dell'assicurato produttiva di un danno ingiusto ovvero alla manifestazione di tale danno.

Il tempo di realizzazione della condotta lesiva o di manifestazione del danno può non aver rilievo per la garanzia assicurativa prestata in base al modello claims made; in tal caso, la clausola è definibile pura" ed è formulata generalmente in questi termini: «L'assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di assicurazione, indipendentemente dal momento in cui il danno è stato causato o si è manifestato».

È, tuttavia, più frequente che sia annessa rilevanza al tempo di realizzazione della condotta lesiva o di manifestazione del danno anche nella garanzia prestata secondo il modello claims made; la clausola è allora definibile “mista” e la sua formulazione è varia: fermo restando che «l'assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato durante la vigenza del contratto», la clausola può correlare tali richieste a condotte realizzate in un determinato arco temporale, per esempio nel corso della vigenza stessa del contratto, ovvero in un certo numero di anni o di soli mesi precedenti la sua stipulazione.

Sino all'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la giurisprudenza ha offerto soluzioni variegate in tema di clausola claims made.

In alcune occasioni è stata dichiarata la radicale nullità della clausola claims made, per ritenuta contrarietà a norma imperativa di legge (Trib. Roma 1 agosto 2006 n. 16975; Trib. Roma 5 gennaio 2007; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2014, n. 5791).

Tuttavia, la Corte di Cassazione, sin dal 2005 (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005, n. 5624), ha affermato che il contratto di assicurazione della responsabilità civile con la clausola claims made non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico da ritenersi in linea generale lecito, ai sensi dell'art. 1322 c.c.; giacché atipico e quindi suscettibile di variare notevolmente da caso a caso, ogni questione deve essere affrontata con riferimento al concreto contenuto di ogni singolo contratto ed al particolare tipo di responsabilità oggetto di assicurazione.

A tale principio si è conformata la più parte della giurisprudenza, che ha tuttavia espresso orientamenti contrastanti, sulla possibile vessatorietà della clausola.

Anche quella parte della giurisprudenza di merito che ha ritenuto la clausola claims made vessatoria non ha però espresso un orientamento univoco, bensì sostanzialmente triplice, sulle possibili conseguenze della ritenuta vessatorietà.

Da un lato, si è ritenuto che la vessatorietà della clausola claims made non comporta l'invalidità dell'intero contratto, bensì che, ai sensi dell'art. 1932, comma 2, c.c., alla clausola nulla si debba sostituire automaticamente la disciplina legale del contratto di assicurazione (Trib. Milano 21 aprile 2009 n. 5235; App. Milano 20 luglio 2012, n. 2655; Trib. Roma, 10 aprile 2013; Trib. Rovigo-Adria 17 agosto 2011).

Secondo altro orientamento, in ipotesi di clausola claims made mista, l'inefficacia incide esclusivamente sulla parte della clausola che limita la retroattività, con conseguente applicazione del modello claims made puro (Trib. Milano, 18 marzo 2010 n. 3527, cit.; App. Milano, 31 gennaio 2013 n. 497; contra App. Milano, 20 luglio 2012, n. 2655 «un'operazione di “ortopedia” contrattuale non consentita») .

Altra giurisprudenza di merito ha, invece, escluso in radice la vessatorietà della clausola claims made, perché, ben lungi dal limitare la responsabilità dell'assicuratore, essa individua e circoscrive l'oggetto del contratto (App. Roma, 18 gennaio 2012 n. 312; App. Roma, 22 marzo 2011 n. 1222; Trib. Napoli, 4 novembre 2013, n. 12129; Trib. Napoli, 11 febbraio 2010; Trib. Catania, 15 ottobre 2013, n. 3677; Trib. Catania, 3 maggio 2010, n. 1795; Trib. Catania, 12 ottobre 2009; Trib. Bassano del Grappa, 25 maggio 2009, n. 381; Trib. Milano, 5 luglio 2005).

In tale variegato contesto si inserisce il citato arresto delle Sezioni Unite, che ha affermato i seguenti principi di diritto:

  • «nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria»;
  • la clausola claims made «in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata».

Osservazioni

A distanza di circa un anno, la Suprema Corte torna ad occuparsi, con la sentenza in rassegna, della vessatorietà della clausola claims made, dando continuità all'orientamento adottato dalle Sezioni Unite in chiave nomofilattica.

Nello stesso solco si pone, altresì, la sentenza, di poco anteriore a quella in esame, con la quale la Suprema Corte, in applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite, ha qualificato come patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c. la clausola c.d. claims made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un'azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall'assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell'assicurazione, in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore, e pone l'assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione (Cass. civ., sez. III, 28 aprile 2017, n. 10506).

Il tema della ritenuta vessatorietà della clausola claims made ha progressivamente assunto sempre minor rilievo, poiché in (quasi) tutti i contratti più recenti l'assicuratore predisponente ha assunto la cautela di prevederne l'approvazione specifica ex art. 1341 c.c.

La pronuncia delle Sezioni Unite, se, per un verso, pare risolutiva nel senso di escludere la vessatorietà della clausola, per altro verso risulterà verosimilmente foriera di contrasti non dissimili da quelli sino ad oggi rilevati, ma su di un terreno sostanzialmente inesplorato sin qui dalla giurisprudenza: quello della meritevolezza di tutela della clausola claims made; terreno insidioso, anche perché ben più vasto di quello della vessatorietà, che da confini, se non altro formali, è delimitato.

Guida all'approfondimento

ALTOMARE, Sezioni Unite n. 9140/2016: perché non si scioglie ancora il nodo della claims made, Ridare.it;

CARNEVALI, La clausola claims made e le sue alterne vicende nella giurisprudenza di legittimità - il commento, in Contratti, 2017, 4, 383;

HAZAN, La claims made è salva! (ma non troppo......), in Ridare.it;

LAPENNA, Clausola claims made, in Ridare.it;

RODOLFI, La claims made: tra liceità e meritevolezza, quanti problemi per gli operatori del diritto, il legislatore e le associazioni di categoria, in Ridare.it;

MARTINI, Le criticità sulla "claims made” dopo le Sezioni Unite: i nodi vengono (subito) al pettine, in Ridare.it;

ROSADA, Claims made “impura” e RC professionale: un connubio in crisi, in Ridare.it.

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