Responsabilità sanitaria da emotrasfusione: rapporto tra risarcimento del danno e indennità ex l. n. 210/1992

Alessandro Benni de Sena
02 Marzo 2017

In caso di responsabilità medica da emotrasfusione, l'indennità corrisposta al danneggiato ex l. n. 210/1992 deve essere scomputata dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento.
Massima

In caso di responsabilità medica da emotrasfusione, l'indennità corrisposta al danneggiato ex l. n. 210/1992 deve essere scomputata dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento. L'applicazione della compensatio lucri cum damno all'attribuzione indennitaria comporta che si tratti di eccezione in senso lato, come tale rilevabile d'ufficio e proponibile per la prima volta in appello.

Il caso

La causa ha ad oggetto la domanda di risarcimento del danno conseguente al contagio di HCV causato da emotrasfusioni effettuate nel corso di un intervento chirurgico.

Il Ministero della Salute resisteva in giudizio, sostenendo l'inammissibilità della domanda attorea, per carenza di interesse per difetto di un danno risarcibile, e comunque il rigetto della domanda per difetto degli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, sotto il profilo causale, evidenziando in subordine la necessità di scomputare dal risarcimento quanto già ricevuto a titolo di indennizzo ex l. n. 210/1992.

La questione

Al di là delle complesse tematiche sottese all'accertamento della responsabilità medica da emotrasfusioni (il fatto della trasfusione, che nel caso concreto era addirittura incerto, il nesso di causa tra trasfusione e contagio, il nesso di causa tra eventuale condotta omissiva e evento alla luce di un criterio di preponderanza probatoria), la decisione si segnala anche per il particolare profilo del rapporto tra indennità e risarcimento del danno da emotrasfusione, dato che, riconosciuta la responsabilità per l'evento/contagio, il danneggiato aveva già ottenuto l'erogazione dell'indennità in sede amministrativa.

Da qui le questioni se l'azione risarcitoria sia alternativa alla prestazione indennitaria assistenziale e, in caso di risposta negativa, se sia comunque cumulabile o meno con essa.

Le soluzioni giuridiche

Il rapporto tra azione risarcitoria e azione indennitaria, con particolare riferimento al profilo della computabilità o meno dell'indennizzo nel risarcimento, non è questione pacifica in giurisprudenza, tanto che la stessa sentenza annotata riferisce che è stata rimessa alle Sezioni Unite.

Il problema si pone in tutti i casi ove sia prevista un'indennità (con funzione assistenziale) e non solo con riguardo alla speciale indennità prevista a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati, prevista dalla l. n. 201/1992.

a) L'orientamento prevalente e costante ritiene che dal complessivo ammontare risarcitorio non deve essere scomputato quanto erogato dall'assicuratore sociale o dall'ente previdenziale, non potendo trovare applicazione il principio della compensatio lucri cumdamno. Prestazione previdenziale e danno non scaturiscono infatti dal medesimo fatto illecito: la prima sorge direttamente dalla legge, su di un titolo dunque diverso dall'atto illecito (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20548; Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2014, n. 5504, che cassa App. Palermo, 3 dicembre 2007; Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2010, n. 4950; Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2009, n. 21897; Trib. Milano, sez. X, 23 settembre 2009, n. 11179; Trib. Milano, sez. X, 15 aprile 2009, n. 5002; Cass. civ., Sez. Un., 5 marzo 2009, n. 5287, in tema di indennità per calamità naturali; App. Torino, sez. III, 20 febbraio 2009; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3357; Cass. civ., sez. III, 25 marzo 2002, n. 4205; Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18490; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15822; Cass. civ. sez. II, 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10291; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1999 n. 1135; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1998, n. 1347; Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440; Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1996, n. 2117;Cass. civ., sez. lav., 21 agosto 1996, n. 7694; Cass. civ., sez. lav., 01 luglio 1994, n. 6228; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 1993, n. 4475; Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 1990, n. 632; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1988, n. 5464; Cass. civ., sez. III, 22 dicembre 1987, n. 9528; Cass. civ., sez. lav., 30 luglio 1987, n. 6624).

b) È stato altresì evidenziato che nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l'indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992 non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), qualora non sia stato corrisposto o quantomeno sia determinato o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare. L'astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale infatti alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l'esatto ammontare, né tantomeno il carattere predeterminato delle tabelle consente l'individuazione, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il "lucrum", del preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento: (Trib. Roma, sez. II, 11 aprile 2016, n. 7180; App. Milano, sez. II, 13 gennaio 2016, n. 79; Cass. civ., sez. VI, 14 giugno 2013, n. 14932).

c) L'orientamento minoritario ritiene invece che il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV,. a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, ha natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l'indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2013, n. 6573; Trib. Milano, sez. X, 23 giugno 2011, n. 8501; Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 584, con riferimento al danno non patrimoniale iure hereditatis; Cass. civ, sez. II, 13 giugno 2014, n. 13537.

La sentenza in esame ha aderito a quest'ultimo orientamento ed ha ritenuto che, nonostante la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria, tale circostanza non impedisce di scomputare integralmente tale somma da quella liquidabile a titolo di risarcimento del danno, al fine di evitare un ingiustificato arricchimento in capo alla vittima la quale, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse, riceverebbe due attribuzioni patrimoniali aventi causa dal medesimo fatto cui si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al risarcimento.

Le Sezioni Unite sono successivamente intervenute con Cass. civ., Sez. Un., 30 giugno 2016, n. 13372, (con nota di U.IZZO: Nota a Cass. Civ., 30 giugno 2016, n. 13372, sez. UU, in Resp. civ. e prev., 2016 1224) non risolvendo però il contrasto. Nel caso concreto, che riguardava una fattispecie più complessa, ove un Ente tedesco chiedeva la surroga per le somme versate a titolo di pensione di reversibilità e di rendita a favore dei familiari della vittima già tacitati di ogni pretesa economica da parte dell'assicuratore, la Suprema Corte aveva osservato come la questione della compensatio lucri cum damno fosse stata mal posta, poichè che non era rilevante ai fini della decisione del caso concreto ed era necessario dunque interrogarsi a monte sull'entità del danno e sulla sua risarcibilità. Questa questione non era stata affrontata e la compensatio costituiva un problema successivo che, quindi, non poteva essere posto senza aver risolto il suo presupposto logico.

Osservazioni

Come è noto, il risarcimento del danno deve coprire tutte le conseguenze immediate e dirette (art. 1223 c.c., cui rinvia l'art. 2056 c.c.). Tale regola si ritiene debba illuminare anche il principio (non codificato) della compensatio lucri cum damno, ove l'evento lesivo sia foriero di eventuali lucri per il danneggiato. Tale principio è applicato con grande attenzione, dovendosi evitare questioni di mero calcolo del danno ovvero di c.d. benefici collaterali, essendo governato, appunto, sempre dal nesso di causalità giuridica, al fine di garantire l'esigenza della riparazione integrale del danno ovvero l'effettività del pregiudizio. Le condizioni di applicazione del principio della compensatio sono:

1) la sussistenza di un danno risarcibile;

2) il vantaggio ottenuto dal medesimo danneggiato;

3) la sussistenza di un nesso di causa diretto ed immediato delle poste della compensazione;

4) l'omogeneità del danno e del vantaggio.

Quando vi è la con-presenza di indennizzo e risarcimento, il rischio è che il primo venga considerato apoditticamente un anticipo del secondo, in modo tale far apparire del tutto logico ed aderente alle regole generali (specie di integralità del risarcimento) il fatto che il danneggiato percepisca due poste patrimoniali aventi causa nel medesimo fatto. Ciò rende responsabile il soggetto tenuto al pagamento, così da arricchirlo ingiustificatamente, vuoi alla luce della compensatio, vuoi, addirittura, ritenendo il danno stesso limitato nel suo ammontare (i.e. applicazione dell'effettività del pregiudizio “pura”), in forza del quale il danneggiato non può ricevere più di quanto serve per ristabilire la situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, non ponendosi neppure un problema di compensatio (Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537, con riguardo alla pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto). Entrambe le prospettazioni, per quanto suggestive, non sembrano accettabili.

Con particolare riferimento all'applicazione della compensatio, la premessa logica maggiore ed imprescindibile non è dimostrata, con l'aggravante (come nel caso di specie) di essere consapevoli di ciò, nel momento in cui si da atto della diversa natura giuridica dell'indennizzo, ma ritenendo tale diversa natura non dirimente proprio in ragione di quella conseguenza che si vorrebbe trarre, ossia la ricorrenza di un ingiustificato arricchimento. Il percorso logico-argomentativo è in sé viziato, perché la valenza esterna del principio dell'integralità del risarcimento viene postulata, ma non pare avere simile portata e rilevanza in rapporto all'indennizzo.

In forza del nesso di causa che governa il principio della compensatio, sul piano concettuale è fondamentale il titolo dell'attribuzione: una cosa è la causa dell'attribuzione, altra l'occasione dell'attribuzione.

Così, nel caso di risarcimento del danno a seguito di sinistro stradale e incentivo alle dimissioni, in qualità di dipendente, ottenuto dal danneggiato, si evidenza come detto ultimo importo non sia un acconto del risarcimento, ma riguardi piuttosto una fattispecie diversa, avente il proprio titolo nel rapporto tra il danneggiato ed il suo datore di lavoro (Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2010, n. 4950).

Ed ancora si sottolinea come la compensatio lucri cum damno possa trovare applicazione solo nel caso in cui il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta del fatto illecito quali suoi effetti contrapposti; non opera invece quando la somma ricevuta dal danneggiato trovi la propria fonte e la sua ragione giuridica da un titolo diverso ed indipendente dall'illecito stesso, il quale costituisce solo la condizione perché questo titolo spieghi efficacia (Trib. Milano, sez. X, 23 settembre 2009, n. 11179).

Tornando al profilo del titolo dell'attribuzione, l'indennità spetta ex lege e rientra nella discrezionalità del legislatore compatibile con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e con il diritto a misure di assistenza sociale (art. 38 Cost.) (Cass. civ., sez. VI, 26 ottobre 2016, n. 21686; Cass. civ., sez. VI, 8 novembre 2010, n. 22706; C. cost., 27 ottobre 2006, n. 342; è necessario non svilire la causa solidaristica assistenziale; v. anche sulla causa previdenziale, M. HAZAN, Risarcimento e indennizzo (nella polizza infortuni): cumulo o scorporo?, in Danno e resp., 2014, 9918 ss).

D'altra parte, è la stessa legge che prevede la determinazione dell'indennizzo secondo una apposita tabelle allegata alla l. n. 177/1976 (i.e., è slegato dai comuni criteri di liquidazione del danno nella responsabilità civile), che è cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito (art. 2, comma 1; al successivo comma 2 sono previste altre somme integrabili e cumulabili). Ai soggetti danneggiati che contraggono più di una malattia, ad ognuna delle quali sia conseguito un esito invalidante, è riconosciuto, in aggiunta ai benefici del presente articolo, un indennizzo aggiuntivo stabilito dal Ministro della sanità con proprio decreto, in misura non superiore al 50 per cento di quello previsto ai commi 1 e 2.

Non è un caso che l'indennizzo venga erogato non una tantum, ma con una rendita, a riprova che non ha funzione non risarcitoria (C.CARICATO, Diritto pubblico e interessi della persona, in Resp. civ. e prev., 2015, 314 ss.), non intendendo la legge compensare il danneggiato di una perdita, bensì assisterlo con provvidenze per il tempo futuro in occasione di un certo evento.

È stato, poi, osservato che la ratio del diritto all'indennizzo è l'interesse collettivo alla salute e non l'obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse che, a propria volta, è fondamento dell'obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento, vengano a soffrire di un pregiudizio (C. cost., 26 aprile 2012, n. 107; C. cost., 22 giugno 2000, n. 226).

Pertanto, diritto all'indennizzo e diritto al risarcimento hanno una ratio e un titolo diversi e neppure sono omogenei, in quanto la ratio costituzionale dell'indennizzo risiede nell'esistenza di un interesse pubblico alla promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario. È l'interesse pubblico alla salute la ragione determinante il diritto all'indennizzo.

Se l'indennizzo risponde ad esigenze di solidarietà e di assistenza sociale, si deve osservare che esso appartiene a quella dimensione sociale che contraddistingue il nostro ordinamento. Questo sistema di welfare trova suo diretto riferimento nell'art. 53 Cost., che sancisce come tutti siano tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

L'art. 53 Cost. ribadisce il dovere di solidarietà sociale connesso all'art. 2 Cost. ed inserisce il tributo nell'ambito di un patto di convivenza, in cui si riconosce di essere membri di una stessa comunità o almeno di avere degli interessi in comune e si riconosce un dovere di convivenza e di cooperazione al fine di dividere le spese comuni (R.LUPI, Diritto tributario, Milano, 2005, pag. 10; B.SANTAMARIA, Diritto tributario, Milano, 2008, pag. 51 ss.)

Ricondurre l'indennizzo de quo nell'ottica risarcitoria significa, a ben vedere, mettere in discussione lo stesso sistema di diritti e di doveri enucleato nella Costituzione. Cumulare risarcimento e indennizzo non significa affatto riconoscere al danneggiato due poste patrimoniali per il medesimo fatto ed avvantaggiarlo ingiustamente, ma, al contrario, significa riconoscergli il diritto al risarcimento del danno oltre all'indennizzo che deriva da quel sistema di assistenza sociale per il quale tutti contribuiamo nell'interesse collettivo. Opinare diversamente significa, in realtà, negare la componente assistenziale, ovvero negare al danneggiato quell'indennizzo cui ha diritto per il “solo” fatto di trovarsi in questa Repubblica che non solo riconosce diritti, ma richiede anche l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), realizzabile anche tramite il dovere contributivo (art. 53 Cost.).

In sostanza, l'orientamento che ritiene di dover scorporare dal risarcimento la somma ricevuta a titolo di indennizzo deve confrontarsi con un sistema molto più ampio di quello risarcitorio, in un'ottica di sistema costituzionale e sociale e può esporsi a serie censure di compatibilità costituzionale. Da una parte, si pone in contrasto con quel diritto/dovere di assistenza e solidarietà sociale (artt. 2, 32 e 38 Cost.), dall'altra si pone in contrasto con il delicatissimo principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.), che naturalmente serve a sostenere proprio quel sistema sociale presupposto. Se si riconduce tutto nell'ottica risarcitoria, è chiaro che il danneggiato riceve meno di quello a cui ha diritto, in forza di quella assistenza sociale garantita anche dal pagamento dei tributi da parte di tutti.

Detto diversamente, l'orientamento in esame pone in discussione lo stesso contratto sociale che ci astringe allo Stato: la pressione fiscale si giustifica, idealmente, proprio con i servizi che lo Stato rende al cittadino, in specie di assistenza (e non certo di assicurazione risarcitoria). Se si nega il diritto alla posta indennitaria in modo autonomo, ci si infrange contro il fondamento del sistema fiscale che sorregge, a sua volta, il sistema assistenziale costituzionale.

Inoltre l'interesse collettivo alla tutela della salute impone che la collettività stessa si faccia carico della lesione di tale interesse, che il singolo debba patire a seguito di un trattamento sanitario.

La censura è in realtà ben più pregnante, poiché tale orientamento finisce per ri-scrivere i contorni del sistema sociale consegnato in Costituzione, presupponendo un diverso modello costituzionale; ciò è invero precluso all'interprete, tanto più per via giudiziaria, dal momento che tale responsabilità e potere spetta solo al legislatore, nelle dovute forme.

Indubbiamente nell'ottica puramente individuale e patrimoniale (compresa l'allocazione del rischio), il danneggiato riceve due attribuzioni patrimoniali, ma i diritti/doveri dell'individuo devono essere collocati in un sistema più ampio, quello sociale, nel quale si completano e si rapportano con i pari diritti individuali degli altri consociati. La logica prettamente risarcitoria non tiene conto della ineludibile componente sociale che contraddistingue il nostro ordinamento costituzionale.

Il principio indennitario, ovvero dell'integralità del risarcimento (compresa la questione della surrogazione in campo assicurativo, artt. 1910 e 1916 c.c.), non è trasportabile nel diverso campo assistenziale e non consente lo scomputo delle somme. Rectius, il riconoscimento di speciali esigenze solidaristiche non pare violare principî di ordine pubblico, essendo, al contrario, perseguite finalità assistenziali costituzionalmente presidiate (diffusamente Hazan, op. cit., passim).

Anche a prescindere dai profili di compatibilità costituzionale, rimane confermato il dato costituzionale che l'indennità ha un titolo diverso da quello risarcitorio, per cui non è applicabile, per difetto di nesso di causalità, il principio della compensatio lucri cum damno. Come detto all'inizio del paragrafo, i rigidi presupposti di applicazione della compensatio mirano evitare anche le mere operazioni di calcolo del danno, che sono estranee, per quanto ci interessa, alla logica sociale delineata. Scomputare l'indennizzo dalla somma da risarcire significa appiattire tali poste a mere attribuzioni patrimoniali (svincolandole dall'intimo significato/fondamento/titolo che hanno nel nostro ordinamento) e di non dare adeguato conto anche di quel difetto di omogeneità che condiziona la compensatio e che deriva da un preciso sistema giuridico di primario livello.

Se la natura e il fondamento dell'indennità in questione è assistenziale (o diversa da quella risarcitoria), con riguardo ad un caso assimilabile ci si è posti il problema se sia compensabile il danno arrecato col soccorso finanziario prestato dal danneggiante stesso, filantropo. Si è osservato che il sentimento dell'equità induce alla risposta negativa; e il ragionamento giuridico suffraga la medesima risposta. Invero, il lucro è prodotto direttamente dal fatto del filantropo, e non dal fatto dannoso, al quale si ricollega solo indirettamente. (…). Manca, dunque, tra il fatto dannoso e il lucro un rapporto causale giuridicamente rilevante (A.DE CUPIS, Il danno, Milano, 1946, p. 162; v. anche P. PETRELLI, In tema di «compensatio lucri cum damno», in Giur. it., 1989, I, 381).

Difetta il requisito dell'immediatezza, perché il vantaggio non è riferibile al comportamento illecito, ma ad una particolare condizione prevista dalla legge, le cui speciali esigenze solidaristiche costituzionalmente tutelate concorrono, senza esserne limitate, col principio indennitario.

Se, poi e come già visto, la ratio dell'indennizzo risiede nell'interesse pubblico, «non è costituzionalmente lecito alla stregua degli artt. 2 e 32 Cost. richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative» (C. cost., 22 febbraio 1998, n. 27). Questo, però, si inserisce nel contratto sociale cui si è fatto cenno e prescinde, quindi, per le implicazioni e gli interessi sottesi dall'aspetto risarcitorio civilistico.

Sotto questo punto di vista, l'argomento dell'applicazione del nesso di causalità, come causalità adeguata, per giustificare lo scomputo è fuorviante e finisce per sostanziarsi nella applicazione della diversa nozione di condicio sine qua non nel momento in cui non si ha chiara la distinzione tra causalità ed occasionalità: il diritto al risarcimento del danno deriva dalla lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto all'indennità dalla lesione di un interesse collettivo (artt. 2 e 38 Cost.). Il diritto all'indennità sorge in occasione della lesione del diritto individuale alla salute, ma è causalmente legato alla lesione di un interesse/dovere collettivo.

A ben vedere, poi, consentire lo scomputo, ossia permettere di attribuire l'indennità a titolo di risarcimento significa snaturare l'indennità stessa. Detto diversamente, significa consentire un cambio di titolo dell'attribuzione (da assistenziale-solidaristica a risarcitoria), ovvero, di fatto, revocare un'attribuzione solidaristica per tramutarla in risarcitoria, mutandone il titolo. Questo è quanto meno immorale e ripugna l'ordinamento (in altri ambiti, la revocazione della donazione è ammessa in casi tassativi, la revocazione della riabilitazione dell'indegno non viene ritenuta ammissibile proprio per questa ragione, etc.).

Pertanto, appare preferibile l'orientamento tradizionale, che appare più aderente al sistema generale del nostro ordinamento sotto i diversi punti di vista esaminati.

Guida all'approfondimento

CERINI, Danno e risarcimento: coerenze (e incoerenze) nell'applicazione del principio di compensatio lucri cum damno, in Danno e resp., 2015, 34 ss.;

IZZO, La compensatio lucri cum damno come «latinismo di ritorno», in Resp. civ. e prev., 2012, 1738 ss.;

POLETTI, Le regole di (de)limitazione del danno risarcibile, in Diritto civile, diretto da Lipari e Rescigno, V, Attuazione e tutela dei diritti, III, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, 335-336.

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