Obblighi di informazione dell'intermediario finanziario: indefettibile la prova del nesso causale

29 Marzo 2016

L'azione di risoluzione del contratto presuppone la prova dell'importanza e della gravità dell'inadempimento; ciò implica l'onere per l'investitore non soltanto di allegare l'inadempimento dell'intermediario alle obbligazioni scaturenti del contratto di negoziazione, dal T.u.f. e dalla normativa secondaria, ma anche quello di fornire la prova del danno e del nesso di causalità.
Massima

L'azione di risoluzione del contratto presuppone la prova dell'importanza e della gravità dell'inadempimento; ciò implica l'onere per l'investitore non soltanto di allegare l'inadempimento dell'intermediario alle obbligazioni scaturenti del contratto di negoziazione, dal T.u.f. e dalla normativa secondaria, ma anche quello di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l'inadempimento anche sulla base di presunzioni.

Il caso

Con atto di citazione ritualmente notificato, i signori F.P e G.C. rappresentavano al Giudice di Milano:

  1. che, nell'aprile del 2000, avevano sottoscritto con la Banca un regolare contratto – quadro per la realizzazione e la prestazione di servizi di investimento;
  2. che nel settembre dello stesso anno avevano dato disposizioni – su consiglio di un funzionario dell'istituto di credito – relative all'acquisto di obbligazioni Argentina per il valore di 20 milioni di lire;
  3. che la Banca, senza avvisare i clienti in merito al fatto che il titolo sarebbe stato negoziato sul mercato secondario, né aver dato ai clienti specifiche informazioni sulle caratteristiche del titolo e sulla sua natura speculativa, eseguiva l'ordine;
  4. che, avendo il titolo perso tutto il proprio valore, data la nota crisi del mercato argentino, spettava alla Banca risarcire il danno subito dai clienti.

Tanto dedotto, i signori F.P e G.C. adivano il Tribunale di Milano affinché pronunciasse declaratoria di nullità del negozio d'investimento con il quale avevano acquistato dei titoli «Argentina 97/04 TV» ai sensi dell'art. 1418 c.c., avendo la Banca violato le norme imperative di cui all'art. 21 T.U.F. (D.Lgs. n. 58/1998) e agli artt. 26, 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/1998, con condanna della convenuta alla restituzione della somma versata dagli attori per effettuare l'investimento. In subordine, gli attori chiedevano la risoluzione per inadempimento del contratto d'acquisto delle obbligazioni Argentina, con le conseguenti restituzioni; in ulteriore subordine, chiedevano la declaratoria d'invalidità del negozio per vizio del consenso o per conflitto d'interessi con condanna alle restituzioni.

Le difese della Banca si concentravano sulla qualità dell'investimento in questione, insistendo sul fatto che al momento dell'acquisto, il titolo non apparteneva al novero di quelli ad alto rischio, anche in riferimento alla tipologia di investitori che i signori F.P e G.C. rappresentavano.

Il primo giudice, con sentenza del 2009, rigettava tutte le domande proposte dai signori F.P e G.C., ritenendo che l'inadempimento della Banca non fosse di importanza tale da integrare il presupposto ex art. 1455 c.c. e che, comunque, gli attori non avrebbero dimostrato la sussistenza del nesso di causalità tra inadempimento e danno.

I signori F.P e G.C, proponevano appello avverso la predetta sentenza, chiedendone al giudice del grado l'integrale riforma.

La Corte di Appello di Milano, confermando in toto la sentenza resa in prime cure, respingeva il gravame proposto per inconsistenza e totale infondatezza dei motivi avanzati dagli appellanti.

La questione

La principale questione giuridica sottesa alla controversia e sottoposta al sindacato della Corte di Milano attiene alla prova del nesso causale sussistente tra l'asserito inadempimento della Banca e il danno che l'investitore sostiene aver subito. Infatti – ed è ben chiaro nella sentenza in esame – non si deve dimenticare come anche nelle fattispecie inerenti al diritto finanziario, la deduzione dell'inadempimento da parte dell'intermediario abilitato alla prestazione di servizi d'investimento non è certo sufficiente al fine di integrare l'obbligo della Banca (in questo caso) al risarcimento del danno occorso al cliente, dovendo quest'ultimo dimostrare a) l'importanza dell'inadempimento, b) attraverso il giudizio controfattuale, il nesso che lega l'inadempimento e il danno.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso in esame, la Corte di Milano non ha trascurato di sintetizzare quelli che sono gli obblighi d'informazione che l'intermediario autorizzato deve assolvere nei confronti dell'investitore. A questo riguardo, la Corte si è preoccupata di riassumere la disciplina disegnata dalla normativa in materia, ossia gli artt. 21 T.u.f. e art. 26, 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1° luglio 1998.

A tale riguardo, la Corte ha precisato che la scelta dei titoli su cui effettuare l'investimento attiene esclusivamente al cliente, ma tale scelta deve essere sviluppata attraverso specifiche informazioni rese dall'intermediario in merito alla natura, ai rischi ed alle specifiche implicazioni dell'operazione d'investimento o disinvestimento. L'investitore – ha aggiunto la Corte – deve ragguagliare il cliente in merito alle ragioni per cui non è opportuno procedere all'esecuzione dell'investimento e, in tale caso, se il cliente intende procedere ugualmente, l'intermediario può dar luogo all'operazione solamente in presenza di un'autorizzazione scritta dello stesso investitore.

La Corte ha, inoltre, ricordato l'importanza di quello che potrebbe essere considerato il parametro soggettivo del dovere d'informazione in capo all'intermediario, ossia l'obbligo della Banca di raccogliere puntuali informazioni circa la tipologia di investitore che integra il singolo cliente, informandosi sulla sua esperienza in campo finanziario, nonché sugli obbietti dell'investimento e sulla sua propensione al rischio. Solo dopo aver raccolto tali determinanti dati in merito al tipo di cliente, infatti, l'intermediario potrà valutare l'adeguatezza o meno dei vari investimenti secondo le specifiche esigenze dell'investitore.

Posto che, nel caso de quo, l'inadempimento della Banca non era oggetto di contestazione, essendo pacifico come la Banca non abbia dato prova del corretto adempimento ai doveri informativi gravanti su di essa, la questione riguardava lo specifico onere della prova gravante sull'investitore attinente al nesso di causalità tra inadempimento e danno asseritamente subito.

In particolare, il primo giudice aveva sostenuto che l'operatività degli appellanti in passato sul titolo obbligazioni Argentina «porta ad escludere (..) la sussistenza del presupposto di cui all'art. 1455 c.c. e del nesso di causalità tra dedotto inadempimento della banca per omesse informazioni e acquisto di obbligazioni argentina».

Gli appellanti criticavano la decisione in appello indicando alla Corte una serie di indici attraverso i quali si poteva dedurre come i signori F.P e G.C., al di là dell'operatività sul singolo titolo, non fossero investitori qualificati.

La Corte, in risposta alla doglianza, ha sostenuto come tale critica alle ragioni giuridiche del primo giudice non fosse affatto specifica, quindi carente delle caratteristiche previste dall'art. 342 c.p.c.. La Corte, infatti, ha chiarito come la classificazione dei signori F.P e G.C. all'interno delle tipologie di investitori non costituisse il punto dirimente della controversia. Fondamentale, invece, era la circostanza per cui i signori F.P e G.C. non avevano dato prova che, avendo tutte le informazioni a loro spettanti in forza della normativa in materia, non avrebbero posto in essere l'investimento in questione.

Conseguentemente, gli appellanti, insistendo nell'affermare la loro qualità di investitori non esperti, non hanno colto il nodo fondamentale del problema, il quale – come detto – non risiedeva nella violazione degli obblighi dell'intermediario autorizzato, ma sul suo peso causidico in riferimento al danno subito.

Né la qualità di investitori non esperti dei signori F.P e G.C. può essere valutata come presunzione circa la sussistenza del nesso eziologico tra il pur dimostrato inadempimento della Banca e danno patito degli investitori. La qualità dell'investitore, infatti, attiene esclusivamente al tipo di informazioni che egli ha il diritto di ottenere dalla Banca, difficilmente potendo costituire una situazione di per sé in grado, secondo l'id quod plerumque accidit, di far presumere che, se fosse stato correttamente informato, avrebbe agito diversamente.

Osservazioni

Nella sentenza esaminata, la Corte d'Appello di Milano ha affrontato e risolto una questione che viene spesso trascurata dalla giurisprudenza di merito in relazione a cause vertenti sugli obblighi informativi in capo agli intermediari autorizzati. Non è sufficiente, insomma, allegare l'inesatto adempimento da parte della Banca per ottenere una sentenza che accerti e dichiari la risoluzione del negozio e, conseguentemente, il risarcimento del danno, occorrendo fornire al giudice sufficienti elementi che dimostrino la sussistenza del nesso causale tra l'allegata violazione degli obblighi contrattuali e il nocumento patrimoniale subito dal cliente, cosicché attraverso il ragionamento controfattuale possa dirsi che se il cliente avesse avuto le informazioni dovute, non avrebbe effettuato l'investimento.

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