Ritardo diagnostico e obbligo motivazionale del giudice

Maria Nefeli Gribaudi
28 Marzo 2016

Per escludere l'aggravamento della patologia in conseguenza di un ritardo diagnostico non appare sufficiente affermare che, quale che fosse stata l'epoca di accertamento della patologia tumorale il paziente avrebbe dovuto comunque subire lo stesso intervento, perché devono essere invece valutati anche gli effetti di un'anticipazione della diagnosi.
Massima

Per escludere l'aggravamento della patologia in conseguenza di un ritardo diagnostico non appare sufficiente affermare che quale che fosse stata l'epoca di accertamento della patologia tumorale il paziente avrebbe dovuto comunque subire lo stesso intervento, perché devono essere invece valutati anche gli effetti che un'anticipazione della diagnosi (e dell'intervento) avrebbe potuto avere sul decorso della malattia; infatti, ove non si affermi la totale inutilità dell'intervento, non pare sostenibile che la sua anticipazione non potesse modificare in nulla (ancorché soltanto quoad valetudinem e non anche quoad vitam) la storia clinica del paziente.

Il caso

Una donna adiva il Tribunaleper sentire affermare la responsabilità professionale del medico per avere ritardato di sei mesi la diagnosi di una patologia tumorale da cui era affetto e per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all'aggravamento della patologia e alla necessità di procedere a linfoadenectomia ascellare radicale.

La paziente, lamentando la presenza di un linfonodo dolente in sede ascellare, si era rivolta telefonicamente al proprio medico nel marzo 1998, il quale si era limitato a prescriverle una terapia antibiotica.

Il dolore era dapprima scomparso per poi ricomparire nel luglio dello stesso anno allorché il medico aveva visitato la paziente senza consigliare di eseguire un prelievo bioptico; un mese più tardi era stato diagnosticato un tumore maligno che aveva reso necessario un intervento di linfoadenectomia.

In primo ed in secondo grado veniva confermato il ritardo diagnostico di un mese ritenendo, sulla scorta delle considerazioni emerse in sede di Ctu, la condotta del medico esente da colpa per essersi limitato a prescrivere l'antibiotico senza richiedere ulteriori approfondimenti (marzo 1998), ed invece colpevole quella successiva (luglio 1998), per aver omesso di prescrivere alla donna il prelievo bioptico.

La questione

La pronuncia viene censurata dalla Corte di legittimità per non avere il giudice del merito congruamente motivato l'esclusione di profili di colpa nella condotta del medico il quale, sebbene in presenza dei sintomi lamentati sussistesse una probabilità tutt'altro che trascurabile (nell'ordine del 25-30%) che ricorresse una patologia maligna, si era limitato a prescrivere telefonicamente l'antibiotico senza compiere alcun accertamento per escludere che si trattasse di tale ipotesi.

Segnatamente, la Corte d'Appello aveva fatto proprio l'assunto espresso dal Ctu secondo cui fosse "ragionevole" presumere che si trattasse di un mero disturbo infiammatorio senza che potesse ravvisarsi un quadro sintomatologico tale da rendere prevedibile la presenza di una malattia maligna, quando invece emergeva dalla stessa Ctu che le tumefazioni ascellari hanno natura maligna in 1/3-1/4 dei casi; dato probabilistico che, osserva la Corte di legittimità, è di per sé tale da non consentire al giudice di ritenere sufficiente la prescrizione per via telefonica dell'antibiotico senza offrire un'adeguata spiegazione sul perché, a fronte di queste probabilità, non fosse doveroso per il medico verificare, almeno con una visita del paziente, le caratteristiche del nodulo prima di escludere l'ipotesi della patologia neoplastica.

Le stesse aporie motivazionali della sentenza di merito vengono ravvisate dalla Corte di legittimità nell'aver escluso la sussistenza del nesso causale nonostante il ritardo diagnostico di un mese avesse comportato una repentina progressione della malattia la quale passò, secondo quanto attestato dai consulenti tecnici dal II al IV stadio; circostanza questa che di per sé depone invece nel senso che il ritardo di un mese abbia determinato un aggravamento della patologia, con un'ulteriore diffusione metastatica alle regioni linfonodali.

Osserva la Corte di legittimità che non è sufficiente, ai fini dell'esclusione del nesso causale, affermare che, quale che fosse stata l'epoca di accertamento della patologia tumorale, la paziente avrebbe dovuto comunque subire lo stesso intervento di linfoadenectomia radicale in quanto costituente «elettiva terapia chirurgica del caso»; tale affermazione infatti nulla dice sugli effetti che un'anticipazione della diagnosi e del conseguente intervento avrebbe potuto avere sul decorso della malattia e non appare decisiva l'affermazione che la prognosi non sarebbe «significativamente variata in melius», poiché, salvo sostenere la totale inutilità dell'intervento, non pare verosimile che la sua anticipazione non potesse modificare in nulla il decorso della malattia sotto il profilo temporale e/o qualitativo.

Le soluzioni giuridiche

La Ctu rappresenta uno strumento indispensabile di raccordo e di ausilio del giudice tra nozioni giuridiche e nozioni di tipo tecnico estranee al bagaglio culturale e tecnico dell'organo giudicante (Cass. civ., Sez. III, 31 gennaio 2013, n. 2251, Cass. civ. Sez. I, 25 gennaio 2013, n. 1781, Cass. civ., Sez. I, 11 settembre 2012, n. 15157, Cass. civ., Sez. II, 1 ottobre 2010, n. 18993, Cass. civ., Sez. III, 13 marzo 2009, n. 6155).

Nei giudizi di responsabilità medica tale strumento assume caratteri ancor più pregnanti se non indispensabili, tanto da assurgere da strumento di valutazione a fonte di prova quando i fatti da accertare necessitino di specifiche conoscenze tecniche ( Cass. civ., sez. III, sent., 26 febbraio 2013, n. 4792), fatti salvi gli oneri di allegazione gravanti sulle parti.

In linea di principio il giudice può disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal Ctu indicando in sede di motivazione le ragioni per cui ritiene di discostarsene; quando intenda aderirvi interamente può rimandare per relationem alle risultanze di essa, qualora non siano state specificatamente contestate dalle parti, senza dover specificare le ragioni della propria adesione.

Quando tuttavia le risultanze della Ctu siano intimamente contraddittorie o illogiche tali contraddizioni si riverberano sulla parte motiva della sentenza che le ha fatte proprie acriticatamente, determinando un vizio di motivazione deducibile in Cassazione.

Nel caso di specie il giudice del merito ha fatto propria la Ctu senza rilevarne le intime incongruenze e senza spiegare perché, a fronte del dato probabilistico (25-30%) rilevato dalla stessa Ctu sulla natura maligna delle tumefazioni lamentate, non fosse da considerarsi doveroso per il medico verificare, almeno con una visita del paziente, le caratteristiche del nodulo prima di escludere l'ipotesi della patologia neoplastica.

Le stesse lacune motivazionali vengono riscontrate in punto di esclusione del nesso causale non essendo sufficiente affermare che, quale che fosse stata l'epoca di accertamento della patologia tumorale, la paziente avrebbe dovuto comunque subire lo stesso intervento di linfoadenectomia radicale in quanto costituente «elettiva terapia chirurgica del caso», poiché nulla dice quali sarebbero stati gli effetti di una tempestiva diagnosi della stessa in relazione al profilo del decorso temporale, del recupero funzionale, e della qualità della vita.

La più recente giurisprudenza ha infatti evidenziato che l'omissione della diagnosi di un processo morboso ancorché terminale assume rilievo causale non solo in relazione alla chance di vivere per un (anche breve) periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto ma anche per la perdita da parte del paziente della chance di conservare, durante quel decorso, una «migliore qualità della vita» (cfr. Cass. 18 settembre 2008, n. 23846, e, conformemente, Cass. 8 luglio 2009, n. 16014, Cass. 27 marzo 2014, n. 7195), intesa quale possibilità di programmare (anche all'esito di una eventuale scelta di rinunzia all'intervento o alle cure: cfr. Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748) il proprio essere persona, e, quindi, in senso lato l'esplicazione delle proprie attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell'esito (cfr. Cass. 18 settembre 2008, n. 23846): in tal caso il danno da perdita di chance si ammanta di profili schiettamente esistenziali.

Osservazioni

La novella legislativa dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. introdotta dal D.L.. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 ed applicabile alle sentenze pubblicate dall'11 settembre 2012, è volta a riformare la rilevanza del vizio di motivazione quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall'art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione" (Cass., Sez.Un. 22 settembre 2014, n. 19881).

Come rilevato dalla Cassazione a Sezioni Unite l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all'esistenza della motivazione in sé, e si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile».

Le aporie motivazionali lamentate troverebbero difficili spazi di deducibilità all'indomani della riforma, anche considerando che l'art. 348-ter c.p.c. ha introdotto un nuovo requisito di inammissibilità del ricorso, fondato sull'art. 360, n. 5, c.p.c. ritenendo il motivo de quo non proponibile se il primo ed il secondo giudice hanno condiviso le valutazioni di fatto, come è invece avvenuto nel caso in esame.

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