Inadempimento del professionista e diritto al compenso

28 Novembre 2014

“Nel caso di errore professionale che abbia reso del tutto inutile l'attività professionale, tale da dover ritenere la prestazione totalmente inadempiuta e improduttiva di effetti nei confronti del cliente, ne deriva la conseguenza della simmetrica perdita, da parte del professionista, del diritto a percepire il compenso”.
Massima

Trib. Milano, sez. V, sent., 10 giugno 2014, n. 7662

“Nel caso di errore professionale che abbia reso del tutto inutile l'attività professionale, tale da dover ritenere la prestazione totalmente inadempiuta e improduttiva di effetti nei confronti del cliente, ne deriva la conseguenza della simmetrica perdita, da parte del professionista, del diritto a percepire il compenso”.

Sintesi del fatto

Un Geometra proponeva ricorso ex art. 633 c.p.c. ed otteneva decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti di un Comune per l'attività professionale prestata in favore dell'ente territoriale.

Il Comune proponeva opposizione avverso il provvedimento monitorio deducendo l'inadempimento del professionista rispetto al conferito incarico di progettista delle opere relative all'adeguamento degli impianti tecnologici, coibentazione, refettorio e servizi igienici presso una scuola elementare, inadempimento a seguito del quale, peraltro, l'ente non aveva potuto ottenere un contributo regionale a fondo perduto per il parziale finanziamento dell'opera.

Il Tribunale adito accoglie parzialmente l'opposizione ritenendo provati alcuni degli inadempimenti contestati al professionista.

Le questioni

Le questioni in rilievo sono le seguenti:

a) in quale misura l'inadempimento del professionista incide sul diritto dello stesso a percepire il compenso?;

b) quali regole trovano applicazione per il riparto dell'onere probatorio?

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo alla prima problematica, è opportuno ricordare, in termini generali, che, in una recente decisione, richiamata anche nella motivazione della pronuncia in esame, che fa applicazione del medesimo principio (sebbene in una fattispecie diversa), la S.C. ha affermato che l'errore professionale addebitabile all'avvocato, consistente nella mancata impugnazione di una sentenza dichiarativa dell'estinzione del processo per irritualità della riassunzione dello stesso, nonché nell'omessa informazione del cliente circa le conseguenze di essa, con definitiva perdita del diritto, rende del tutto inutile l'attività difensiva precedentemente svolta dal professionista, dovendosi ritenere la sua prestazione totalmente inadempiuta ed improduttiva di effetti in favore del proprio assistito, con la conseguenza che in tal caso non è dovuto alcun compenso al professionista (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 26 febbraio 2013, n. 4781).

Tali assunti trovano fondamento nel più generale principio per il quale il professionista, nella prestazione dell'attività professionale, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell'art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell'art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà), ed, in applicazione del principio di cui all'art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso (Cass. civ., sez. II, sent. 23 febbraio 2002, n. 5928, in Danno e Resp., 2003, 753, con nota di Benedetti; in generale, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, costituisce assunto consolidato quello secondo cui il convenuto può paralizzare in via di autotutela ex art. 1460 c.c. l'avversa richiesta di pagamento relativa ad una prestazione rivelatasi inadeguata: Cass. civ., sez. II, sent. 1luglio 2002, n. 9517).

In sostanza, oltre alla possibilità di proporre azione di risarcimento dei danni correlati all'inadempimento del professionista, detto inadempimento può comportare, in tutto o in parte, una perdita del diritto al compenso in applicazione dell'art. 1460 c.c., attesa la natura sinallagmatica del rapporto tra cliente e professionista. Qualora, peraltro, il cliente abbia agito soltanto in via risarcitoria nei confronti del professionista senza richiedere anche la risoluzione del contratto per inadempimento dello stesso, il professionista manterrà il diritto al corrispettivo della prestazione eseguita, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela (v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, sent. 24 marzo 2014, n. 6884).

Rispetto alla seconda questione prospettata, la decisione in esame fa corretta applicazione della regola per la quale in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione intellettuale, grava sul professionista la dimostrazione dell'adempimento o dell'esatto adempimento della prestazione (cfr., in termini generali, Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2008, n. 3472), sia sotto il profilo dell'obbligo di diligenza e perizia, sia della conformità quantitativa o qualitativa dei risultati che ne sono derivati, mentre sono a carico del committente l'onere di allegazione dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento e la dimostrazione del pregiudizio subito ed il nesso causale tra tale pregiudizio e l'attività del professionista (Cass. civ., sez. II, sent. 31 luglio 2006, n. 17306; in senso sostanzialmente conforme, in ordine alla ripartizione dell'onere della prova, cfr. Cass. 24 novembre 2003 n. 17871, in Giust. civ., 2004, I, 1284).

In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo come quello deciso dal Tribunale di Milano con la sentenza in rassegna tale assunto si salda – essendo stato il decreto ingiuntivo richiesto dal professionista – con la regola per la quale spetta al creditore opposto, pur formalmente convenuto, fornire, stante l'inversione della posizione processuale delle parti che si determina in tale giudizio, dimostrazione dei fatti costitutivi della propria pretesa ex art. 2697 c.c. (mentre compete all'opponente la sola prova delle eccezioni formulate), dimostrazione che dovrà avvenire mediante i mezzi di prova di cui al secondo libro del codice di procedura civile e non già sulla scorta della sola documentazione che consente di ottenere il decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 634 c.p.c. e seg. (cfr. Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2013, n. 2471). Peraltro, è stato chiarito che nei giudizi aventi per oggetto l'accertamento di un credito vantato dal professionista, relativamente al compenso dovutogli per le prestazioni professionali eseguite in favore del cliente, la prova, non solo dell'avvenuto conferimento dell'incarico, ma anche dell'effettivo espletamento dello stesso incombe al professionista: principio che vale non solo quando il giudizio si svolga a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, ma anche quando questo tratta origine da un'azione di accertamento negativo, posto che, in tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo (Cass. civ., sez. II, sent. 31 ottobre 2013, n. 24568).

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Le soluzioni accolte dal Tribunale di Milano mediante la pronuncia in commento sono da approvare, in quanto coerenti con le richiamate regole processuali, in punto di onere probatorio in capo al professionista di aver eseguito le prestazioni delle quali chiede il compenso con la richiesta diligenza professionale e sostanziali sulla possibilità di una riduzione ovvero di una perdita del diritto al compenso laddove venga, rispettivamente, accertato l'inadempimento parziale o totale del professionista ai propri obblighi in omaggio all'art. 1460 c.c.

Invero, nella fattispecie decisa, il Tribunale di Milano ha ritenuto di dover accogliere soltanto in parte l'opposizione proposta dal Comune avendo il professionista dimostrato che l'ente si era avvalso almeno in parte della sua opera professionale che pure contestava totalmente.

Il rigoroso onere probatorio imposto al professionista nel giudizio volto all'accertamento del diritto dello stesso a percepire il compenso per l'attività espletata rende opportuno che lo stesso documenti interamente l'attività prestata in favore del cliente ed a fronte delle contestazioni da questi sollevate dimostri, anche mediante prova testimoniale, che il medesimo si è avvalso proficuamente, almeno in parte, delle proprie prestazioni professionali.


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