La responsabilità della banca intermediaria delle operazioni dell’investitore

Ivan Dimitri Calaprice
29 Giugno 2015

I temi di maggior momento trattati in questa pronuncia sono di fatto riferibili a due principali nuclei argomentativi, ovvero: i) le modalità secondo cui deve declinarsi il principio codicistico fissato dall'art. 1218 c.c. nonché ii) l'intensità dello sforzo probatorio richiesto ad una Banca per provare l'esonero della propria responsabilità per un danno da investimento.
Massima

Ai fini dell'esonero della responsabilità della banca per i danni cagionati ai clienti investitori non è sufficiente dimostrare la regolare consegna della documentazione informativa obbligatoria per legge e la circostanza di aver avvertito circa i rischi di un ordine di acquisto di titoli considerato “non adeguato”, invero occorrendo anche la prova di aver illustrato con analiticità, specificità e completezza le ragioni della valutazione di inopportunità dell'esecuzione dell'ordine stesso.

Sintesi del fatto

La sentenza in commento offre lo spunto per una lettura critica del tema del quomodo un Istituto di credito debba comportarsi allorché proponga investimenti ai propri clienti nonché – specificatamente – delle esigenze probatorie di cui essa deve farsi carico in caso di contestazione di responsabilità per aver male informato o non aver informato affatto gli stessi.

Nel caso di specie, la pronuncia della Corte di Appello di Milano interviene – confermandola – su una decisione del Giudice di prime cure che aveva condannato una Banca al risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi gravanti su di essa nella sua qualità di intermediaria; tanto in presenza di un ordine di investimento di titoli di stato argentini recante la dicitura «ordine non adeguato» nonché della consegna (non contestata) di un documento informativo sui rischi generali di un investimento.

La Corte di Appello avalla le tesi argomentative del Tribunale, valorizzandone la ratio attraverso il richiamo agli orientamenti giurisprudenziali già consolidatisi sul tema e ricordando che semplici avvertimenti sulla rischiosità di un investimento e mere dichiarazioni di inadeguatezza – pur pacificamente rese nel contesto della specifica negoziazione finalizzata all'investimento – non sono di per sé affatto sufficienti a sollevare da responsabilità un intermediario finanziario.

Tanto in ragione della circostanza che quest'ultimo ha comunque e sempre l'obbligo – nel caso di specie del tutto disatteso – di spiegare le ragioni delle proprie valutazioni di inadeguatezza dell'investimento, nonché quello di astenersi dal fare affidamento sul personale bagaglio cognitivo ed esperienziale del proprio cliente.

La questione

I temi di maggior momento trattati in questa pronuncia sono di fatto riferibili a due principali nuclei argomentativi, ovvero: i) le modalità secondo cui deve declinarsi il principio codicistico fissato dall'art. 1218 c.c. nonché ii) l'intensità dello sforzo probatorio richiesto ad una Banca per provare l'esonero della propria responsabilità per un danno da investimento.

Va rilevato – con riguardo al primo – che nel caso in esame il Tribunale aveva già osservato che il legame eziologico fra fatto descritto e danno lamentato deve essere sì provato dall'investitore ma che – di converso – l'intermediario finanziario ha comunque l'obbligo speculare di provare il regolare adempimento delle obbligazioni poste a suo carico, descritte dall'investitore come “adempiute”.

Da ciò discende il secondo dei temi cennati. È vero, infatti, rileva la Corte, che esistono delle specifiche prescrizioni normative che obbligano alla consegna di documentazione informativa in occasione della manifestazione della volontà di effettuare un investimento. Pur tuttavia la prova dell'avvenuta consegna di questa documentazione non è – in sé per sé considerata – indice dell'effettivo adempimento dei propri oneri informativi da parte di una Banca se non è anche corroborata dalla prova di aver spiegato con analiticità, specificità, completezza, le ragioni sottese ad un eventuale giudizio di inadeguatezza dell'investimento prescelto.

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo al tema della propria responsabilità nei confronti dell'investitore, la difesa della Banca si era infatti snodata, nei due distinti gradi di merito, su argomenti rivelatisi tutt'altro che dirimenti.

Possono così sintetizzarsi:

  • «al cliente era stato consegnato un documento sui rischi generali di investimenti in strumenti finanziari»;
  • «all'ordine di investimento fatto dal cliente era stata apposta la dicitura “ordine non adeguato”».

Sul primo dei due argomenti la censura della Corte è tranchant. Non ha alcun valore effettivo descrivere – in termini generali – la rischiosità di un investimento. Occorre avere riguardo, infatti – in termini specifici – al concreto strumento oggetto di negoziazione.

Questo approccio metodologico è peraltro assunto come pacifico ed inopinabile attraverso due riferimenti giurisprudenziali che ne sanciscono la correttezza.

Sul secondo punto la Corte si diffonde in maniera ancora più dettagliata, definendo un vero e proprio “prontuario pratico” degli obblighi dell'intermediario.

Un intermediario finanziario – statuiscono infatti i Giudici – non deve assolvere un mero obbligo di buona fede ma deve manifestare un atteggiamento di diligenza professionale (richiamato dall'art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 58/1998) caratterizzato dall'analiticità, dalla specificità e dalla completezza delle informazioni rese.

Questo atteggiamento – continua la Corte - è necessario per ovviare ad un problema ontologicamente connesso alle dinamiche dei mercati finanziari, ovvero quello della “asimmetria informativa” che discende dalla loro strutturale complessità.

A voler leggere distintamente le categorie concettuali qui evocate si può ragionevolmente e legittimamente ritenere che per analiticità i Giudici intendano l'obbligo di elencazione punto per punto delle questioni rilevanti, per specificità l'obbligo di richiamo alla effettiva dimensione della negoziazione che si sta conducendo, per completezza l'obbligo di fornire un quadro non edulcorato (ed anzi iperdettagliato) circa le stesse questioni.

Si tratta – in sostanza – di esplicitazione giurisprudenziale del precetto di cui all'art. 21, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 58/1998, che impone all'intermediario di acquisire «le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati».

Va detto, poi, che questa regola di condotta è stata integrata da quelle fissate dal Regolamento Consob n. 16190/2007 e dal Regolamento Consob/Banca d'Italia del 29 ottobre 2007 e che gli obblighi sottostanti vanno letti in sincrono con l'art. 23, comma 6 del precitato Decreto che stabilisce che «Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta» (Per una migliore comprensione del come debba atteggiarsi questa regola nel riparto fra responsabilità precontrattuale e contrattuale si veda Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533).

Dunque il canone dell'adeguatezza della informazione deve essere sempre rapportato al profilo soggettivo del cliente (c.d. know your customer rule) e deve essere comunque sostenuto da un' illustrazione puntuale ed esaustiva finanche nel caso in cui il prodotto prescelto risulti inadeguato.

Non è infatti sufficiente segnalare che uno strumento finanziario è inadeguato ma occorre dettagliare punto per punto le ragioni di tale valutazione di inadeguatezza.

La Corte d'appello di Milano si spinge però anche oltre.

Alla tesi della Banca secondo cui «un investitore medio sa che a rendimenti elevati corrisponde un rischio elevato» i Giudici, infatti, oppongono il principio opposto della ontologica incapacità di un investitore di decrittare in termini di rischio le informazioni insite nel prezzo del titolo.

Nel nostro ordinamento, dunque, non ha alcuna cittadinanza il criterio dell'autoresponsabilità finanche in ipotesi di investitore qualificato.

E dunque lo spettro di responsabilità della Banca resta sempre ampio, prescindendo dal livello di competenze tecniche finanziarie del proprio interlocutore che deve essere sempre e comunque ragguagliato su ogni aspetto rilevante ai fini della assunzione di un comportamento economicamente rilevante.

Osservazioni

Quale la lezione che si può desumere da questa pronuncia? Pare anzitutto evidente che– ai fini della indagine circa la sussistenza della responsabilità di una Banca per i danni derivanti da titoli collocati attraverso la propria assistenza – non ci si dovrà limitare alla mera verifica della avvenuta consegna dei documenti informativi di legge.

Questa pronuncia, infatti, richiama l'esigenza di “andare oltre” ciò che risulta dalla mera apposizione di sottoscrizioni e dal mero contenuto di moduli, prospetti e formulari e impone un obbligo di verifica delle contingenze del contesto dialettico in cui la negoziazione su un investimento sia maturata.

Ciò che infatti viene qui stigmatizzato alla Banca è proprio questo: essersi limitata a dare atto di aver assolto le nude regole senza averle però filtrate anche con la propria (necessaria) sensibilità sui fatti e sulle circostanze sottese a certe valutazioni, mai esplicitate.

Nel caso di specie, per esempio, si dice che le obbligazioni in parola erano già state derubricate da un Istituto di rating internazionale e che di tale circostanza la Banca “doveva sapere”.

Senza limitarsi, dunque, a segnalare genericamente un rischio.

La responsabilità della Banca per le operazioni di investimento dei propri clienti investitori non è accertabile solo al setaccio delle verifiche dell'assolvimento degli obblighi informativi posti a suo carico dal d.lgs. n. 58/1998 e dalla regolamentazione Consob e Banca d'Italia. È infatti essenziale volgere lo sguardo al contenuto delle comunicazioni intercorse fra essa e i propri interlocutori, a nulla rilevando le competenze tecniche ed esperienziali in capo a quest'ultimo.

Solo in quest'ottica, dunque, potrà ritenersi compiutamente assolto il complesso di obblighi informativi posti a suo carico dalla legge e dalle rielaborazioni giurisprudenziali che di essa si sono via via definite.

Ciò in ragione del fatto che l'obbligo di buona fede dell'intermediario finanziario è un obbligo qualificato, dovendo sempre essere coniugato con quello di esplicitazione analitica, specifica e completa delle ragioni delle proprie valutazioni sui titoli di interesse del cliente.

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