Si applica la responsabilità prevista dall’articolo 1669 c.c. in caso di opere su un immobile già edificato?

Mauro Di Marzio
28 Gennaio 2016

In tema di appalto, può rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. anche l'autore di opere su preesistente edificio, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell'immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale.
Massima

In tema di appalto, può rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. anche l'autore di opere su preesistente edificio, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell'immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale.

Il caso

Una società acquista un vecchio stabile a Genova e lo sottopone ad importanti interventi di (impieghiamo questa espressione nel comune significato corrente) ristrutturazione: rifà i solai, ricostruisce le scale in cemento armato, rifà gli intonaci e gli infissi. Dopo di che vende i singoli appartamenti. Alcuni anni dopo si presentano nelle pareti esterne dello stabile numerose macchie di umidità, molteplici fessurazioni a forma di grigliato, che rendono le facciate non più impermeabili, con il conseguente verificarsi di infiltrazioni di acqua piovana nei singoli appartamenti, nonché vistose crepe nell'intonaco delle pareti e del soffitto dei locali scale ai vari piani, oltre alla inutilizzabilità delle finestre di areazione poste ad ogni piano e alla collocazione errata dei telai delle persiane.

Il condominio nel frattempo formatosi agisce in giudizio contro la società al fine di ottenere, in forza della previsione dettata dall'art. 1669 c.c., il risarcimento dei danni subiti.

La società si difende, tra l'altro, osservando che la norma invocata non è applicabile, dal momento che essa società non ha costruito l'edificio, ma ha soltanto effettuato sul medesimo opere di straordinaria manutenzione, peraltro assentite dalla pubblica amministrazione.

Il condominio vince la causa in primo grado e in appello.

E la decisione è, sotto l'aspetto dell'applicabilità dell'art. 1669 c.c., confermata in Cassazione.

La questione

La decisione in commento esamina la questione se la responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c. trovi applicazione soltanto in ipotesi di costruzione ex novo dello stabile ovvero anche di modificazioni o riparazioni apportate ad un immobile preesistente, anche se destinate per loro natura a lunga durata: quesito al quale, come vedremo, la Suprema Corte ha dato nel corso del tempo risposte non omogenee.

Le soluzioni giuridiche

Osserva la pronuncia in esame che, secondo un orientamento dalla giurisprudenza di legittimità, indicato come assolutamente costante, la lettera della norma giustificherebbe un'interpretazione ampia dell'art. 1669 c.c., tale da ricondurre entro il suo ambito di applicazione, in concorso dei caratteri previsti dalla disposizione, anche gli interventi effettuati su un immobile preesistente.

Non a caso, secondo la Cassazione, il legislatore avrebbe in tale norma discriminato tra «edificio o altra cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata», da un lato, e «opera», dall'altro. L'opera cui allude la norma non si identificherebbe cioè necessariamente con l'edificio o con la cosa immobile destinata a lunga durata, ma ben potrebbe estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o ripartivo, eseguito successivamente all'originaria costruzione dell'edificio, con la conseguenza che anche il termine «compimento», ai fini della delimitazione temporale decennale della responsabilità, avrebbe ad oggetto non già l'edificio in sé considerato, bensì l'opera, eventualmente realizzata successivamente alla costruzione dell'edificio. Quanto ai difetti della costruzione, inoltre, l'etimologia del termine «costruzione» non necessariamente dovrebbe essere ricondotta alla realizzazione iniziale del fabbricato, ma ben potrebbe riferirsi alle opere successive realizzate sull'edificio pregresso, che abbiano i requisiti dell'intervento costruttivo.

La responsabilità ex art. 1669 c.c., pertanto, ben potrebbe essere invocata con riguardo al compimento di opere (ed in particolare di interventi di modificazione o riparazione) concernenti un preesistente edificio o altra preesistente cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata, le quali, in ragione di vizi del suolo (su cui la nuova opera si radica) o di difetti della costruzione (dell'opera), rovinino, in tutto o in parte, o presentino evidente pericolo di rovina ovvero gravi difetti (anche essi riferiti all'opera innovativa, non già all'edificio pregresso). Pertanto anche gli autori di tali interventi di modificazione o riparazione dovrebbero rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. allorché le opere realizzate abbiano una incidenza sensibile o sugli elementi essenziali delle strutture dell'edificio ovvero su elementi secondari od accessori, tali da compromettere la funzionalità globale dell'immobile stesso.

A sostegno di tale affermazione la pronuncia richiama l'autorità di Cass., 4 gennaio 1993, n.13 e di Cass. 29 settembre 2009, n. 20853.

In senso diverso, d'altronde, non potrebbero essere richiamate Cass. n. 24143/2007 e Cass. n. 10658/2015, che, pur nell'ambiguità dei riferimenti, si fonderebbero in realtà su una valutazione complessiva di particolari emergenze fattuali, senza configurare un vero e proprio contrasto di giurisprudenza.

Osservazioni

L'art. 1669 c.c. disciplina la responsabilità dell'appaltatore nell'ipotesi in cui l'opera, nel corso di dieci anni dal compimento, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovini in tutto o in parte ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti, quando si tratta di edifici o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata.

Tra gli aspetti che sono stati oggetto di esame da parte della giurisprudenza merita rammentare, con riguardo alla vicenda in esame, che l'art. 1669 c.c. é inserito nel capo dedicato all'appalto, sicché legittimato passivo della relativa azione è normalmente l'appaltatore; ponendo però l'accento sul fondamento della responsabilità, identificato nel fatto materiale della costruzione, è stato da tempo chiarito che anche il costruttore dell'immobile risponde ai sensi della menzionata norma (Cass. civ., sez. II, sent., 14 dicembre 1993, n. 12304; Cass. civ., sez. II, sent., 29 marzo 2002, n. 4622; Cass. civ., sez. II, sent., 16 febbraio 2012, n. 2238).

Sulla specifica questione esaminata dalla pronuncia in commento — se l'art. 1669 c.c. possa applicarsi anche in caso di opere eseguite su un preesistente immobile — la dottrina ha manifestato opinioni difformi.

Secondo alcuni la responsabilità in discorso si applicherebbe anche alle semplici modifiche o riparazioni apportate ad un immobile preesistente, sia pure entro determinati limiti. Occorrerebbe infatti distinguere:

  1. l'ipotesi in cui, per effetto della modifica o riparazione, l'immobile nel suo complesso rovini o rimanga danneggiato, con conseguente responsabilità ai sensi della citata disposizione, quantunque l'intervento di riparazione o modificazione non sia di per sé di tale importanza da giustificare l'applicazione dell'art. 1669 c.c.;
  2. l'ipotesi in cui la rovina o il presentarsi di gravi difetti interessi la sola parte riparata o modificata, nel qual caso occorrerebbe ulteriormente distinguere a seconda che la riparazione o modifica sia o no destinata per sua natura a lunga durata (D. Rubino, L'appalto, in Tratt. dir. civ. diretto da F. Vassalli, Torino, 1980, 587-588).

Secondo un diverso indirizzo, l'art. 1669 c.c. non sarebbe applicabile né nel caso di semplice riparazione o modificazione, ossia di intervento di contenuta entità che non impegni la struttura e la stabilità di un edificio, né nel caso di rovina o gravi difetti della parte riparata o modificata (C. Giannattasio, L'appalto, in Tratt. dir. cv. e comm. a cura di A. Cicu e F. Messineo, Giuffrè, 1977, 231).

Ora, nel breve spazio qui a disposizione, non è possibile un completo approfondimento. Ma, se leggiamo il testo dell'art. 1669 c.c. («Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata se, nel corso di 10 anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile»), dobbiamo riconoscere che, sul piano letterale, la tesi secondo cui la norma si applica soltanto agli immobili edificati ex novo ha al suo arco una sola freccia, ossia la parola «costruzione»: ma si tratta di un vocabolo dal significato non certo univoco, giacché non può negarsi che anche colui il quale sostituisca un vecchio tetto in travi di legno consumate dal tempo con un nuovo tetto di cemento armato ponga pur sempre in essere un'attività di costruzione. Sicché, a fronte di una formulazione letterale non risolutiva, o almeno non del tutto tranquillante, occorre far leva sull'intenzione del legislatore (art. 12 disp. prel c.c.): e tale intenzione certamente induce ad accomunare la posizione di chi abbia costruito con quella di chi abbia ricostruito, sempre che, naturalmente, si tratti di interventi destinati a durare nel tempo.

La soluzione adottata dalla pronuncia in esame sembra dunque da condividere. Meno, invece, l'assunto secondo cui l'atteggiamento della giurisprudenza sarebbe al riguardo unanime, e meno ancora l'affermazione secondo cui le sentenze apparentemente di segno opposto si giustificherebbero in ragione delle peculiarità del caso concreto.

Non è così. In Cass. civ., sez. II, sent., 20 novembre 2007, n. 24143 la Suprema Corte dichiara di affrontare un argomento che la giurisprudenza «non risulta aver affrontato ex professo», ed afferma che l'art. 1669 c.c. «delimita il suo ambito di applicazione alle opere aventi ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata, ricomprendendo in queste la sopraelevazione di un edificio preesistente (che è costruzione nuova ed autonoma rispetto all'edificio preesistente, destinata a lunga durata), ma non anche le modificazioni o le riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose immobili». Considerazioni analoghe possono svolgersi con riguardo a Cass. civ., sez. II, sent., 22 maggio 2015, n. 10658.

Può darsi non fosse allora inopportuno chiamare in causa le Sezioni Unite, sì da favorire un definitivo stabilizzarsi della ragionevole soluzione data dalla pronuncia ad una questione tutt'altro che trascurabile.

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