Se il pedone inciampa in una sporgenza non visibile della scala perché trascina il piede, il custode del manufatto non risponde dei danni

Giuseppe Sileci
26 Aprile 2016

Quando l'evento dannoso non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa ma richieda che l'agire umano si unisca al modo di essere della cosa, per potere affermare la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c. occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti una obiettiva situazione di pericolosità.
Massima

Quando l'evento dannoso non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per potere affermare la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c. occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti una obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno stesso.

Il caso

Tizia ha adito il Tribunale di Como per sentire condannare Caio, previa declaratoria di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 o 2043 c.c., al risarcimento dei danni che essa si era procurata cadendo mentre scendeva la scala. Precisava l'attrice che aveva perso l'equilibrio a causa di un rialzo della banda antiscivolo, al quale era rimasta incastrata con il tacco.

La questione

Nel caso in cui un danno sia stato provocato da una “cosa”, fino a dove deve spingersi l'onere probatorio del danneggiato? È sufficiente dimostrare l'evento ed il nesso di causalità tra il fatto lesivo e la “cosa”? Oppure è necessario, a seconda che il danno sia stata provocato dall'intrinseco dinamismo della cosa ovvero sia stato cagionato da una cosa inerte, dimostrare anche la pericolosità della “res”?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale, dopo avere inquadrato la fattispecie nell'ambito della responsabilità da cose in custodia, disciplinata dall'art. 2051 c.c., e dopo avere dato brevemente conto dei prevalenti orientamenti, secondo i quali si è in presenza – in questi casi – di una ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass. Civ., sez. III, sent., 18 maggio 2015 n. 10129; Cass. civ., sez. VI, sent., 7 gennaio 2016, n. 56) o comunque di colpa presunta (Cass. civ., sez. III, sent. 9 giugno 1983, n. 3971; Cass. civ., sez. II, sent. 23 marzo 1995, n. 3553), si sofferma sul caso fortuito, precisando che il custode, al fine di liberarsi da responsabilità, ha l'onere di dimostrare che l'evento è dipeso da un accadimento assolutamente eccezionale, imprevisto ed imprevedibile, ovvero dalla stessa condotta del danneggiato che, incidendo sul nesso di causalità, lo abbia eliso.

Ma quando la cosa rappresenta la mera occasione del danno, e dunque tutte le volte in cui l'agire umano (segnatamente la condotta del medesimo danneggiato) si inserisce nel nesso eziologico, unendosi al modo di essere della cosa, di per sé statica ed inerte, la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c. non può essere invocata se non si dimostra che lo stato dei luoghi presentava una obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno stesso.

Muovendo da queste premesse, il Tribunale giunge alla conclusione che a se stessa avrebbe dovuto imputare i danni la parte attrice, avendo questa riferito di avere trascinato il piede di riporto, inciampando con il tacco in un piccolo rialzo non visibile della banda antiscivolo posta sulla parte terminale del gradino. Secondo il Decidente, l'incedere per trascinamento del piede di riporto costituisce un fatto estraneo alla cosa e interruttivo del nesso eziologico perché da solo idoneo a provocare l'evento ed estraneo alla normale utilizzazione di una scala.

Il Giudice, quindi, aderisce a quell'orientamento che, distinguendo – appunto – tra danno provocato dall'intrinseco dinamismo della cosa ed evento meramente occasionato dalla cosa, richiede, in quest'ultimo caso, la prova, da parte del danneggiato, della pericolosità della cosa medesima (Cass. civ., sez. VI, sent. 19 febbraio 2015,n. 3297; Cass. civ., Sez. VI, sent. 20 ottobre 2015, n. 21212; Cass. civ., sez. VI, sent., 7 gennaio 2016, n. 56; Cass. civ., sez. VI, sent. 27 novembre 2014, n. 25214 in un caso di danno provocato dall'intrinseco dinamismo della cosa in cui è stato escluso che fosse onere del danneggiato dimostrare la pericolosità della “res”).

Dunque, e così in linea con un consolidato e risalente indirizzo giurisprudenziale (Cass. civ., sez. III, sent. 30 luglio 2004, n. 14606), l'art. 2051 c.c. troverà applicazione sia se il danno è stato cagionato dall'intrinseco dinamismo della cosa sia se esso è stato provocato da una cosa inerte (e quindi di per sé inidonea a nuocere) nella quale, però, un agente dannoso, sorto in essa per effetto di un fattore esterno, ne alteri la natura provocandone una intrinseca attitudine lesiva (Cass. civ., sez. III, sent., 16 ottobre 1979, n. 5394). Ed è stato anche chiarito che per fattore esterno devono intendersi sia il fortuito che lo stesso fatto dell'uomo, i quali possono prevedibilmente intervenire eccitando lo sviluppo di un agente, un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa l'idoneità al nocumento (Cass. civ., sez. III, sent., 9 giugno 1983, n. 3971; Cass. civ., sez. III, sent., 23 ottobre 1990, n. 10277).

Però, se la responsabilità del custode, ai sensi dell'art. 2051 c.c., è oggettiva e prescinde dall'accertamento della pericolosità della cosa anche quando questa, a causa della sua natura inerte ed astrattamente innocua, abbia costituito mera occasione dell'evento (Cass. civ., sez. III, sent., 5 dicembre 2008, n. 28811), non si può non osservare che i più recenti arresti della Cassazione, seguiti dal Tribunale di Como, sembrerebbero discostarsi da questo principio.

Se grava sul danneggiato l'onere di dimostrare che l'evento è stato causato da una cosa e, quando questa è inanimata, che l'incidente è avvenuto per la pericolosità della cosa stessa, la quale presenti una anomalia non visibile ed evitabile con la ordinaria diligenza, è difficile negare un alleggerimento della posizione processuale del custode, il quale, in definitiva, si libererà da ogni responsabilità anche se non avrà provato il caso fortuito.

Tuttavia, le più recenti pronunce di legittimità non autorizzerebbero senz'altro una interpretazione più restrittiva dell'art. 2051 c.c. quando la cosa sia stata l'occasione dell'evento.

Infatti la Cassazione, tutte le volte in cui ha escluso l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. perché non dimostrata la pericolosità della cosa inerte dalla quale sarebbe derivato l'evento dannoso, sembrerebbe avere valorizzato o la circostanza che la cosa fosse comunque priva di anomalie incompatibili con l'uso a cui era destinata (Cass. Civ., Sez. VI, sent. 7 gennaio 2016, n. 56 che ha deciso il caso in cui il danneggiato si era procurato le lesioni scivolando mentre scendeva una scala per accedere al mare, ai gradini della quale non erano state applicate strisce antiscivolo) ovvero che la potenziale attitudine della cosa a recare nocumento fosse prevedibile dal medesimo danneggiato, la cui concreta ed imprudente condotta, quindi, avrebbe costituito l'antecedente esclusivo (il caso fortuito, appunto) idoneo ad interrompere il nesso di causalità (Cass. civ., sez. VI, sent., 20 ottobre 2015, n. 21212 che ha negato il diritto di un motociclista al risarcimento dei danni che si era procurato cadendo a causa dell'assenza di illuminazione di un tratto di una galleria benchè la possibilità di una temporanea avaria dell'illuminazione fosse stata segnalata).

A ben vedere, quindi, in tutte queste ipotesi la domanda non sarebbe stata accolta perché a monte il danneggiato non avrebbe dimostrato il nesso di causalità, che non sarebbe soddisfatto quando a determinare la caduta sia stata una cosa compatibile con l'uso cui è destinata ovvero quando quella medesima cosa, per effetto di un agente esterno, abbia acquisito una attitudine lesiva e non si dimostri, però, che il nesso di causalità non avrebbe potuto agevolmente neutralizzarsi con la ordinaria diligenza.

Dunque, alla luce della più recente giurisprudenza della Suprema Corte (alla quale ha aderito il Tribunale di Como) non si potrebbe sostenere che l'onere del danneggiato è più gravoso quando il danno è stato provocato da una cosa inerte perché, in definitiva, presupposto per l'affermazione della responsabilità del custode è innanzitutto la prova del nesso di causalità tra la cosa e l'evento e questa circostanza deve essere allegata e provata da colui il quale lamenta il danno.

Osservazioni

Riepilogando, colui il quale lamenti un danno che sia stato provocato da una cosa, avrà l'onere di provare la sussistenza del nesso causale tra la cosa e l'evento dannoso. Tuttavia, quando la cosa sia stata mera occasione del danno, nel senso che questo non è stato provocato dall'intrinseco dinamismo della “res”, sarà necessario dimostrarne la pericolosità, ossia che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. In entrambi i casi il custode si libererà dalla responsabilità dimostrando il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale.

Così, semplificando, se un albero si abbatte su un'automobile di passaggio, il proprietario della pianta non risponderà dei danni solo se riesce a dare la prova che lo sradicamento è stato causato da un fortunale di eccezionale intensità; se invece un'autovettura urti un albero posto immediatamente a ridosso del margine della carreggiata, la responsabilità del custode dipenderà innanzitutto dalla prova che quell'ostacolo, per la sua ubicazione (per esempio all'uscita di una curva veloce) e per lo stato dei luoghi (strada priva di linea continua che ne delimiti il margine esterno), rappresenti una obiettiva minaccia per gli automobilisti che – specie in ore notturne – possono non essere in condizione di percepirne per tempo l'ingombro: anche in questo caso, però, il custode si libererà dalle conseguenze pregiudizievoli dell'evento se riuscirà a dimostrare che a deviare la traiettoria del mezzo e favorire la collisione di questo con l'albero sia stato un fattore esterno, del tutto imprevedibile e sottratto alla sua sfera di controllo, come, ad esempio, la imprudente manovra di sorpasso di altro conducente alla guida di un veicolo che proveniva dalla direzione opposta.

Ebbene, e venendo al caso deciso dal Tribunale di Como, il Giudice ha ritenuto assorbente, quale fatto idoneo ad interrompere il nesso causale, l'uso improprio della scala da parte della danneggiata (incedeva trascinando il piede di riporto) ed ha dunque degradato a mera ed ininfluente occasione la esistenza di una anomalia (piccolo rialzo) benchè questa non fosse visibile.

Ma nella motivazione vi è un salto logico: la decisione, infatti, sarebbe stata senz'altro condivisibile (ed in linea con la giurisprudenza sopra richiamata) se il rialzo fosse stato perfettamente percepibile dalla danneggiata e questa, nonostante tutto, avesse ugualmente affrontato la scala trascinando il piede di riporto; nel caso concreto, però, lo stesso Decidente da atto del fatto che il rialzo non era visibile e dunque finisce per degradare a mera occasione la causa effettiva dell'incidente, e cioè una anomalia (e quindi una situazione di pericolo) che – anche per la tipologia dei luoghi – rendeva molto probabile il rischio che qualcuno, utilizzando le scale e confidando che il manufatto fosse privo di insidie, potesse inciampare.

Guida all'approfondimento
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  • Cirla A., Responsabilità del condominio nei confronti dei condomini e dei terzi, in Ri.Da.Re., 2015
  • Di Florio A., Insidia – trabocchetto, in Ri.Da.Re., 2014
  • Serra L, Danno cagionato da cose in custodia, in Ri.Da.Re., 2014
  • Bile C., Danno cagionato da cose in custodia, in La giurisprudenza sul codice Civile coordinata con la dottrina, Libro IV delle Obbligazioni, artt. 2028 – 2059, a cura di Bile – Delli Priscoli e Ruperto, Giuffrè, 2012, pag. 453;
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  • Greco G., Responsabilità da cose in custodia della struttura alberghiera: rilevanza del rapporto di causalità ed onere della prova, in Resp. Civ. e Prev., fasc. 3, 2008, pag. 575;
  • Ronchi M., Responsabilità da cose in custodia e divergenze interpretative della Corte di Cassazione, in Resp. Civ. e Prev., fasc. 4-5, 2001, pag. 907;
  • Nicoli A., Responsabilità da custodia per danni da propagazione di incendio e contratto di locazione, in Giust. Civ., fasc. 3, 1998, pag. 843

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