Limiti e rilevanze del cosiddetto “consenso informato”

Luigi Isolabella
26 Maggio 2014

In tema di colpa professionale medica -chirurgia maxillofacciale- non connotata dall'urgenza ma finalizzata a migliorare l'aspetto fisico del paziente in funzione della sua vita di relazione oltre che a regolarne la postura dentale, il consenso informato del paziente esclude la colpa del sanitario solo se esso non si limiti alla semplice enumerazione dei possibili rischi ed alla prospettazione delle possibili scelte, ma investa non soltanto la mera riuscita dell'intervento ma anche il giudizio globale su come la persona risulterà all'esito di quest'ultimo.
Massima

Cass. pen. sez. IV pen., 21 dicembre 2012 (29 gennaio 2013) n. 4541

In tema di colpa professionale medica -chirurgia maxillofacciale- non connotata dall'urgenza ma finalizzata a migliorare l'aspetto fisico del paziente in funzione della sua vita di relazione oltre che a regolarne la postura dentale, il consenso informato del paziente esclude la colpa del sanitario solo se esso non si limiti alla semplice enumerazione dei possibili rischi ed alla prospettazione delle possibili scelte, ma investa non soltanto la mera riuscita dell'intervento ma anche il giudizio globale su come la persona risulterà all'esito di quest'ultimo.

Sintesi del fatto

Allo scopo precipuo di correggere un difetto estetico che consisteva nell'eccessiva sporgenza dei denti incisivi superiori, la paziente X si era rivolta a numerosi specialisti e sottoposta a differenti trattamenti di carattere ortodontistico e chirurgico (intervento di chirurgia plastica agli zigomi ed al mento). Su segnalazione dei medici che l'avevano in cura, la paziente aveva, poi, preso contatti con uno specialista in chirurgia maxillo-facciale per essere sottoposta ad un intervento di osteotomia mandibolare, operazione prodromica ai successivi trattamenti che avrebbero potuto risolvere, in via definitiva, il problema di carattere estetico lamentato dalla Signora X.

In seguito al menzionato intervento, tuttavia, la paziente aveva accusato una serie di disturbi quali: tumefazioni e gonfiori al viso, perdita di sensibilità al labbro inferiore, gravi difficoltà respiratorie, persistente rinoliquorrea. Le sequele si erano rivelate tanto invalidanti che, tempo dopo, la stessa paziente decideva di sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico per migliorare, quanto meno, le proprie condizioni respiratorie.

Originariamente condannato dal Tribunale di Piacenza, l'imputato, specialista in chirurgia maxillo-facciale, era stato successivamente assolto dalla Corte d'Appello di Bologna, “perché il fatto non costituiva reato”, con conseguente revoca delle statuizioni civili.

Contro la sentenza emessa dal collegio bolognese, ha proposto Ricorso per Cassazione, agli effetti civili, la parte civile costituita, adducendo, tra gli altri, un difetto concernente il consenso del paziente all'intervento (“la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla mancata valutazione, ai fini della sussistenza della colpa medica, della natura rischiosa dell'attività chirurgica estetica e della posizione di garanzia che il medico assume nel confronti della paziente sostenendo, al riguardo, che, indipendentemente dal consenso informato, il chirurgo dovrebbe prudentemente escludere quelle operazioni il cui rischio sia prevedibilmente preponderante rispetto agli auspicati vantaggi, sicché l'omessa adeguata ponderazione sul punto, da parte del medico, può fondare, in caso di esito negativo, uno specifico profilo di colpa”).

La Corte di Cassazione ha concluso annullando la sentenza emessa in grado di appello, con rinvio al giudice di secondo grado competente per gli effetti civili.

La questione

La questione in esame riguarda, dunque, i confini e i contenuti del consenso informato del paziente ad un intervento chirurgico. Ove l'operazione non rivesta i caratteri dell'urgenza, dunque, essendo programmata ed eseguita per finalità prevalentemente, se non puramente, estetiche, quali peculiarità deve assumere l'informativa che il chirurgo fornisce al paziente, prima di intervenire? Il consenso prestato dal paziente avrà automaticamente valenza scriminante nei confronti del medico che abbia proceduto, in caso di esito negativo dell'intervento stesso?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, solo il consenso del paziente alle cure o agli interventi operatori, validamente e consapevolmente prestato, legittima il ricorso, da parte del sanitario curante (salvo che si versi in condizioni di emergenza o urgenza), al trattamento medico-chirurgico concordato, laddove la mancanza dello stesso connota, in termini di sicura arbitarietà, l'attività posta in essere nei confronti del paziente.

In un ambito penalistico generale, tuttavia, la mancanza dell'idoneo consenso non è, di per sé solo, elemento indice di condotta colposa (nell'accezione e definizione codicistica dell'art. 43 c.p.) del medico operante, laddove la stessa sentenza in commento osserva come: “il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no consenso informato del paziente…Non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perché l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza”.

Salvo che non si ponga come mancata acquisizione di dati anamnestici (Cass. pen. sez. IV, n. 37077/2008), quindi, l'omessa sollecitazione ed acquisizione del consenso informato da parte del paziente non integra una violazione automatica ed intrinseca delle norme cautelari.

Se quanto precede è vero, tuttavia, non ci si può esimere dal rilevare, ciò che infatti fanno i giudici della Suprema Corte, come nei casi di interventi programmati per finalità estetiche, ovvero in tutti quei casi in cui l'operazione non rivesta alcun carattere di emergenza ma, vice versa, sia connotata da elettività, il dovere informativo del medico aumenti e si faccia più pregnante.

Ben si comprende, quindi, che la Corte di Legittimità statuisca, che: “il consenso informato…non vale ad escludere la colpa del medico che abbia operato negligentemente o imperitamente, ovvero in violazione delle leges artis e specie laddove tali leges non siano, in concreto, nemmeno ben chiare…una volta che avesse rilevato l'estrema aleatorietà (a sufficienza emergente dallo stesso documento contenente il c.d. “consenso informato” riempito a mano quanto ai numerosi e gravi possibili esiti perversi dell'intervento, e sottoscritto dalla X) del suo esito, ben avrebbe dovuto -il medico- sconsigliarlo o persino rifiutarsi di eseguirlo….ne consegue che a nulla rileva, ex se, ai fini dell'esclusione della responsabilità, l'eventuale adeguatezza della comunicazione ed illustrazione dei rischi connessi all'intervento al paziente che si risolse, ciononostante, ad affrontarlo”.

Osservazioni e suggerimenti pratici

Come noto, prima di sottoporre il paziente ad un intervento chirurgico è essenziale che lo stesso sia resto edotto delle particolarità dell'intervento e, soprattutto, dei possibili esiti negativi, o effetti collaterali/rischi, che dall'operazione possano derivare.

Sulla scorta della definizione di consenso informato che la Suprema Corte ha fornito, nel corso degli anni, “esso deve intendersi come espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e si configura quale vero e proprio diritto della persona che trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Carta Costituzionale, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della medesima Carta….La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost., pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello dell'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere la opportune informazioni in ordine alla natura ed ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative” (Cass. civ.sez. III, n. 19220/2013).

In base alla definizione di consenso informato, dunque, inteso quale incontro di “volontà libere e consapevoli” (Cass. civ. sez. III, n. 4030/2013), esso presuppone un dovere di dettaglio esplicativo, da parte dell'operatore, il più possibile pregnante: il paziente, infatti, deve essere edotto via “specifica ed esplicita” (Cass. civ. sez. III, n. 7027/2001) dei benefici e dei possibili effetti collaterali, giacché “tale consenso implica, la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative” (Cass. civ. n. 7027/2001).

Ne consegue che, specie in ambito estetico, ove l'obbligazione si configura come prestazione di risultato e non di semplici mezzi, il sanitario potrà procedere con l'intervento concordato solo ove abbia attentamente valutato e delineato il quadro terapeutico con mezzi il più possibile minuziosi, prospettando al paziente, con i termini più precisi, quali potranno essere i risultati dell'intervento e, ove presenti, tutti i potenziali rischi avversi.

Statuisce, quindi, la sentenza in odierno commento che, il dovere informativo del medico, in tali casi, è talmente forte da condizionarne l'intera attività, tant'è che quest'ultimo potrebbe/dovrebbe astenersi dall'intervenire (travalicando addirittura lo stesso parere positivo del paziente, in ipotesi), ove si sia in presenza di una forte aleatorietà in merito all'esito dell'intervento stesso, oppure ove abbia omesso di compiere una valutazione completa, al massimo grado, del quadro clinico in trattazione.

Conclusioni

La recente pronuncia della Supra Corte ha, dunque, ribadito un principio giurisprudenziale già ampiamente consolidato: ove non si versi in una situazione terapeutica o interventista di urgenza e/ o emergenza, il dovere informativo del sanitario subisce una notevole dilatazione e diventa più ampio e pregnante.

Ne deriva che, ove voglia evitare di rispondere del proprio operato, il chirurgo, ed in special modo il chirurgo estetico (cui si associa il chirurgo maxillo-facciale), non potrà esimersi dal soppesare (e trasmettere al paziente) tutti i possibili aspetti ed le conseguenti implicazioni negative, derivanti da un intervento (anche ritenuto routinario).

In assenza del carattere dell'urgenza e dell'esigenza fisico-strutturale di cura, dunque, la dimensione del consenso rilevante si dilata sino a comprendere, in termini specifici, la più completa indicazione di tutti i possibili risultati conseguenti all'intervento.

Il venir meno del pilastro dell'esigenza di cura, dunque, ribalta la prospettiva interventista: l'operazione perde, allora, la sua funzione strettamente salvifica ed entra in una dimensione elettiva, in cui è il risultato a far da padrone. Ecco, quindi, che l'esplicazione di tutto il corollario di effetti (benefici o meno) diventa centrale, anche e soprattutto per le implicazioni psicologiche che essa comporta nel paziente, colui che ha consapevolmente scelto di sottoporsi ad un intervento in termini di creazione di un beneficio estetico (lo si ripete, l'obbligazione del medico, in tal caso, è di risultato ed al raggiungimento di quel risultato deve tendere nella più ampia e consapevole informativa del paziente).

Ove nutra dubbi sui possibili esiti, dunque, spetterà al chirurgo astenersi dall'operare, anche in presenza di parere positivo espresso dal paziente.

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