L'assicurazione sulla vita a favore di un terzo e la donazione indiretta

28 Aprile 2016

Nell'assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, atto di liberalità.
Massima

Nell'assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, atto di liberalità e, pertanto, soggetta alla disciplina d'annullamento prevista dall'art. 775 c.c..

Il caso

Al fine di ottenere l'annullamento ex art. 775 c.c. di quattro polizze sulla vita, gli eredi della de cuius convennero in giudizio i designati beneficiari, atteso che, a loro dire al momento della stipula la dante causa era incapace di intendere e volere, poiché affetta da Morbo di Alzheimer. I Giudici di merito esclusero la sussistenza di un'ipotesi di donazione indiretta e rigettarono la domanda di annullamento per difetto dei presupposti previsti dall'art. 428 c.c..

La questione

È possibile qualificare la designazione di beneficiario di assicurazione sulla vita una donazione indiretta?

È annullabile la designazione in ipotesi di incapacità naturale?

È richiesto il requisito del grave pregiudizio previsto dall'art. 428 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento aderisce in pieno al consolidato e pacifico orientamento di legittimità a mente del quale nella donazione indiretta dirimente si presenta il fine perseguito, ossia lo spirito di liberalità, piuttosto che il mezzo, ovvero l'atto od il contratto utilizzato: la «donazione indiretta può realizzarsi nei modi più vari, essendo caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall'ordinamento, ivi compresi più negozi tra loro collegati». (Cfr. Cass. civ., n. 3134/2012)

Il Giudice di Legittimità, correggendo il Giudice d'appello, ribadisce che ai sensi dell'art. 1920 c.c., il designato beneficiario di assicurazione sulla vita acquista ab origine i vantaggi economici dell'operazione a prescindere dalla premorienza e dalla possibilità di revoca della designazione ex art. 1921 c.c. non difettando anche in tali casi l'elemento costitutivo dell'arricchimento del terzo.

Il beneficiario non diviene né erede né legatario ma acquista il diritto all'indennità iure proprio in forza sia della designazione - atto unilaterale a favore di un terzo - che della promessa fatta dall'assicuratore di pagare al momento della verificazione dell'evento assicurato: id est la morte del contraente-donante.

Ed infatti, l'indennizzo previsto dal contratto di assicurazione sulla vita in favore di un terzo non entra nell'asse ereditario poiché ai sensi dell'art. 1920 c.c. il beneficiario acquista un diritto proprio nei confronti dell'assicuratore.

In tali casi, il donatum (l'impoverimento del donante) è rappresentato dal pagamento del premio all'assicuratore che integra il c.d. «negozio mezzo (l'assicurazione) utilizzato per conseguire il negozio-fine (la donazione)”. (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 7683/2015)

Al contrario, l'indennizzo derivante dall'obbligazione di pagamento assunta dall'assicuratore costituisce il consolidamento di un diritto già acquisito inter vivos e non mortis causa.

Sulla scorta di tali principi, la Cassazione ha disposto il rinvio alla Corte territoriale affinché riesaminasse la vicenda in adesione al principio espresso di recente dalla Cassazione ed a mente del quale «nell'assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta da spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Ne consegue che è ad essa applicabile l'art. 775 c.c., e se compiuta da incapace naturale è annullabile a prescindere dal pregiudizio che quest'ultimo possa averne risentito» (Cfr. Cass. civ., n. 7683/2015).

Osservazioni

In tutti i casi in cui si giunge al medesimo risultato di una donazione senza però stipulare il tipico contratto previsto dal codice (atto pubblico del notaio e due testimoni), v'è donazione indiretta.

Il termine indiretto viene utilizzato proprio perché all'impoverimento del donante e al contestuale arricchimento del beneficiario si giunge appunto indirettamente, senza che sia stipulata una donazione formale.

La donazione indiretta non va confusa con la donazione simulata, atteso che con quest'ultima non si vogliono produrre gli effetti del negozio che appare ma quelli del negozio dissimulato. Con la donazione indiretta, invece, le parti vogliono che si producano proprio gli effetti del negozio compiuto.

Diversi sono gli istituti e le fattispecie utilizzate per realizzare la donazione indiretta, ivi compreso il collegamento tra più negozi. Dirimente, difatti, risulta esclusivamente il fine, lo spirito di liberalità e non la forma.

La giurisprudenza ha riconosciuto sussistente l'istituto in commento in svariati casi.

Una tipica e frequente ipotesi di donazione indiretta è rinvenibile nelle attribuzioni effettuate nell'ambito della comunione legale tra i coniugi o, ancora, nell'accollo interno con cui l'accollante, al solo fine di arricchire il figlio, si impegni a pagare le rate di mutuo bancario da quest'ultima contratto.

Altre ipotesi sono state individuate nella rinuncia e nel contratto a favore di terzo, financo al preliminare ed al pagamento del prezzo.

In particolare, è stato evidenziato, sempre dalla Suprema Corte di Cassazione che «La donazione indiretta si caratterizza per il fine perseguito (realizzare una liberalità) e non per il mezzo utilizzato, che può essere il più vario, entro i limiti posti dall'ordinamento. La realizzazione del fine, quindi, può venire attuata anche mediante un collegamento tra più negozi, ossia un preliminare e il pagamento del prezzo, procurando così al destinatario della liberalità il diritto di rendersi intestatario del bene, non essendo necessaria la forma dell'atto pubblico prevista per la donazione, ma risultando sufficiente l'osservanza della forma richiesta per l'atto da cui la donazione indiretta risulta». (Cfr. Cass. civ., n. 5334/2004)

Nel caso di specie, trattavasi di assicurazione sulla vita a favore di un terzo, la cui designazione era stata determinata da un evidente animus donandi; l'oggetto della liberalità non è rappresentato dall'indennità corrisposta dall'assicuratore ma dal pagamento dei premi che costituisce l'impoverimento del donante ed allo stesso tempo il cosiddetto negozio-mezzo utilizzato per conseguire il negozio-fine, la donazione.

La riconducibilità del caso di specie nell'alveo delle donazioni indirette consente, ove trattasi di soggetti non legati al designante da vincoli di mantenimento o dipendenza economica, l'applicabilità del regime di favore previsto in materia di donazioni dall'art. 775 c.c.: l'annullamento, sic et simpliciter, della designazione se compiuta da incapace naturale, a prescindere dal pregiudizio da quest'ultimo subito.

Invero, alle donazioni indirette non risultano applicabili le norme sulla forma della donazione, ma certamente, per analogia, risultano invece applicabili quelle che ne regolamentano contenuto ed effetti.

Per tali motivi, al fine di ottenere l'annullamento non occorrerà provare né il grave pregiudizio subito dal designante, né la malafede del designato presupposti fondamentali in materia di azione generale d'annullamento per incapacità naturale ex art. 428 c.c..

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